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NELL'AMERICA MERIDIONALE.
NeirAmerica
Meridionale
(Brasile - Uruguay - Argentina)
NOTE E IMPRESSIONI
GINA LOMBROSO FERRERÒ
MILANO
Fratelli Teeves, Editori
1908.
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V
Harvard College Library
Juxxe 6, 1921
PROPRIETÀ LETTERARIA
/ diritti di 7'iproduzione e di traduzione sono riservati per
tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e VOlanda.
Published in Milan, Ootober llth 1908. Privilege of
copyright in the United States reserved under the
Aot approved March 3rd, 1905, by Fratelli Treves.
Milano. — Tip Treves.
V
V
Agli Italiani di America.
A voi^ Italiani di Amsrica, io , dedico queste
pagine. Ho percorso dopo il mio ritorno^ quasi
tutta la patria nostra; ho dimorato a ìuìujo nel
nevoso Piemonte d<d Po solenne e dalle Alpi seo-
scese; Ito attraversato rajmhnnente Vaffaeeemlata
Liguria^ dal mare limpido e dagli Ajfennini fitti
di case, di fàbbriche e di porti ; Iw visitato la
ridente Toscana dai placidi multipli pendìi in
cui gli alti olmi ridevano al sole alzando il facile
pondo dei tralci privi di fronde; mi sono far-
inata nella terra sacra delF Umbria in cui ogni
colle è segnalato da minuscole città dense di sto-
ria, trapelante dàlie torri mimteciose, dalle im-
ploranti chiesette; mi sono riposata nel Lazio pa-
f ludoso in cui crocchi di pastori stavano filosofi-
nte rannicchiati sotto gli immensi ombrelli^
" macchia verde spiccava come stendardo di
'^ mezzo agli antichi prati rossicci sfondanti
PREFAZIONE
nelle perdute colonne ronuins; ho resinrato Varia
dolce della Camjìania felice in cui le fòglie ingial-
ìiU e cadenti davano una nota triste agli orti
eternamente verdi, agli ulivi melanconici intrec-
viuti ai mandorli in fiore.
E questi paesaggi che io aveva contemplati al-
tre volte quasi indifferente, avevano ora un signi-
Jkato inusitato per me. Ogni paese, ogni casolare
di cui io sentiva il nome, mi rammentava mia
(Mie vostre f accie, o Italiani di America; mi
rammentava uno di quei rapidi alt fatti dal treno
nelle lontane pampas delV Argentimi o nei mon-
tami Stati del Brasile durante il quale centinaia
di voi vi affacciavate ad incontrarci, a raacon-
tarci la vostra vita, ad affidarci i vostri saluti
}h4 suolo natio. Io ho compiuto religiosamente il \
vostro voto, Italiani; io lio rivisto i iianchi
Villaggi riadattati con i vostri sudori, io ho detto
ai rimasti quanto desìo vi punga di rivederli^ ho
detto ai partenti quanti fratelli troveramw lag-
giù, ho detto agli alberi, ai boschi^ alle case, die
emi non periranno mai, percìxè lontano a migliaia
di leghe oltre il mare, i figli delV uomo die si
som seduti alla loro ombra, hanno ripiantato un
turo getto nelle nuove terre che essi hanno fecon-
dMo coi loro sudori, perdiè i figli delVuomo dm
à
■^
\
PREPAZIONK
sono partiti stanchi dai paterni villa (f (fi lunuio
denominato col loro noim* un altro angolo di l'ita
la Olii asjnrazioìie è di assomigliare aWantivo..,.
Quante volte ^ bambina, io Iw pennato a voi,
Italiani avventurosi sparsi in ogni angolo del
mondo, a voi Garibaldini, patriota migrati lou-
taìio dalla patria clie col vostro braccio avevate
riunita. È per vedervi che io ho attraversato il
mire, e per fare conoscere voi e le terre che abi-
tate die io ho scritto questo libro sperando che
valga, sia pure in ^nininut parte, a scuotere l'api-
nione deW Italia a vostro riguarda) ed a rendere
ph falcile il compito die voi avete così generosa-
mente intrapreso di fondare laggiù in ogni an-
golo del ììwìido delle nuove Italie, il cui futuro
sia così glorioso come quello della patria antica.
Torino j ottobre 1908.
Gina Lombroso Feimjkko.
l'ABTE l'RlMA.
Negli Stati Uniti del Brasile.
Fbrrebo. America del Sud»
I.
Nel mare di Guanabara K
Come avete trovato il Brasile! Vi avete
visto davvero i fiumi piil grandi del mare, e
le foreste vergini, e le scimmie arrampicate
sugli alberi, e il caffè ed il cautciù, e la
canna da zucchero, e le miniere di diamanti, e
la pesca delle balene f Abituato alla piccolezza
dei nostri paesi, l'Europeo ohe non ha attra-
versato l'Atlantico non può immaginare che
esista uno Stato più grande dell'Europa, uno
Stato del quale i nòstri grandi transatlantici
in 10 giorni di navigazione riescono appena
a percorrere le coste, uno Stato nel quale due
"ittà, Bahia e Rio Grande del Sud, distanno
^ Guanabara è il nome indiano della Baia di Rio Janeiro.
Nl'iL MARE in GUAUaBAKA
una dall'altra più che non l'America dal-
l'Europa; uno Stato nel quale trenta ore di
ferrovia non bastano per oltrepassare i con-
trattbrti che ne separano la parte montuosa
dalle coste. Come parlare quindi complessi-
vamente di un paese più vasto dell'Euroi)a,
più vario forse dell'Europa e dell'Africa, che
ha in sé tutti i climi, quasi tutte le razze,
quasi tutte le varietà della natura? La bel-
lezza della natura, la varietà, la profusione
di questa bellezza, ecco forse l'unico elemento
comune a tutto il Brasile, alla parte almeno
che abbiamo visitata e di cui abbiamo sen-
tito parlare; ecco forse la differenza essen-
ziale fra il Brasile e l'Europa.
Quando, dopo aver costeggiato le aride sierre
rocciose della Spagna, che paiono ergersi a
baluardo ostile contro qualunque forma di
vita vegetale o animale voglia penetrare nella
penisola iberica ; e dopo essersi soffermati alle
gialle isole Canarie e alle nere vulcaniche
terre del Capo Verde, che di verde non hanno
che il nome, si tocca l'isola di San Fernando
di Noronha, prima terra Brasiliana che si in-
contra, ci si sente veramente in un altro mon-
do, fecondo, ospitale, lussureggiante, esotico.
Isola di San Fernando di Noronha
L'isola, che ha appena qniiidi(5i chilometri
quadrati di sui3erficie, ha in se tanta varietà
quanto quasi tutte le terre che si toccano nel
lungo viaggio dall'Europa ad essa. Da una
parte, rupi scoscese si alzano a iricco sulle
onde brune, minacciose ; dall'altra, una spiag-
gia amica digrada lentamente a un mare
chiaro e tranquillo. Rivoli d'acqua scendono
all'oceano in mezzo ad alti palmizi che so-
vrastano alle terre eternamente verdi, fra cui
bianche casette aprono curiose le verdi flne-
strine verso noi. Uno scoglio, sospeso all'a-
pice dell'isola, coperto da una grande roccia,
che unisce le due terre, forma un misterioso
canale entro cui il mare spumeggia. Ma San
Fernando è l'isola dei prigionieri del Brasile,
e fra quest'isola e il mare di Guanabara c'è
la distanza che v'è fra una cella e una reg-
gia. Ci raccontarono vecchi pescatori che an-
cora nei tempi della febbre gialla, quando
gli stranieri non osavano toccare terra (per-
chè dormire una notte a Rio poteva essere
una sentenza di morte), un Lord eccentrico
veniva col suo yacht ogni anno in prima-
era nella baja; vi si fermava tre giorni
agando attraverso le isole senza mai scendere
NEL MARE DI GHANA BARA
a terra, poi ripartiva. I pescatori ce lo addiice-
van come esempio dell'eccentricità inglese; ma
in verità dopo aver goduto una volta di quello
spettacolo, anche a me veniva un desiderio ar-
dente di potermi passare il lusso di questa ec-
centricità per saziare una volta all'anno alme-
no gli occhi nella bellezza di quella baja.
Voi potete essere mille volte preparati ad
ammirare la baja di Rio dalle descrizioni o
dalle fotografie in tutti i minimi particolari ;
ma quando la vedete davvero, ne restate ab-
bagliati, estasiati, confusi.
In che consiste la bellezza di questa baja?
Credo sia nella variabilità delle sue terre, del
suo suolo e delle sue acque.
Da una parte o dall'altra della baia, a fre-
nar l'impeto dell'Atlantico che la separa dal-
l'altro emisfero, sta una serie immensa di
sterminate roccie, nubi di pietra, avanzi del-
l'inferno, mandre di immensi animali antidi-
luviani dalle membra gigantesche posate pe-
santemente nel mare che gioca ai loro piedi
con murmurc amichevole. Sembrano le fanta-
stiche montagne di ghiaccio che Nansen ci de-
scrive nel mare polare, ora unite come mo-
stri gemelli, ora separate da strisce d'acqua,
Mare di Rio Janeiro
ora affondantìsi in mare donde non sorniio-
tano che detriti, ora ergentisi solitari come
superbi icebergs polari. All'infinito, lontane,
vicine, voi ne vedete ancora e sempre ancora ;
non sono isole, non sono montagne quelle
che ergono le loro vette in mezzo al mare
grigio, bianco, azzurro, violetto a seconda
delle nubi che lo sovrastano ; non sono corpi,
sono faccio, sono anime.
Si parla sempre della bellezza del mare
infinito. Attraversando V oceano era stata
questa una delle mie piìi grandi disillu-
sioni. Il mare infinito, quando almeno è
calmo, dà Pidea dell'infinito assai meno del
mare limitato delle nostre baje e delle no-
stre coste. Un elemento solo, sia acqua, sia
cielo, quando è unico senza elementi estra-
nei che lo animino, non dà assolutamente
alcuna impressione di grandiosità. Sono le
nuvole e le stelle pel cielo, le terre pel mare,
che popolando lo spazio, dandoci il modo di
misurare le distanze, presentandoci davanti
agli occhi le infinità di oggetti che possono
essere contenuti in un dato limite, ce lo
fanno parere ora grande e sublime, ora mi-
nimo. Questa sensazione infatti dell'infinito
NEL MARE DI QUAN ABARA
t
L
fi
n
cO^
che manca affatto in alto mare è intera e
<*òmpleta per quanto l'orizzonte sia assai più
limitato nel mare di Guanabara.
Ho visto qualcosa di simile in Europa sulle
nostre Alpi, quando dal picco del Capriolo,
ima delle più alte cime del monte Rosa,
in una rosea aurora, in mezzo a un fitto
strato di nubi vaganti ai nostri piedi, comin-
ciarono a spuntare al disotto di noi le cime
della catena bagnate dall'onda luminosa del
.sole nascente. E la somiglianza non deve es-
sere solo apparente ; nei nostri monti, noi tro-
^ iamo dappertutto avanzi di conchiglie, che
ci dicono avere coperto il mare, le scoscese
falde che ora ne sono tanto lontane. La neb-
bia, le nubi, che sostituendosi al mare ripro-
ducono l'aspetto che le Aljji dovevano pre-
sentare quando il mare copriva i dolci declivi,
lasciando sormontare solo le cime dirupate, i
denti, i becchi, le corna, i picchi, vi daranno
mia idea abbastanza esatta dello spettacolo
che si gode nella Baja di Guanabara, dai
monti e dalla costa. Il mare, che nelle altre
parti della terra si è ritirato abbandonando
le cime alle nevi eterne, qui è rimasto a
fecondarle col suo umore perenne.
U cielo di Rio Janeiro
Ma se razionalmente si può trovare la ra-
gione di questa bellezza, né la parola, ne la
musica, né il pennello possono riprodurre
l'impressione di queste cime erranti nel mare
infinito, le cui chiome lussureggianti sorgono
miracolose in questo azzurro africano, che le
nuvole, l'alzarsi e l'abbassarsi della marea, il
tramonto o il nascer del sole, i movimenti
delle nubi variano ad ogni istante.
Qui non solo il mare è bello, non solo la
terra è impregnata di colori, di odori, di luci,
di incanti che penetrano per ogni fibra del-
l'anima nostra, ma anche il cielo. In nessun
paese del mondo io ho visto un cielo come
quello di Rio Janeiro.
Si direbbe che, al contrario delle altre re-
gioni in cui il mare riflette il cielo, nella baia
di Guanabara sia il cielo che riflette il mare,
tanto vario è lo spettacolo celeste. Le nubi,
che quasi giornalmente si sciolgono in piog-
gie torrenziali, vi vagano in permanenza, ora
trasformandosi in fantastiche montagne per-
iate, ora in sciami di uccelli azzurri e rosei,
ora in crateri fiammeggianti al tramonto, or
n nembi dorati all'aurora. Questa variabilità
iegli elementi che costituiscono la bellezza
f.
ì^.
10 NEL MARE DI GUANA13ARA
h della baia, si ripercuotono poi in una singo-
%.. lare varietà di aspetti che essa può assumere.
f^' Da un'ora all'altra, da un chilometro alPal-
Ì'7 tro tutto cambia. Come potreste riconoscere il
tumultuoso mare di Guanabara, se lo ammi-
rate dalla spiaggia di Icarahy, che si stende
i^f lungo la costa di Mchteroi, la rivale sfor-
V:' tunata della capitale del Brasile? Là il tu-
P. multo infernale, qui la quiete paradisiaca.
t Una sabbia bianca, lucente la disegna, cri-
I. • stallina come la neve, tepida come l'alito di
{ * un bambino, soffice, morbida al tatto come
^; una carezza. Un odore acuto di gelsomino
1^ esce dai giardini delle case che lo assaporano
^/ dietro a folti alberi, mentre gli uccelli can-
^5: tano a gola spiegata. Le piccole barche a vela
1^ dei pescatori, volanti sulle acque terse come
^r grandi farfalle bianche, uniscono il loro fruscio
l[ a quello delle onde, che, attutite dagli scogli,
^ si rompono ritmiche e leggiere contro la
i. spiaggia. Piccole roccie, su cui una palma od
un ciuffo di canne si ergono qua e là, fanta-
|^> stici Dei del luogo, ripetendo in miniatura
5/ - il lieto motivo della baja, che si domina da
! lontano. Verso il tramonto le alte cime del
r ; Corco vado e della Tij ucka, pali ide pallide, quasi
V*':
Icarahy. - Copacabana 1 1
aeree, scompaiono nello scintillìo dol sole che
sta per varcarle, mentre le basse montagne
di faccia, coperte dalle manffimre maestose,
spiccano in verde cupo, e la ridda tumultuosa,
delle isole lontane, diafane in quell'ora, si
confonde colle nubi fantastiche che le con-
tornano. Pochi minuti dopo, tutte le monta-
gne a levante, a ponente, si avvolgono in un
nembo d'oro, che, caduto il sole, si cambia in
una tinta violetto intensa. Il mare resta pal-
lido, e sul suo fondo biancastro ì riflessi del
tramonto tracciano delle linee grigiastre e
rosate. Dei diamanti, delle perle, dei rubini,
delle tormaline d'ogni colore cominciano a bril-
lare allora lontano sul mare e sul monte : si
muovono, si moltiplicano formando una stri-
scia luminosa che serpeggia sinuosa in alto
e in basso. Sono le luci di Rio, delle sue isole,
dei suoi sobborghi lontani, che nella semi-
oscurità del tramonto vagano come fuochi
fatui, come anime celesti.
Differente ancora è lo spettacolo che si
gode da Copacabana, il primo degli infiniti
seni che si protendono verso il mare libero,
sulla costa di Rio Janeiro.
Una stretta lingua di roccia su cui si erge
12 NEL MARE DI GUANABARA
timida come una vergine implorante una
chiesetta, ne segna il limite estremo. In
esso l'acqua scura, per il riflesso delle alte
montagne che la sovrastano, è placida co-
me in uno stagno. Non ci sono scogli, non
navi che solchino le onde, non isole, non al-
beri, non uomini; solo poche barche sulla
riva confondentesi colle basse grigie casette
costrutte nella sabbia. Pare la baia della pace,
dell'amore, e del riposo. Dall'altra parte dello
stretto molo si erge il mare libero. Le onde
bianche, muggenti, si agitano tumultuose
come cavalli focosi troppo a lungo tenuti a
catena, con un fracasso terribile. Si ergono
in fantastiche montagne di acqua, si rompono
in canaletti, in laghetti innumerevoli, si sca-
gliano furibonde contro il molo roccioso e
contro il Gran Gabbiano, che la limita dal-
l'altro lato colle sue nere vele librate verso
il cielo.
Dal Corcovado.
Fin qui il mare di Guanabara, visto dalla
spiaggia, dal mare, dalla costa; ma più me-
raviglioso è il vederlo dall'alto, dalla Tijucka,
Corcovado 13
dal Sumaré, dal Corcovado, dagli alti monti
coperti di vegetazione, che limitano la baia.
Siamo qui in piena foresta vergine, foresta
magra dicono, perchè lascia vedere il cielo e
crescere le umili erbe sul terreno. Sul suolo
le foglie dentellate, pelose, di certe bacche
rosse, crescenti su un muschio ubertoso, for-
mano un sofl&ce tappeto da cui fanno capo-
lino i fiori del licopodio. Da un lato, dal-
l'altro, del tram che si inerpica sul monte,
fra gli alti alberi della foresta, le liane sten-
dono i loro arazzi variopinti, attraverso ai
quali compaiono qua e là le foglie giallastre
dei banani, curve sotto l'immane peso del
grappolo verde, e le palme nane e i cesijugli
fioriti. Immense farfalle dalle ali variopinte,
minimi colibrì dalle piume cangianti volano
sui margini della foresta. La bellezza di tutte
le stagioni è qui riunita.
L'autunno coi dorati frutti, coi colori ros-
sastri delle foglie, la primavera coi fiori va-
riopinti, colle gemme verdi lucenti che bril-
lano all'apice di ogni ramo scuro; l'estate
colla vegetazione lussureggiante e cogli acu-
tissimi odori ; l'inverno coi profili solenni de-
gli alberi spogli.
14 NEL MARE DI QUANABARA
Ma i fiori, i frutti, ma gli alberi, ma gli
odori, ma i rumori della foresta, sono nulla
vicino allo spettacolo che ad ogni spiraglio
del bosco ci offre la pianura.
tJn tumulto di montagne verdi, di vallette
misteriose, di acque, di seni sta attorno a noi,
sotto il noi, sopra a noi. Il mare ne circonda
da tutte le parti, un mare grigio, un mare
verde, un mare a strisele, un mare in tu-
multo, un mare pacifico. Nella insenatura
delle coste, a Frei-Freita, a Hypanema delle
baie, deliziose tranquille come dolci laghetti
alpi ni j riflettono nelle loro acque cristalline,
appena congiunte al mare da un breve riga-
guoloj le bianche casette sparse sulle rive.
Più in là, dietro alla chiesa di Oopacabana,
I)resso all'isola del faro, sotto al Gran Ga-
viota, che apre al vento le sue larghe falde,
l'oceano tumultuoso si rompe in bianca spu-
ma. Davanti a noi in mezzo alla baia, tutte
le infinite isole che la segnano, la popolano: i
due Fratelli, il Gran Padre, la Gran Madre
cogli innumeri figli, l'Isola Rasa, l'Isola Fi-
scale, il Becco del Pappagallo, l'Isola di Santa
Oniz, l'Isola dei Serpenti, l'Isola delle Man-
gueire, sorgono dalle onde. Ora tutte le isole,
I
Mio Janeiro l'i
tutte le cime nel sole tramoutaute appaiouo
oscure, terribili come neirinferno, ora esse si
ergono fantastiche in mezzo alla nebbia come ]
nelle storie delle fate.
Come è bello! Come è bello I Vi ha dei -|
posti in cui si desidererebbe di vivere, ma
nel mare di Guanabara quasi si desidererebbe
di morire, per restar sempre congiunti a que-
sta natura così piena di incanti per trasfor-
marsi in un atomo di essa, e poterla assapo-
rare per sempre!
Eio Janeiro.
Ve la immaginate voi una città distesa
tutta in una costa incantata, disseminata fra
infinite isole fantastiche, insinuata tra le gole
dei monti, aggrappata alle falde di roccie
dirupate, in piena foresta vergine? Tale è
Rio Janeiro.
Ma non c'è in verità una Rio. Ci sono molte
Rio, diflFerenti le une dalle altre, riunite solo
dalla comunanza del nome, dalla vicinanza
«logli edifici.
C'è la Eio popolare che si inerpica verso
castello, ora Osservatorio astronomico e già
16 KEL MARE DI GUANABARA
rócca forte della città, il monte donde i Por-
tuali c\si difesero sino all'ultimo sangue il Bra-
mile contro gli Ugonotti francesi, che, instal-
liiti uelFisola di Oobras, volevano penetrare
nel continente. In alto, la fortezza coronata
(lalPantica chiesa dei Cappuccini, in cui sta
sepolto Eustacchio De Sa, il fondatore della
cìttù, nell'orto della quale dei moderni frati
Italiani hanno scavato una specie di piccola
caverna di Lourdes, colle relative acque mi-
racolose.
(Questa è la Rio coloniale dalle case a un
solo piano, vivamente colorate, dalle finestre
ostinatamente chiuse, dalla porta regolar-
mente aperta, unico spiraglio della popola-
7Ìone femminile, della famiglia, a giudicar
dalle teste che si aifoUano ad ogni quadrante
di essa.
Le case si inerpicano disordinate per una
piccola stradicciuola in mezzo a cui corre un
ruscello; fral'una e l'altra, dei lembi di prato
montuoso, gremito di bambini rotolanti, gri-
danti, sguazzanti, colle galline e colle ca-
prette con cui si confondono.
Nella stretta stradicciuola non si aprono
botteghe, ma in compenso i venditori ambu-
Rio Janeiro coìontale 17
lanti sono numerosi e variati. Accercliiati, o
seguiti da codazzi di bimbi seminudi, pas-
sano i venditori di caramelle, che tengono i
loro zuccherini in carte argentate e frasta-
gliate, ammonticchiati su un vassoio ornato
di fiori o su un tavolino luccicante di vetro
sospeso in capo.
Procedono lenti, come i condannati al can-
go cinesi, i venditori di gelati, al centro di
certe tavole multicolori, luccicanti di cam-
panelli e di sfere dorate sospese alla cintola ;
si soffermano solitari ai quadranti delle porte
gli erbaiuoli, dal largo cappello, le cui ceste
pendono a bilanciere da un lungo bastone
appoggiato alle spalle, mentre i venditori di
stoffe, di nastri, di maglie, di trine, gridano
a squarciagola, scuotendo la loro merce so-
spesa a banderuola su un'asta. In questo quar-
tiere predominano i neri, e sopratutto le nere,
col lungo scialle rosso o violetto drappeg-
giato sul vestito bianco inamidato, il fazzo-
letto legato a turbante sul capo, che lascia
vedere i lunghi orecchini d'oro o le collane
di vetro.
Questa Eio popolare non ha niente di co-
une colla Eio moderna, la Eio tolta al
Febrsbo. America del Sud. 2
18 NEti MARE DI GUAKABABA
mare ed alla febbre gialla dai lavori del porto,
in cui il cemento delle strade copre vittorio-
samente e per sempre ormai le acque sta-
gnanti, fonti una volta di tanti mali. La Rio
dalle larghe avenide in cui si innalzano i ma-
gazzini moderni dalle vistose vetrine, i grandi
palazzi a quattro o cinque piani, di cui molti
furono costrutti da un architetto italiano,
Antonio Januz2i, e fra cui brilla immaco-
lato il palazzo Monroe colla sua veste bianca
e i suoi vetri scintillanti; la Rio dei grandi
palmizi che si ergevano diritti, nobili come
colonne di un tempio lungo le rive del mare
e che fiancheggiano ora i palazzi maestosi;
la Rio aristocratica in cui passano, rari e si-
lenziosi come uccelli marini, i rapidi auto-
mobili e i calessi padronali.
Ma questa Rio è a sua volta affatto dif-
ferente dalla Rio commerciale, insediata nei
bassi palazzotti dell'antica Rio aristocratica,
dai curiosi balconi in ferro battuto e le pa-
reti in ceramica bianca ed azzurra come le
indiane. Par d'essere veramente in India od
in Cina. Le bottéghe si seguono fitte fitte, le
une dopo le altre, incorniciate da lampioni,
da festoni di carte argentate frastagliate come
La città aristocratica • la città commerciale 19
nelle nostre fiere, appena divise da un pila-
stro quadrato. Non ci sono vetrine, non soat-
fali ; la merce pende per ogni dovè, dal sof-
fitto, dalle colonne, ingombra il pavimento,
si innalza sulle aste appoggiate agli angoli
della bottega. Tutto è colorato, movimentato,
pieno di luci, di suoni, di grida. Le vie sono
riboccanti di uomini e di veicoli di ogni fog-
gia e di ogni colore ; automobili scuri, trams
rossi dalle tendine cerate verdi luccicanti
come erba rugiadosa, e carretti elegantemente
disegnati come quelli siciliani, e carri fune-
bri violetti che corrono al galoppo seguiti da
carrozze aperte in cui i piangenti spariscono
sotto i fiori e i nastri vivaci ; fattorini , neri
dalla camicia rossa e la variopinta cassetta
di latta sotto il braccio, e garzoncelli oliva-
stri il cui capo scompare sotto il panno scar-
latto che ricopre la cesta che essi portan cor-
rendo, con meraviglioso equilibrio, sulla nuca,
e giornalai fissi immobili nei loro minuscoli
padiglioni cinesi dai draghi spaventosi e dai
campanellini rilucenti. Tutti vanno, vengono,
si incrociano, si salutano rumorosamente,
neutre i venditori ambulanti urlano, schia-
nazzano richiamando l'attenzione del pub-
Il
l
^0 NEL MAKB DT nUANABARA
blico con strumenti musicali di ogni ge-
nere.
< Questa è la Ilio rumorosa, la Kio luminosa.
Alle sette di sera (più ci si avvicina all'e-
quatore più il giorno è ugualmente corto),
tutte le botteghe, tutti i venditori ambulanti,
tutti i chioschi accendono i loro fanali, i loro
globi colorati, i loro draghi fantastici, men-
tre dai fari elettrici i)iove sulla strada un
diluvio di luce bianca. Le vie paiono incen-
diate, e sotto Fonda luminosa che par voglia
competere coll'onda del sole, il movimento,
le grida continuano fino a notte inoltrata.
Ma v'hanno ancora delle altre Eio, la Rio
dei sobborghi, la Eio della spiaggia di Hipa-
nema, di Oopacabana, che si spande tacita
coi suoi villini silenti lungo le rive del mare
incantato, lungo le baie appartate, nascoste
dalle antiche niangimre, dai leggieri cedri del
Libano, la Rio dei monti, la Rio di Santa
Teresa colle casette sparse sul monte, sepa-
rate le une dalle altre dalla foresta impene-
trabile, rilegate ciascuna al centro da un ra-
pido tram elettrico che si inerpica sbuffando
in mezzo alla foresta coperta di liane e di
orchidee. Fra Santa Teresa e la città costiera
La Rio delle isole 21
c'è un abisso. Su esso un lungo ponto sospeso
permette di dominare i quartieri popolari
sottostanti, e il monte e il mare.
V'ha poi la Eio delle isole. L'isoletta Fi-
scale, col prezioso jialazzo che tutta la oc-
cupa ; Pisola da^ Cóbras (dei Serpenti), la prima
isola abitata, la rócca forte degli Ugonotti, che
riproduce in mezzo al mare un poco la Rio della
fortezza, e l'isola dei Marinai coll'elegante col-
legio navale che sorge in mezzo ad una fo-
resta di navi a vela ed a vapore, presso l'i-
sola Easa^ sparente quasi nell'acqua sotto
il peso dei suoi cannoni minacciosi; l'isola
di Santa Cruz, un paradiso, giardino ridotto
a frutteto e a orteto da un geniale industriale
filantropico che in un'altra isola ha costrutto
dei cantieri in cui lavorano centinaia di ra-
gazzi orfani ed abbandonati. Egli li raccoglie,
li istruisce, li fa lavorare, dà loro, oltre a un
piccolo salario che va a libretto, una si)lon-
dida casa, il mantenimento, lezioni di musica
e vestiario, dotando così il paese di un prezio-
so orfanotrofio laboratorio, ugualmente utile
al paese, ai piccoli abbandonati ed a se stesso.
E tutte queste Eio si intrecciano, si se-
^uon, separate le une dalle altre da verdi
L
S2 NEL MARE DI GUANÀBARA
giardini, in cui si addensano a imitazione
della natura tutte le piante dell'universo, da
viali di alti palmizi che torreggiano superbi
al disopra dei fumaioli degli edifici, da tuffi
di foresta vergine che immergono la città
nella verdura, come le isole della baia nelle
onde del mare.
II.
Lo Stato di San Paolo.
Le Foreste.
Lo Stato di San Paolo assomiglia assai a
quello di Minas Geraes con cui è confinante.
Sono monti o meglio colline susseguentisi le
une alle altre come le nostre langhe dell'Asti-
giano, e che vedute dall'alto danno l'impres-
sione di onde in temi)esta ; sono altipiani si-
lenti, e fiumi e canali e rigagnoli scorrenti
in mezzo ad una verzura lussureggiante. Ma
quello che più colpisce nello Stato di San
Paolo, specie coloro che non hanno ancora
veduto le altre regioni del Brasile, sono le
ne foreste. Da Santos a San Paolo, da San
'aolo a Eiverón Preto, la terra — inoltran-
osi a piedi, in carrozza od in ferrovia —
24 LO STATO DI SAN PAOLO
ù tutta coperta di foreste vergini le più
varie e meravigliose che si possano imma-
ginare.
Quando si parla di una foresta vergine, noi
ICuropei ci immaginiamo sempre necessaria-
mente i grandi boschi che abbiamo visti nelle
nostre montagne, un suolo nudo e brullo su
cui querele e pini altissimi stendono mae-
stosi i loro rami ; qui niente di tutto ciò. La
foresta vergine non è intanto mai coperta di
una sola specie di alberi, non ha quasi mai,
almeno nel Brasile, il suolo nudo. Licheni
grigiastri, e verdi muffe, e leggeri licopodi dai
fiorellini bianchi formano un soffice tappeto
ubertoso; sopra essi, fra le felci arborescenti
e le palme nane, tremano le sottili foglie
trasparenti delle timide sensitive. Qua e là
alcune immense lìuingiieire, dal cui tronco ru-
goso i)artono infiniti e contorti rami gigante-
^vM^ interamente coperti di dure foglie, for-
mano una fitta volta impenetrabile, sormon-
tata dai sottili tronchi degli alti liipé che driz-
zano verso il cielo i rami svelti e nudi, coro-
nati di ciuffi di fiori giallo dorati, simili a quei
VtVLzì smaglianti che guizzano nelle notti fe-
stose, formando nel cielo una margherita
Nella foresta 25
che ricado in pioggia luminosa. Quasi tutti
gli alti alberi dei boschi hanno più o meno
questa forma di razzo coi lunghi rami nudi,
ed il ciuffo di foglie e di fiori alPapice, che
cerca attraverso il fitto fogliame di fai'si
strada verso il sole.
Presso alVhipé, l'albero sacro, di cui gli
indigeni fabbricavano le loro freccio, voi po-
tete vedere delle famiglie intere di Pm Brasil
(legno ardente donde si trae il rosso tintorio),
da cui il Brasile proso il nome, i cui figli si
elevano seri, impettiti sotto il vigile occliio
di una grave madre incatenata nelle grosse
liane che la serrano come bende di mum-
mia egizia. Liane, liane, liane, ecco il sim-
bolo della foresta vergine; liane di tutti i
colori, di tutte le età pendono per ogni dove,
or grosse come alberetti, or sottili come vi-
ticci di vite, ora inalzantisi a scala infinita,
or formando una molle amaca fiorita, ora
cadendo al suolo come salici piangenti, ora
foggiando colle leggiere campanule azzurre
che vi si intrecciano colle rosee orchidee che
vi si fissano, degli arazzi smaglianti, delle cu-
j)ole trasparenti. Le liane accompagnano la
pianticina al suo primo uscir dalla terra ; le
26 LO STATO DI SAN PAOLO
liane uccidono, soffocano la pianta adulta per
far posto alle nuove generazioni.
Per la strada ferrata che da San Paolo con-
duce a Riverón Preto, la regione del caffè,
la foresta ci accompagna in tutte le forme
più variate, in tutti i colori più strani.
Ora un bosco ondeggia ai nostri piedi colla
sua inestricabile chioma, che non permette di
vedere i^tronchi maestosi di cui è la volta ; ora
una foresta bruciata ci getta in faccia le ulti-
me ondate di fumo, e del fuoco che la incene-
risce; e in mezzo alle ceneri lasciate dalle
liane, dalle erbe, dai rami, dagli arbusti, i
tronchi abbattuti si stendono neri come bare,
mentre i giganteschi jequiritiba, i re della fore-
sta (alti 50 a 60 metri), risparmiati dalla scure,
si ergono come torri minacciose da cui pen-
dono lacerati stendardi di liane e di rampi-
canti abbruniti. Poco lungi da questo campo
di battaglia, sanguinante ancora di morti e
di feriti, altri boschi caduti e già riverdeg-
gianti passano sotto ai nostri occhi in cui gli
arras violetti e le rosse malvacee intrecciano
i loro colori e i loro profumi ai verdi cespugli
che paiono ricresciuti là ad indicare l'eterna
circolazione della vita che nasce dalla morte.
L^ oppressione della foresta 27
Ma dopo un'ora, dopo due ore, dopo tre
ore la foresta comincia ad oi)primervi. Ho
detto che mai si sente così bene l'idea del-
l'infinito come nel mare di Guanabara, perchè
le isole che vi formicolano ne moltiplicano
l'ampiezza ai nostri occhi. Ma quando dentro
uno spazio ristretto la vita si accumula, si
sovrappone così furiosamente come in una
foresta vergine, non è più il senso dell'infi-
nito che vi penetra, ma quello della solitu-
dine, della sfiducia nelle proprie forze. Dopo
qualche ora una foresta di cui non vedi ne
il principio né la fine, non è più imponente, è
umiliante. Ohe cosa può fare l'uomo davanti
a quelle liane, a quei cespugli che gli sbar-
rano il passo, la vista, l'udito? Non provate più
quivi" lo sconforto dell'uomo solo nel mondo,
ma lo sconforto dell'uomo solo in una grande
città animata, in cui tutti gli individui che
incontra, che vede, vivono, e si agitano in-
differenti ai suoi bisogni, ai suoi desideri.
Davanti, di dietro, di sopra, dì sotto, liane,
uccelli, fiori, alberi che vivono per sé, fra sé,
che non ti chiamano, che non ti invitano, che
ti ricacciano lungi da loro, come un intruso.
Dopo aver viaggiato per delle ore e delle
28 LO STATO DI SAN PAOLO
ore attraverso alla foresta vergine, si capisce
la vendetta dell'uomo che la brucia, anche
senza un bisogno urgente, solo per sentirsi
trionfante di questa natura indomabile : solo
per vederla bruciare.
L'incendio di una foresta è uno degli spet-
tacoli più frequenti a cui si possa assistere
nel Nuovo Mondo. Non avviene però a caso
come immaginiamo noi, disabituati da secoli
a questo spettacolo. La foresta viva non bru-
cia spontaneamente, come tanto spesso rac-
contano i libri di viaggi. Se qualche liana pi-
glia fuoco, l'umore delle grandi piante basta
ad arrestare l' incendio o almeno a salvare le
l)iante d'alto fusto, mentre gl'intricati cespu-
gli che limitano l'aria in basso finiscono per
soffocar il fuoco più vivo. Per bruciare una
foresta bisogna [abbatterla prima, lasciarne
seccare i)er alcuni mesi gli alberi abbattuti,
le liane, le erbe recise ; e isolare il recinto
da bruciare con una larga strada nuda. Il
darvi fuoco è una funzione solenne. Tutti i
coloni della fazencUi, del villaggio, della co-
lonia dove si intende bruciare il bosco, cin-
quanta, cento, duecento persone, quante se
ne possono radunare, si collocano all'intorno
La foresta in fiamme
del bosco destinato al sacrificio con delle
torcie resinose in mano ; allo scoppio di molti
petardi, segno che la battaglia è ingaggiata,
tutti gli uomini danno fuoco contempora-
neamente, poi fuggono lontano, mentre dalla
foresta partono colpi, grida, sibili disperati.
Gli alberi pieni di umore scoppiano con gran
fracasso, lanciando quali bolidi grossi tronchi
e rami lontano, attraverso al sentiero isolante,
mentre i rami più verdi si contorcono in spa-
simi spaventosi e le liane, le erbe pii\ secche
bruciano con fiamma vivissima che copre dei
suoi bagliori l'orizzonte. Sembra un cratere in
fiamme, un incendio che voglia incenerire il
mondo. Tutto ciò non dura che mezz'ora, ben
presto il fumo invade il luogo dell'incendio
e copre ogni veduta. Quando il fumo si di-
rada il bosco è ridotto ad un braciere, ar-
dono i tronchi, arde la terra; qua e là lingue
di fuoco serpeggiano sotto ai mucchi carbo-
nizzati mentre gli alti alberi risparmiati dalla
scure, scuotono l'annerita chioma al cielo
quasi chiamando vendetta. Bruciato il bosco,
i boscaiuoli — dei neri di solito — vengono
a raccogliere il carbone, ad affastellare i tron-
chi rimasti, a seminare il maiz^ l'unica pianta
80 LO STATO DI SAN PAOLO
che possfi dar frutto raccoglibile nella foresta
iiiniciatii, I tronchi recisi stanno in piedi per
anni v ]>0r anni, anche quando una cultura
regolare di grano o di riso abbia sostituita
quella del niaiz, fino a che dopo decenni le
formiche ed il tempo abbiano ragione della
loro coin}»agìne e li demoliscano a poco a poco.
San Paolo.
San Paolo, la capitale dello Stato omonimo,
situata su un largo altipiano ondulato che dà
Pilinsione di esser nei dintorni di Firenze,
concenti a in sé l'ammirazione di tutti i Bra-
silianij stupiti ed orgogliosi di avere anch'essi
una città americana, piena cioè di quello spi-
rito di orgoglio, di intraprendenza, di ardore,
di attività divorante che manca alle antiche
metropoli brasiliane.
Il territorio ove ora sorge San Paolo era abi-
tato nei tempi preistorici da una tribù indiana,
che i Gesuiti riescirono a domare ed a far lavo-
rare. Poiché era prossimo a Santos, il porto più
facile e comodo del Brasile, fu scelto per fon-
darvì un centro donde irraggiare nel fertile
territorio circostante.
La città di San Paolo 31
La città però non ha conservato nulla nel
suo aspetto che ricordi l'antico dominio dei
servi di Dio, che nel giorno di San Paolo vi
pronunciarono la prima messa, dalla cui so-
lennità il luogo prese il nome. L'antico col-
legio dei Gesuiti è stato trasformato in casa
del Governo, ed il palazzo che essi avevano
costrutto per T^mcyra^ il capo degli Indiani
sottomessi, è stato surrogato dal convento di
Sdo Bento. — Attorno a questi venerandi edifici
sorgono ora nuovi palazzi, che ai fasti antichi
non furono presenti : la Scuola di diritto, una
delle più importanti del Brasile, che diede la
maggior parte degli uomini politici del paese ;
ed il Politecnico, da cui escirono gli ingegneri
che costrussero le splendide e complicate fer-
rovie, necessarie a riallacciare le immense
Provincie della repubblica tra di loro. Città
industriale e commerciale di primo ordine,
San Paolo concentra in sé e nel suo ricco
Stato metà del commercio di esportazione e
di importazione del Brasile.
Ospedali, ospizi degli emigranti, scuole ele-
mentari e superiori, farmaceutiche e com-
merciali, per donne, per uomini, per bam-
bini, niente manca a far di San Paolo una
•
32 LO STATO DI SAN PAOLO
città comoda e colta. Le belle strade, le mi*
1^ merosu piilazzine, i lunghi viali ombrosi, le
I . botteghe lornitissime, i giardini, i musei, i
1 ' tramsj le carrozze, i clubs, gli automobili, le
l numerose colonie agricole dei contorni ne
fanno una delle città più moderne ed a buon
1 mercato dell'America Meridionale; i teatri
^ nuiuerOBÌj i campi di corse e soprattutto il
giardino-flera che olezza nei dintorni dell'Ipi-
ranga, ne fanno una delle città più diver-
tenti. In questo giardino sono raccolti in per-
manenza tutti i baracconi che da noi in car-
nevale «onu sparsi per le diverse piazze delle
città. Tutta San Paolo vi si riversa la domenica,
nei calessi, nei trams, a piedi, invade i caffè,
le giostrej ì teatrini, i toboga, le carrozzelle ti-
rate da capre, e tutto il ben di Dio che sa
imniaginare la società moderna per divertire
gli uomini; la banda municipale vi suona
nel dopopranzo compiendo così la festa di
questo giardino, che è una delle attrattive
più forti dei popolani e provinciali dello Stato.
Opera di un italiano, di un garibaldino,
anzi, il Bezzi, da quarantanni domiciliato nella
Bepubblica Brasiliana, a cui diede una serie
di palazzi pieni di originalità e di arditezza, è
L'Ipiranga 'ò'ò
Vlpiranga il più bel palazzo architettonico, a
detta di Eliseo Keclus, che possegga il Bra-
sile, che resterà insieme testimonio della ric-
chezza di San Paolo e del genio architetto-
nico italiano nel Brasile.
Questo monumento, eretto a celebrare la
indipendenza del Brasile, che in quel punto
fu proclamata a pochi passi del fiume da cui
Vlpiranga prese il nome, è destinato a con-
tenere gli esemplari della flora, della fauna,
dell'etnologia e storia del Brasile. La fauna e
la flora e l'etnologia brasiliana così variate
per forme e colori, e la cura con cui il mu-
seo è stato ordinato, rendon Vlpiranga uno
dei più interessanti musei del mondo. Gli
animali, le piante, i ricordi degli Indiani non
sono accatastati nelle vetrine, ma disposti
al vivo su uno sfondo dipinto a panorama;
voi vedete sulle azzurre acque del Eio delle
Amazzoni nuotare dei pesci così vivamente
colorati come le farfalle, e volare delle farfalle
che sembrano dei fiori, e correre degli uccelli
che hanno le forme più strane ed inattese,
e li vedete coi loro nidi, colle loro dimore,
sui loro alberi coi loro compagni di vita,
nei loro atteggiamenti naturali. I serpenti
Ferrerò, America del Sud, 3
B4 LO STATO DI SAN PAOLO
dormono, strangolano, spiccano salti che sem-
bran voli, facendo brillare le variopinte scaglie
che luccicano con riflessi metallici accanto
alle case delle formiche, di cui potete pene-
trare nei più intimi meandri.
Il carattere più spiccato della città è la sua
italianità. Si sente parlare italiano più a
San Paolo che a Torino, a Milano, a Napoli^
perchè mentre da noi si parla il dialetto, a
San Paolo tutti i dialetti si fondono sotto
l'influsso dei Veneti e dei Toscani, che sono
in maggioranza, ed i nativi adottano l'italiano
come lingua ufficiale.
San Paolo conta una cinquantina di scuole
italiane, più numerose società italiane di mu-
sica, di pittura. Vini, pane, automobili, ve-
sti, panni, libri^, réclanies, tutto è italiano.
Xelle rivendite alimentari voi vedete delle
montagne di scatole di pomodoro siciliano,
di paste napoletane : nei negozii di vestiario
figurano tutti i nostri cotoni lombardi, le
nostre sete comasche, i nostri cappelli fioren-
tini od alessandrini.
Immaginate ora la gioia di tutti questi Ita-
liani da dieci, da venti, da trentanni lontani
dalla terra natale, lottanti contro tutto e contro
U italianità di San Paolo B5
tutti, nel vedere arrivare tra loro un italiano,
un vero italiano, che era venuto dalla patria
non per cercarvi oro o fortuna, ma per spar-
gere un soffio di italianità fra quelle terre,
per far sentire che cosa sapeva ancora fare
l'Italia; un italiano che ministri e deputati
della Repubblica inchinavano con tanta ve-
nerazione, a cui prestavano un treno spe-
ciale, che ospitavano a cura dello Stato ; nel
vedere un bambino nato nel paese dove essi
avevan giocato bambini, nel paese che era
rimasto, nei loro occhi, nei loro cuori, come
il Paradiso terrestre negli occhi di Adamo e
di Eva! Fu un delirio, una frenesìa. Venti-
mila, trentamila Italiani erano venuti ad in-
contrarci. Oi aspettavano da parecchie ore sul
grande piazzale della stazione, nelle vie adia-
centi. Ciascuno di noi fu sollevato di peso,
collocato in grandi carrozze dello Stato in
mezzo alla folla urlante che ci copriva di
fiori, che avvivava in noi tutto quanto ricor-
davamo a loro dell'Italia, le città, gli eroi
patrii, la scienza, le glorie antiche, le glorie
moderne, i nomi piti cari a loro, i nomi più
Bari a noi, il nome sopratutto di Cesare
Lombroso.
B6 LO STATO DI SAN PAOLO
Quundo v'erano stati i festeggiamenti a
, Torino di mio padre, dall'America Meridionale
I era giunta una lettera collettiva a nome
degli emigranti italiani riconoscenti pel bene
che aveva fatto ad essi la gloria sua, ultimo
riparo dietro a cui avevano potuto orgogliosi
drizzare il capo. Bell'America Meridionale
dap]>ert vitto la legislazione è stata modificata
in buse alle teorie di mio padre, ed il nome
di Lombroso è diventato perciò familiare fra
quella gente come quello di Garibaldi e di
;5litzzini, gli altri Dei protettori del nome
d'Italia.
Por un'ora la folla ci seguì così, esultante,
P' delirante, gridante; né dopo ci abbandonò
* più completamente: la strada dell'albergo che
ci ospitava era occupata in i^ermanenza da
gruppi dì giovani che stavano a guardare
ed aspettare. Circoli, clubs meridionali e set-
i tentriimiili, scuole, fabbriche e ospedali, foto-
grati, tutti volevano cogliere una traccia di
noi, darci una pergamena, un regalo, un
mazzo di fiori. Xell'albergo, imbandierato per
l'occaBÌune, v'era nel grande salone la tavola
bandita ogni giorno per ventiquattro persone ;
e ogni giorno dei fiori, oh ! dei fiori come in
Liete accoglienze degli Italiani ^ 37
nessun paese del mondo, delle rose celesti come
il cielo, delle orchidee bianche come la neve,
rosse come il sangue, violetto-cupe come ame-
tiste ; e insieme ai fiori arrivavano ogni giorno
ricordi dell'arte locale antica e moderna : for-
miche vestite, farfalle, ascie, dolci, frutti, gio-
cattoli di ogni specie. I teatri diedero in nostro
onore spettacoli italiani. Il console italiano
comm. Barone, che ci fu compagno nei pranzi
e nelle feste, piangeva, commosso, a calde la-
crime ; ed in fondo in fondo ero commossa an-
ch'io, non per le feste che ci tributavano, ma
per la gioia di tutta quella gente, gioia che
segnava la loro intensa sete di patriottismo,
così barbaramente delusa dall'Italia conti-
nentale. Niente, niente fa l'Italia per gli Ita-
liani di laggiù, assolutamente niente. Un ita-
liano, il presidente della Camera di Commercio,
ci diceva, che avendo scritto al Governo per
avere un sussidio onde aprire una esposizione
di industria italiana o pigliar parte almeno
a quella prossima che si terrà a Rio Janeiro....
aveva avuto come promessa.... notisi, 500
lirellll
E c'è nello Stato di San Paolo più di un
milione di Italiani, molti dei quali ricchi
38 LO STATO DI SAN PAOLO
e disposti a comperare merce italiana solo
jierchè italiana, e gli Italiani di qua si affa-
ticano a cercare sbocchi ai loro prodotti là
dove sono inesorabilmente respinti. Ma dap-
pertutto è così, l'Italia continentale pare
ignorare t^ompletamente la sorte dei suoi
tìgU lontani, e non cerca in alcun modo di
dar loro aiuto, di conservare a loro l'amore
per la iJatria, amore che potrebbe in futuro
e anche in presente esser di così forte ap-
poggio a quelli rimasti.
ifELLE « FAZENDE » DEL CAFFÈ.
JMa non posso finire di parlare dello Stato
di San Paolo senza dire delle fazende di caffè,
quella parte, credo, che più interessa gli Ita-
lianij i quali hanno nelle fazende stesse mi-
gliaia dì compatrioti.
L'organizzazione di una fazeiida è molto
dilierente da quella delle nostre campale,
ville, fattorie, o tenute. Ciò dipende dal fatto
che in Europa la campagna serve unicamente
per alimentare i suoi coltivatori o le città
vicine, ma raramente è sfruttata con un
solo genere di coltivazione ad uso sopratutto
Origine delle ""fazemle^ 39
commerciale, con tutti gli impegni e le esi-
genze delle solite industrie, come è invece
il caso della fazenda di caffè, della hodega
<ìi vino, delVingenho di zucchero argentino o
brasiliano.
La origine di queste aziende agricole deve
«ssere cercata nelle fattorie che Olandesi,
Veneziani e Francesi stabilirono prima nel-
Plndia per coltivarvi o raccogliervi le droghe
preziose. Si tratta cioè molto più che di una
tenuta agricola, di una industria in cui la terra
rappresenta la materia prima, che viene tra-
sformata a mezzo di macchine e di salariati,
i quali non vi mettono alcuna esperienza,
né iniziativa, né ingegno personale. Queste
aziende agricole si basarono in Brasile dap-
prima sul lavoro di schiavi neri importati dal-
PAfrica. (In qualche tenuta Francesi e Ge-
suiti usarono il lavoro degli Indi, ma l'Indo
-é così indipendente per indole che mai i f((r
zendieri poterono contare su essi in modo
regolare). Lo schiavo abitava vicino al pa-
drone. Accanto alla casa del fazendero si
^/Ostruiva un lungo muro circolare che si
chiudeva la notte; verso l'interno del muro
v^enivano costruite le camere degli schiavi.
[
r
40 LO STATO DI SAN PAOLO
Al suono di una campana gli schiavi si al-
zavano^ al suono di una campana si cori-
y cavano ; se la terra rendeva più. o meno ^
: se il caft'è era più o meno caro, la cosa non
p li riguardava in alcun modo. Essi non erana
L interessati al reddito, né alla variazione delle
colture, rìdt^tte, del resto, a quelle del caffè e
* dello zuccliero. Le pretese degli schiavi e dei
I ricchi signori erano poche. Zucchero e caffè^
frutti naturali, mao-mao, yàbuticaba, hanane,,
^ amiìms^ uniti ai prodotti della caccia o della
peBca (spesso nelle fazende c'è un lago, sem-
pre uu bosco), erano l'alimento costante degli
agricoltori e dei padroni.
La fazmida moderna si è assai modificata»
IEasa comprende ora ordinariamente: un grosso
territorio di bosco vergine; un campo dove
ai coloni è permesso di seminare il maiz o
il risa e un grande prato in cui pascolano
gli armenti dei coloni. Il colono è un mi-
sto di bracciante e di mezzadro: è brac-
ciante ili *iuanto è pagato un tanto ogni
mille piedi ili caffè che cura e ogni tanti
sacchi di i^affè che raccoglie; è colono in
quanto riceve dal proprietario la casa, un
orticello, un pezzo di campo dove coltiva il
r^
La ^fazenda„ moderna 41
SUO grano, e un pezzo di prato ove pascola
le sue bestie. Quasi tutte le /«^eurfe hanno la
loro cappella, la loro fontana, il loro ospedale,
i loro artigiani, il loro medico, il loro prete.
In alcune fazende meglio amministrate, il
proprietario tiene anche vaccheria e fornisce
ai coloni frutta e latte gratis^ in tutte for-
nisce cibarie e strumenti agricoli contro paga-
mento. Alla casa comune dentro il muro di
cinta degli schiavi sono state sostituite cen-
tinaia di piccole casette, aprentisi in va-
rie strade, raggruppate a cinquantine qua
e là in diversi punti della mffeiera (così si
chiama lo spazio dove si coltiva il caffè).
Nello Stato di San Paolo le caffekre sono
tutte concentrate in uno spazio ristretto che
va da Campinas a Riverón Preto. Lasciata Cam-
pinas, per ore ed ore scendiamo, saliamo, ci
arrampichiamo per le rosse colline in cui i
verdi arbusti stanno amichevolmente alli-
neati. Una terra si apre ogni tanto, una larga
striscia di Incus rossa nuda, in cui un centi-
naio di case bianche stanno appollaiate come
greggio a ridosso del colle. E le fazende si
seguono tutte egualmente verdi, a filari,
tutte segnate dalle bianche case coloniche,
4ÌÌ LO STATO DI SAN PAOLO
dagli ei!isiccatoi neri adiacenti alle fabbriche
dove si pulisce il caffè, e dalle piccole case
del fttzeìukroj che spariscono sotto una fitta
vegetazione di gelsomini.
Le casette dei contadini sono costituite da
una camera centrale, cucina, che si apre sulla
strada^ una piccola retrostanza che si apre
sul giardino dove sta il forno, e due camere
laterali da letto.
Vi souo casette per le famiglie patriarcali,
con maggior numero di camere da letto, ed
lina camera centrale più grande. Come nei
villaggi, ciascuna casetta è attorniata da un
orticello in cui spesso i coloni innalzano
auelie una stalla per le loro bestie.
Il calie è un cespuglio simile assai a quello
della nostra camelia, colle foglie verdi lucide,
dure, e gruppi di fiorellini bianchi profumati
come quelli del nostro gelsomino. Ogni fiore
produce una bacca (prima verde, poi rossa,
dolce e pastosa al inalato, presso a poco come
quella delle nostre giuggiole), entro a cui è
un grano verde che contiene due chicchi di
catte. La i>ianta fiorisce e fruttifica tutto
Panno, così che in certi paesi il caffè si rac-
coglie quattro volte. Il caffè si coltiva sui de-
La lavorazione del caffè 43
clivii delle colline in filari, perciò la catteiera
ha tutto l'aspetto delle nostre viti. Il lavoro
del colono consiste principalmente nel tener
pulita la pianta, nel riguardarla cioè dall'in-
vasione delle erbacce, e nella raccolta del
frutto. La sarchiatura sì fa in alcune fazemle
tre volte all'anno ; in questo caso è un lavoro
abbastanza duro ed intenso, perchè le erbe
<5he si infiltrano fra le piante del caffè hanno
avuto tempo di irrobustire le radici che non
si lasciano strappare facilmente : viceversa,
questi coloni hanno due o tre mesi di va-
canza negli intervalli.
In altre fazemle si continua a mondare il
caffè tutto l'anno ; il lavoro resta qui continuo,
ma l'orario è più corto ed il lavoro più fa-
cile. Lg, raccolta che ha luogo nella stagione
invernale dura sei mesi, e si fa presso a poco
come da noi la vendemmia. Si dovrebbero
staccare i mazzetti di caffè e sgranarli uno
ad uno ; viceversa, per la mancanza di brac-
cia, generalmente si scuote la pianta e si
raccolgono le bacche in grandi lenzuola stese
ai piedi dell'albero. Si fan seccare le bacche
negli essiccatoi. Quando il catte è secco vien
messo nei sacchi e spedito.
l
44 LO STATO DI SAN PAOLO
La vita che i contadini conducono nella
fasBìida è in fondo assai simile a quella che
conducono nei nostri villaggi. Anche nella
fammìU) il sabato sera giovanetti e giovanetto
della stessa colonia si vedono, si ritrovano^
Hi bisbigliano parole di amore, improvvisano
danze campestri e canti e recitativi nelPes-
8Ìccatoi(> che tiene luogo dell'aia. Anche qui
alla domenica alla messa solenne si inaugu-
rano i vestiti, anche qui la posta arriva tutte
le settimane recando ai coloni le notizie della
patria lontana, e vi sono le feste della co-
Ionia, la festa del proprietario, gli sposalizii,
le nascite ed i lutti comuni. Le feste che
abbiamo ricevuto nelle fazende non hanno
riscontro, per spontaneità e delirio di gioia,
che in quelle che ci accolsero a San Paolo.
^^Me fazeiide in cui eravamo preannunciati,
i contadini ci venivano incontro in massa,
vestiti dei loro abiti da festa; in una man-
darono avanti le bambine vestite di bianco
come per la prima comunione ad aprirci la
strada offrendoci dei fiori mentre la banda
della colonia intonava l'Inno di Garibaldi;
in altre i coloni avevano inghirlandata la
strada» Al nostro apparire anche improvviso,
La vita dei coloni nella ^fazenda„ 45
grida di evviva scoppiavano in ogni colonia,
accompagnate da grida di gioia, da risate in-
terminabili, da vocìi confusi. Tutti i coloni
ci si facevano attorno, ci sorridevano, ci guar-
davano, ci parlavano assieme e separatamente.
O Sordello, il tuo tempo non è ancora passato
per sempre ! Come esprimere la gioia di questi
semplici contadini a veder degli Italiani che
vengono a visitarli, degli Italiani che parlano
la loro lingua, che conoscono il loro paese f
Molti di questi coloni (quasi tutti veneti:
di Udine, di Verona, di Vicenza, di Treviso,
di Mogliano Veneto) hanno conosciuto mio pa-
dre, ancora quando egli faceva gli studii sulla
pellagra, gli altri ne hanno sentito i)arlare ; e
<luesto aggiunge alla loro gioia ; pare a cia-
scuno di rivedere un amico, un parente di
quelli lasciati tra i compaesani. Le donne mi
parlano della signora tale, della contessa
tal'altra, che assomiglia proprio a me, che
viveva nel loro paese ; poi del loro antico me-
dico, e del hailotto a cui han dato il seno, e
della chiesa del loro paese. Oi conducono in
casa, ci fanno vedere l'altarino di Sant'An-
tonio, che hanno portato seco dal paese natio
e i ritratti dei loro figli, dei loro padri ; e poi
4<i LO STATO DI SAN PAOLO
il loro orto, le loro galline, il loro maiale ;
ci vogliono dare del caffè, delle uova, dei ba-
nani. Una veceliietta ci porta in un retro-
cucina per farci vedere come ha imparato a
fabbricare il sapone fondendo la cenere col
grasso, e a preparare la carne, a fumarla, a
salarla, a farne salsiccie.
Un udinese, che è qui da trentanni, che ha
visto ancora gli schiavi, che ha assistito a
tutta la rapida evoluzione e rivoluzione del
Brasile : la liberazione degli schiavi, la ca-
iliita (lì Fedro II, la rivoluzione della marina
^otto Peixoto, la crisi del caffè, ci fa sedere
por forza nella sua casa. Egli è il Creso della
tmemìa^ ha un toro isolato nell'orto e quattro
vacche al pascolo, e dei bovini che alleva ed
ammazza per la fazenda ; la moglie resta a
casa a guardare una caterva di nipoti, a sor-
vegliare i maialini, le galline, il giardino ; sta
per sposare un suo figlio, e mi fa vedere la
camera nuziale tutta imbiancata di fresco, in
Ciri troneggia un immenso letto. «Pel resto
stiamo a vedere quel che porta la sposa » —
dice la felice suocera, ammanendoci il caffè e
portandoci ad osservare ì suoi paiuoli di rame,
ultimo ricordo dell'antica casa.
Una luminaHa a Santa Yeridiana 47
^élla fazemìu di Santa Veridìana, che ai)i)ar-
tiene al signor Prado, una delle persone più
intelligenti che io abbia conosciuto nel Sud
America, i coloni ci improvvisarono addirit-
tura una lutninaria.
Non era ancora calata la notte ; gii ultimi
raggi del sole tramontante spandevano una
queta luce rossastra sulle case, sui lunghi
filari del caffè, sul bosco alto e misterioso,
ed ecco un continuato rumore di petardi ci
chiama all'aperto. E non sono petardi soli,
sono razzi questa volta che si alzano diritti
al cielo e cadono in pioggia di fuoco, nel
pallido tramonto, mentre fantastiche luci si
avanzano in schiera verso di noi. Sono i
coloni; ciascuno ha inalberato il suo lam-
pioncino su un'asta e si avanza in colonna
serrata verso di noi. Sono duecento o trecento
persone, all'incerta luce del crepuscolo male
si distinguono i loro corpi, solo si vede sa-
lire dalla colonia questa serpe luminosa, oscil-
lante e mormorante. Mano a mano che la
serpe luminosa si avvicina alla casa padro-
nale, i lampioni si accostano, i petardi, la
banda e i razzi alternano la loro musica a
quella dei contadini che ci dirigono dei di-
48 LO STATO DI SAN PAOLO
scorsi. Ad ogni discorso seguono dei formi-
dabili evviva al Brasile, all' Italia, a noi, e
un tuonar di mortaretti, un alzarsi di raggi,
un batter le mani di bambini, che non ces-
sano fino a che un tarchiato giovanotto presa
por la vita la sua bella, pensa di improvvi-
sane un balletto. In un momento i lampioni
sono disposti in cerchio attorno agli essic-
catoi, e i coloni, giovani e vecchi accoppiati
e confusi coi figli ed i nipoti, cominciano a
ballare al suono degli inni che si alternano
a quello delle danze.
In complesso, da quello che abbiamo veduto,
ini pare che la fazenda ha per l'emigrato que-
sto vantaggio : di permettergli di continuare
hi v^ita in comune come in Europa, e di of-
frirgli subito un'organizzazione simile a quella
che lascia a casa, strumenti di lavoro, orto, ecc.,
tutte cose che quando si lascia la patria per
la prima volta sono di grande sollievo. Il la-
voro che il caffè richiede non è ditìicile, né
duro, né pericoloso, poiché il caffè non può
essere coltivato in terreni i)aludosi, né in
climi troppo caldi, né troppo freddi. Le ma-
lattie infatti che si verificano nelle colonie,
il tracoma agii occhi e Vanchilostoma duocle-
17 vero male détta ^f agenda „ 40
'iULlis alPintestino, sono prodotti non già dal
clima, ma dalPagglomero di popolazione in
on punto e dal bere l'acqua degli stagni spesso
cattiva.
Il vero male della fazenda che attira le ire
del colono e che egli attribuisce confusamente
al clima, al caffè od al padrone, è la retri-
buzione, la quale in realtà è scarsa, specie
dopo la crisi del caffè, che ha ridotto assai i
guadagni dei fazenderi in Brasile e dopo che
le migliorate condizioni economiche delPEu-
ropa hanno aumentato i salarli nel vecchio
mondo.
H colono viene retribuito in media con
90 lire ogni mille piedi di caffè e un tanto
di interessenza.
Ecco i libretti di due famiglie di coloni di
una fazenda che abbiamo visitato, l'uno di
contadino benestante con molte braccia dispo-
nibili e l'altro di una famiglia miserrima co-
stituita da un uomo e tre bambine. Avverto
che il milreis vale lire 1,50.
Fbbbbbo. America del Sud,
50
LO STATO DI SAir PAOLO
:i
1907
Gennaio 31
Febbraio 16
17
Marzo 9
„ 21
« 31
Aprile 24
„ 26
» 28
Maggio 8
11
19
22
Fedro Loparce,
A. Per 40 litri di farina di meliga.
Z>. Mano di opera di colono per
1 giornata e V2 di lavoro a
2 milreis
D, Mano di opera di colono pei
potatura 3452 piedi di caffè a
16 milreis il 1000 ....
A. Ritenuta per denaro riceTuto.
Z>. Mano di opera colono per po-
tatura di 130 piedi di caffè a
16 milreis il 1000 . . . .
Samuele Rodriguez per V2 S'^^"
nata di servizio
Mano di opera di colono per 1
giorno di servizio
A. Per 50 litri di farina di maiz.
A. Ritenuta per denaro ricevuto
A
■^' n lì ri w •
D. Mano di opera di colono per
8 giorni di servizio a 2 milreis
il giorno
A, Per 50 litri di farina di meliga
A, Luigi Chiacchia per 1 ordine
N.° 43 di pagamento. . . .
D. Mano opera colono potatura
3483 piedi di caffè a 16 milreis
il 1000
A, Dott. Martinelli per servizio
medico di questo mese . . .
D. Mano di opera colono per 1
giorno e Va di servizio a 2
milreis il giorno
A. Ritenuta per denaro ricevuto .
D, Geronimo Gatardo per 1 car-
rozza di maiz
A, Ritenuta per denaro ricevuto .
•^» n T) lì n •
Spese diverse per 1 viaggio di
legna
Spese di vitto per 1 Kg. di
carne
Da riportarsi
Dare
3 600
20 000
4 500
35 212
20 000
4 500
30 000
1400
18 828
30 000
13 000
2 000
600
183 640
Avere
3 000
55 232
2 080
1000
2 000
16 000
55 728
3 000
20 000
158 040
Le retribuzioni nelle ^fazender
51
1907
Maggio 27
31
Giugno 1
6
17
Y)
20
23
Luglio
25
7
r
12
31
Agosto 17
20
26
Bipor/o
J.. Pietro Vasques per una sot-
toscrizione a questi ....
D. Mano di opera di colono per
18 giorni di servizio. . . .
Z>. Siiyerio per 1 giorno dì lavoro.
D. Bigoli Antonio per V* di gior-
nata di lavoro
Mano di opera di colono 3.^ e 4.'
potatura 3483 piedi di caffè 456.
A, Dott. Martinelli per servìzio
medico di questo mese . . .
A. Spese generali per 12 sacchi
di 1.* raccolta (l'uno 1500) .
A. Spese di verdura per 20 Kg.
patate
A. Spese diverse per 7 viaggi
di maiz
A, Spese di cibarie (3 Kg. di
carne a 600 al Kg.) ....
A, Per 6 litri di caffè buono
(Va sacco)
A, Ritenuta per denaro ricevuto .
A. Dott. Martinelli per servizio
medico del mese
A^ Ritenuta per denaro ricevuto.
Spese di bestiame per 4 litri di
latte a 200 il litro ....
D. Mano di opera di colono pei-
1 giorno di lavoro ....
Z>. Mano di opera di colono per
90 alquieres di caffè colto. .
A. Multa per disobbedienza al
sorvegliante
D. Mano di opera di colono per
164 alquieres di caffè colto .
O. Matteo Framiro per 1 V* gior-
ni di servizio
D. Emilio Lopes per 1 giorno
di servizio
A. Dott. Martinelli per servizio
medico di Luglio e Agosto
Spese di cibarie per litri 11 Va
di latte a 200
Darr
183 640
AVER»
158 040
000
—
—
36 000
2000
—
1500
—
111456
1400
—
18 000
—
1000
—
14 000
—
1800
—
2 500
10 000
—
1400
74 756
800
—
—
2 000
—
45 000
2 000
—
—
82 000
—
3 600
—
2 000
2 800
—
2 300
—
Da riportarsi 316 896 448 496
52
LO STATO DI SAN PAOLO
1907
Settomb
. 8
10
r
ìì
ìì
23
»
29
n
30
Ottobre
10
12
n
«
n
13
n
18
Riporto
A. Ritenuta per denaro ricevuto.
D. Mano di opera di colono per
110 alquieres di caffè colto .
Z>. Mano di opera di colono per
2% giórno di servizio a 2
Mano di opera dì colono per 90
alquiere8 caffè colto a 600 reis.
A, Spese generali per aggiusta-
tura di una lima. . • •
Z>. Mano di opera di colono per
7 giorni di servizio a 2 milreis
A . Ritenuta per denaro ricevuto .
Z). Deduzione per restituzione dì
9 sacchi a 1600 milreis Puno
A. M. Villela per medicamenti
conforme conto
D. Deduzione per restituzione di
3 sacca a 1500 il sacco. .
D. Mano di opera di colono per
potatura di 8483 piedi di caffè
a 16 milreis
Bilancio
Saldo di credito . .
Questa famiglia si compone di 4 lavoranti, 1 uomo e 3 bambine.
Questa famiglia possiede: 1 vacca e 3 porci.
1
Dare
316 896
126 60r
Avere
443496
—
55 000
—
4 500
—
45 000
1500
—
10 000
14 000
—
13 500
7 500
—
—
4 500
173 228
55 728
636 724
635 724
173 228
1907
Gennaio 31
Febbr. 11
« 16
n 26
Faltrin Giuseppe.
D. Mano di opera di colono
per giorni 12 V4 di lavoro pre-
stato a 2 milreis il giorno.
D. Mano di opera di colono
per potatura di 630 piedi di
caffè a 20 milreis per 1000.
D. Mano di opera per potatura
5.450 piedi caffè a 16 mil-
reis il 1000
D. Longo Luigi per V^ di
giornata di lavoro . • .
Da riportarsi
Dare
Avere
26 500
12 600
87 200
_1J|00
126 800
Le rdribuzicmi nelle '^fazendCn
68
1907
Febbr. 25
« 28
» n
Marzo 3]
Aprile 9
. 2b
. 24
« 26
. 28
Maggio 8
Riporto
D. Zanella Giovanni per V4
di giornata di servizio .
A. Mano di opera di colono
per 2 Va giorni di lavoro .
A, Dottor Bastos per servizio
medico di 2 mesi Gennaio
e Febbraio
Z>. Mano di opera di colono
per 4 giorni di lavoro . .
A. Ritenuta per denaro ricev. ,
A, Spese div. per 8 tav. (assi),
D. Mano di opera di colono
per giorni 6 y^ a 2 milreis
il giorno
A. Dott. Martinelli per spese
mediche di qnesto mese
D, Mano dì opera di camerata
per 7 giorni di servizio a
2600 milreis il giorno . .
D, Mano di opera di colono
per 2 giorni a 2 milreis
il giorno
A, Michele Nunes per medica-
menti somministrati. • .
D. Mano di opera di colono
per potatura 5450 piedi di
caffè a 16 milreis il 1000 .
A. Dott. Martinelli per ser-
vizio medico di qnesto mese.
D. Mano di opera di colono
per 7 giorni ed % di lavoro
a 200^ milreis il giorno.
D. Mano di opera di camerata
per giorni 5 Va di lavoro a
2500 il giorno
A, Ritenuta per denaro ricev. .
J). Giovanni Segura per gior-
ni 2 di lavoro
D, Giovanni Segura per 1 Vg
giorni di lavoro ....
Z>. Giuseppe Nascimento per
1 ^giorno di lavoro . . .
I Da riportarsi
Dare
Avere
—
126 800
—
600
—
6000
3 800
—
8 000
136 500
—
3 000
—
—
13 600
2 200
—
—
17 500
—
4 000
6 000
—
—
87 200
2 160
—
—
14 500
13 760
137 090
—
—
4 000
—
3 000
—
2 000
290 750
299 750
54
LO STATO DI BAN PAOLO
K07
Maggio 27
. 31
Gnigno ti
i
25
£6
Luglio
yj
Agosto u
]H
SiO
Dare
Avere
Riporto
290 750
299 750
A. Pe^ro Vasques per una sot-
hj crizione
1000
—
A. < 'gp. Oftalmico di S. Paolo.
10 000
—
D, Mano di opera di colono pei
15 giorni di servizio < a 2
rniireis il giorno , . . .
—
30 000
D, Unno di opera di colono
per 3.^ e 4.^ potatura di
.^400 piedi di caifè a 16 .
—
174 400
.4. Dott. Martinelli per servizio
medico del mese di Maggio .
2 160
—
A. lìitenuta per 18 sacchi im-
prestati
27 000
—
A, Kitenuta per 2 panieri da
caffè imprestati
4 000
—
A. Spese diverse per 12 viag-
jLTÌ di maiz
24 000
—
D. i'ott. Martinelli per servi-
tilo medico di questo mese.
2160
—
A. 311 chele Pereiro Nunes per
medicamenti
15 500
—
A. Ritenuta per denaro ricev. .
127 580
—
D. 3Iano di opera di colono
per 7 giorni di servizio a
2<m) milreis il giorno . .
—
14 000
D, Mano di opera di colono
per 130 alquieres di caff(
."cilto a 600
—
6.000
D. Mano di opera di colono
per 16 % giorni di servizio
a 2000.
—
31 500
fK Mano di opera di colono
pi- r 214 alquieres caffè colto
a :^00 ........
—
107 000
fK Francesco Kedigolo per 1
i^^iorno ed V4 di servizio a
2000 milreis il giorno . .
—
2 500
LK l>assone Ernesto per 1 gior-
no ed V^ ài lavoro a 2000
milreis il giorno ....
—
2 500
^1, Bott.Martinelliper servizio
medico di Luglio e Agosto .
Da riportarsi
4 320
—
508 470
726 650
Le retribuzioni nelle ^fatende^
55
1907
Settemb. 8
« 10
23
30
Ottobre 6
18
Biporio
A. Ritenuta per de naroricev
2>. Mano di opera di colono
per 158 alquieres caffè a 500.
D. Mano di opera di colono
per 2 giorni Vg di servizio
a 2 milreis il giorno. .
D. Mano di opera di colono
per 128 alquieres caffè colto
a 500
D. Mano di opera di colono
per 6 giorni di servizio a
2000 milreis il giorno . .
D. Feliciano Granciro per ^^
giornata di lavoro a 2000
millreis il giorno ....
D. Deduzione per ritorno di
18 sacchi imprestati (vedi
sopra) a 1500 l'uno . . .
D. Mano di opera colono per
potatura di 5450 piedi di
caffè a 16
Mano di opera di colono per
4 giorni di servizio a 2000.
Bilancio ....
Dare
508 470
AVBRE
726 650
218 180 —
79 000
4 500
64 000
12 000
500
27 000
87 200
8 000
282 200 —
1008 850.1 008 850
Saldo di credito . — | 282 200
Questa famiglia cons'a di 3 lavoranti, nna donna e 2 uomini.
Questa famiglia possiede : 1 vacca, 1 cavallo, 4 porci, 1 scro-
fa e 3 porcellini.
Come si vede da questi conti, ed è la
cosa che indispone più. il contadino, egli è
trattato in fazenda come un operaio. Qualun-
que oggetto od aiuto il contadino si faccia
imprestare dal fazendero, come qualunque ser-
vizio soprannumerario egli renda, viene notato
sul libro mastro e sul suo libretto personale,
66 LO STATO DI SAN PÀOLO
e defalcato od aggiunto al salario convenuto.
Ora, quando la famiglia è grossa come nel
caso 2.^ — che possieda il suo cavallo, il suo
carro, la sua mano d'opera abbondante — ciò le
riesce di vantaggio, ma pel nuovo arrivato, l'in-
esperto, il celibe, invece, è un danno. Ammi-
nistrativamente la fazenda è tenuta come una
industria. Il proprietario o chi per lui, ha un
ufficio nella fazeiìda con aiutanti e segretaria
Ogni fazendu ha il suo libro mastro, ogni
contadino il suo libretto, dove il guadagno
e le spese vengono notate. Ogni mese in
qualche fazenda, ogni sei mesi in qualche
altra vengono liquidati i conti. Il contratto
era una volta orale e non aveva alcuna
cauzione da parte del padrone, fatto che
diede luogo, specialmente nelle epoche di
ribasso del caffè, a terribili guai, perchè al-
cuni proprietarii non pagarono più i loro co-
loni. Una legge garantisce ora il colono del
suo pagamento sul bene del proprietario stesso,
ed il contratto si fa ora spesso per iscritto,
generalmente è annuale.
Date queste condizioni di lavoro, la emi-
grazione nella fazenda può convenire solo
quando il contadino abbia ima famiglia nu-
r'
La donna nella *fazenda „ 67
merosa, quando cioè iK)ssa disporre di molte
braccia e di tre o quattro bambini (i quali a
cinque o sei anni possono già aiutarlo nella
raccolta), sopratutto quando abbia una mo-
glie attiva, alacre, intelligente che sappia
usufruire di tutti i vantaggi che le offre
la fazenda; dell'orto, della legna del bosco,
della pastura, che sappia far da sé il sa-
pone ed i salumi, tener maiali e galline,
che sappia da sola allevare, vestire, lavare
la famiglinola. Non conviene mai quando
si tratta di un uomo solo o con una moglie
inabile.
Ho conosciuto delle famiglie che in dieci,
venti anni di fazenda si erano messe da parte
un buon gruzzolo, avevano acquistato dei ter-
reni ed erano diventate proprietarie, com-
mercianti, ed erano già tornate in Italia e
ritornate in Brasile; ma sempre a capo di
queste famiglie era una donna intelligente
ed attiva. Lo stesso ho trovato nelle famiglie
della terza classe che tornavano dalP America;
parlavan bene del Brasile le famiglie che
avevano donne industriose e capaci, mentre
non avevano potuto trovarsi bene quelle in
cui le donne erano abituate alla città, in-
58 LO STATO DI SAN PAOLO
campaci quindi di essere utili al marito nei
lavori agricoli.
La fazenda così come ora è costituita è
destinata a scomparire. Fruttuosa ed econo-
micamente ingegnosa quando si trattava di
utilizzare le braccia di schiavi negri, buoni,
pazienti, ma ignoranti e indolenti, e quando
il Brasile aveva quasi il monopolio del caffè,
essa non lo è più. ora dopo che il caffè è dimi-
nuito di valore e che il fazendero deve usare
le braccia di bianchi, alacri e intelligenti,
ma di assai maggiori pretese.
I fazenderi dopo aver guadagnato, venti
anni fa, delle somme enormi, da dieci anni
passano da una crisi ad un'altra, talché il
Governo di San Paolo fu obbligato a proi-
bire qualunque piantagione nuova e a farsi
compratore di caffè per moderare i fallimenti
ehe minacciavano di rovinare lo Stato. Le
banche di San Paolo sono immobilizzate per
l' enorme numero di fazende su cui ave-
vano ipoteche e che sono passate nelle loro
mani.
L'anno ultimo, dopo un raccolto così buono
come non si aveva avuto dadecennii, ìfazen-
iferi non hanno potuto prendere più del 4 o 5
La cri8i delle ^fazende „ 69
e mezzo per cento del loro capitale. Gli è
che i capitali occupati dai fazenderi nelle
loro fazende sono assai rilevanti. Essi non
hanno ivi solo la terra, ma tutta una orga-
nizzazione colonica industriale assai costosa ;
essi hanno ivi immobilizzato il denaro neces-
sario a costruire gli strumenti di lavoro, le
macchine occorrenti alla essiccazione ed alla
sgranatura del caffè, e poi ancora i direttori,
gli amministratori, e più di tutto le piante
del caffè, che non cominciano a rendere se
non dopo il quarto o quinto anno.
Quando l'unico strumento di lavoro era lo
schiavo, questa anticipazione di capitale era
necessaria, ma il fazendero ne era compensato
colla quasi gratuità della mano di opera. Egli
è ora obbligato a servirsi di uno strumento (la
mano del bianco) che vale di più, ma non
può, colla organizzazione che ha, farlo ren-
dere quanto questo potrebbe. La maggior al-
tezza del costo è quindi tutta a suo svan-
taggio.
Il bianco porta in America l'esperienza
di molti secoli, egli saprebbe innovare e
variare le antiche culture , renderle forse
più feconde e meno costose, ma egli ha
60 LO STATO DI BAH PÀOLO
bisogno per ciò dello stimolo del proprio
interesse personale. Oon piccolissimo capitale
vicino alle grandi città, i Napoletani ed i
Veneti hanno piantato orti e vigneti donde
traggono altissimo reddito. La monocoltura,
l'abbassamento del prezzo del caffè, la scar-
sezza della mano di opera, diminuiscono
sempre più il reddito del fazendero.
Colla fazenda così come è organizzata, il
fazendero ha tutti gli svantaggi degli indu-
striali, senza averne i vantaggi. Per questo
una forma nuova si va cercando a tentoni.
In alcune antiche fazende si è venduta a
prezzi di favore una larga zona di terra a
contadini obbligandoli a prestazione di opera
durante il raccolto ; in altre si sono pagati i
contadini con larghe concessioni temporanee
di terreno. Altre volte i coloni stessi hanno ri-
comprato per conto loro le fazende trasfor-
mandole in veri villaggi socialisti. Molte
fazende sono cedute agli Statij che ora cer-
cano di popolarle con colonie libere; molte
sono vendute a piccoli appezzamenti, compe-
rati ad alti prezzi da contadini intelligenti
che trasformandole in orti e vigneti ne trag-
gono redditi molto maggiori.
Le trasformagiom deUe "fagendcn 61
Ma se la fazenda così come è ora non dà
la facile ricchezza dì una volta, essa potrà
ridarla presto sotto altra forma, e non vi è
quindi ragione di sdegnare i vantaggi che
essa potrà offrire, e relegarla fra le industrie
pericolose.
III.
Nello Stato di Minas Geraes.
Lo Stato di Minas Geraes, limitato verso
l'Atlantico dalla Sierra do Mar^ tagliato nel
centro dalla Sierra do Mantiqueira^ che lo di-
vide in due versanti paralleli, bagnato da lar-
ghi fiumi ohe si dirigono verso l'Atlantico, ri-
posa interamente su altipiani, che si prolun-
gano con leggieri, continui avvallamenti da
una all'altra catena di monti. Questo Stato cor-
risponde nel Brasile a quello che in Europa è
la Svizzera, un paese montuoso senza sbocchi
sul mare, posto al centro di un largo conti-
nente, ma una Svizzera equatoriale, i cui de-
clivii sono dolci e gli orizzonti infiniti.
Tutti sono d'accordo nel dire che il mare
di Guanabara è la parte più bella del Bra-
r'
Attraverso allo Staio di Minas Geraes 63
sile; ma lo Stato di Minas ha poco da invi-
diare al mare di Eio de Janeiro.
La strada ferrata che conduce da Bio de Ja-
neiro a Bello-Orizzonte, la capitale dello Stato
di Minas, miracolo di arditezza, di scienza,
di lavoro dell'epoca moderna, è tracciata fra
i monti e le valli piò. belle che la natura
abbia immaginato. Anche da noi nel Oe-
nisio, nel Sempione, nel San Gottardo, la
ferrovia si arrampica ad altezze eguali ed
anche maggiori, ma serpeggia sempre in valli
profonde, in cui le alte montagne laterali la-
sciano appena intrawedere le cime che emer-
gon sul cielo ; qui invece il mostro sbuffante
or serpeggia sui ripidi fianchi di una vetta
boscosa, ora per un sottile ponte passa da
una all'altra cima, ora si insinua in alti
e stretti canali scavati a picco nelle roccie
colorate, ora penetra in una breve e buia
galleria che lo porta in altro versante, egual-
mente immenso, egualmente variato, verde
ed aperto. La ferrovia cammina non ai piedi
ma salla vetta dei monti; e le cime fanta-
stiche si ergono si abbassano e si sprofon-
dano davanti a voi, nei fini pascoli verdi,
come le isole nel mare di Guanabara, mentre
64 IL BIO PARAHYBA
i rìi, i fiumi, le sorgenti vi mormorano da
lato, disotto, disopra come in un fantastico
paese delle fate.
A qualche ora da Eio non v'è più foresta,
ma lungo il margine del fiume Paràhyha e del
Bio das Yelhas^ che noi seguiamo colla ferrovia,
fitti cespugli di canne ombreggiano le rive.
Piccole isole si ergono a fior di acqua, su cui
alti palmizii ed agave solitarii e felci arbore-
scenti agitano mollemente la lieve chioma,
mentre sui palmizi! le orchidee dai vivaci co-
lori aprono Je loro strane corolle proteggendo
i nidi di colibrì sospesi ai loro petali. Si di-
rebbe che la natura ha accarezzato quelle acque,
con amore tutto speciale; non bastano le mon-
tagne che degradano sulle ripe incantevoli e
le siepi che le difendono, e il cielo che vi si
specchia, ma si aggiungono le isole, e nelle
isole le palme, e nelle palme le orchidee, e nelle
orchidee i colibrì e le farfalle. Ora le rupi si
innalzano solitarie, ora a gruppi, ora formano
un'isola misteriosa, or non lasciano altra
traccia di sé che un ciuffo di verdura. Ora
le acque si aprono in un laghetto in cui
nuotano a centinaia bianche anitre selvaggie
e pellicani dalle ali rosate, ora si addossano
1
Nel regno delle fomnche 65
al monte formando un canale misterioso e
profondo. Ad un tratto il Paràhyba sparisce,
tagliato fuori ABXVIparaihmm^ immenso dia-
framma roccioso, lungo parecchi chilometri,
che separa lo Stato di Rio da quello di Minas
Geraes. Dopo Vlparaibuna lo spettacolo cam-
bia; dal regno degli uomini passiamo a quello
delle formiche.
Se lo Stato di Minas avesse tanti uomini,
non dico quante formiche ha, ma quanti formi-
cai, ne potrebbe offrire certo a tutta la Confe-
derazione. Per chilometri e chilometri voi non
vedete lungo i fianchi delle montagne, nelle
basse vallette che le dimore delle formiche ; le
più. sono alte un metro, ma ve ne sono di
alte due; dalla forma svariatamente conica,
ora più. lunghe ora più larghe, ora coperte
da un nembo di verdura, ora perfettamente
rosse come il terreno di cui sono costrutte;
or foggiate a circolo, Puna accanto all'altra
in modo da formare un corale (villaggio in-
diano), ora sparse pel monte lungo le stra-
dette rosse e pulite fabbricate dalle formiche
stesse. Poi ricomincia il verde altipiano, più
nimato questa volta da villaggi (anticlii
>osti di riposo dei frequenti viaggiatori re-
Ferrero. America del Sud. 5
66 l.E OAVKRNR DI SA BARA
cantisi nelle miniere) le cui bianche casette
stanno allineate lungo i fianchi del monte —
e da ville, da fazende^ da case pastorali se-
minascoste nella verzura, in una delle quali
nacque Santos Dumont, l'inventore dei primi
aereoplani.
li'altipiano ondulato, tutto cosparso di mon-
tagnole, di avvallamenti, assomiglia al pae-
saggio del Carso fra Trieste e Piume ; e non
solo la montagna esterna vi assomiglia, ma
anche Pinterno.
Come nel Carso queste terre sono piene di
caverne; alcune servono di letto a^flumi ed
a torrenti, a misteriosi laghi sotterranei, altre
innalzano le loro colonne di stalattiti a formar
palazzi meravigliosi. Ne abbiamo vista una a
due ore da Sdbard, che se non è grandiosa
come quella di Adelsberg, può reggerne molto
bene il confronto. Anche qui le vòlte infinite,
i monumenti marmorei, gli altarini sospesi
in aria, i fantastici uccelli di neve vibrati
sulla roccia, le colonne dai rari disegni e le
arcate sublimi; manca il fiume sotterraneo,
ma in compenso le stalattiti sono cristalline,
trasparenti, come fossero di ghiaccio, spesso
colorate, cosicché la caverna, sotto le luci
Le origini dello Stato fti Minna 67
delle nostre torcie, brilla con dei riflessi az-
zurro-rosei, che la fanno in certi punti più
fantastica ancora di quella di Adelsberg.
Lo Stato di Minas, benché sia oggi uno
dei più popolosi del Brasile, essendo privo
di coste marine, fu uno degli ultimi a richia-
mare l'attenzione degli Europei. È ai Paoli-
stani, egualmente avventurosi oggi come nei
secoli passati, che esso deve la propria sco-
perta. Forse da qualche indiano immigrato
nel loro Stato, ebbero i Paolistani la notizia
che nelle alte montagne, da cui nasceva il
Rio Dece ed il Rio San Francisco che si sca-
ricano nello Stato di San Paolo, si trovavano
dei metalli preziosi; il fatto è che la tra-
dizione esisteva, e che i Paolistani manda-
rono successivamente molte spedizioni nello
regioni di Minas alla scoperta di pietre ìì
metalli preziosi. La scoperta delle miniere
(fatta nel secolo XVI) che erano dapprima as-
i^ai abbondanti e superficiali, attrasse inime-
[liatamente dall' Europa e dal Brasile una tal
massa di gente verso il nuovo Stato, che il
68 NKLLO STATO DI MIKAS GRTÌAT^S
Portogallo dovette ricorrer alle leggi per im-
pedire che le altre regioni del Brasile si spo-
polassero tutte a prò di questa.
La scoperta delle miniere, che furono pel
Portogallo e per l'Europa una grande for-
tuna, perchè veniva ad arricchirle d'oro, pro-
prio nel momento più necessario, furono,
come per la California, un vero disastro per
lo Stato di Minas. Come in California, le
montagne di questa ricca provincia furono
sconvolte, i fiumi deviati, le foreste bruciate ;
per poter sfruttare le miniere furono sotto-
posti Indiani e Neri a trattamenti orribili che
empiono ancora il mondo di terrore contro
i loro torturatori.
Abbiamo veduta una miniera a Morrò Veìlw^
una delle poche restate attive, perchè le più
sono abbandonate, e ne siamo usciti più che
mai convinti della stupidità dei bianchi, che
lier un vile metallo, il cui valore è poi anche
fittizio, simbolico, osano sottoporsi e sotto-
porre gli altri ad una vita così orrenda.
Si scende quasi fino a mille e cinquecento
metri sotto terra, sempre in mezzo al buio
soffocante, uniforme, non interrotto neppure
da uno spettacolo strano o sublime, né spa-
Nelle viscere delle miniere 69
ventoso. Gli uomini, i cavalli, i carri passano
lenti come assonnati per le strette gallerie;
tutto nuota in una atmosfera grigia e pe-
sante. Si cammina per ore ed ore nelle stra-
dette scavate entro il monte, ostinatamente
silenziose e deserte e terribilmente soffocanti.
Ogni tanto il chiarore di una lampadina, un
acuto ronzìo elettrico segnano l'attività e la
vita ; ma l'elettricità toglie al minatore anche
il conforto e l'eccitamento del lavoro in co-
mune. Ci dicono che nella miniera che visi-
tammo, lavoravano migliaia di operai; do-
veva esser vero, ma, sparsi come erano in uno
spazio immenso, pareva lavorassero isolati.
L' unico spettacolo bello che abbiamo ve-
duto è stata la costruzione di un pozzo; al
fondo, al fondo, al disotto dei mille e cin-
quecento metri che avevamo già discesi, una
dozzina di uomini disposti a circolo stavano
scavando la roccia all'intorno. Gli uomini
erano nudi e bagnavano ogni tanto i corpi
lucidi di sudore, in una secchia centrale; il
calore era insopportabile, e sotto le lampa-
dine che mandavano biechi bagliori, quei
corpi, che battevano la pietra colla loro pie-
cozza, formavano un quadro spaventoso di
I
I
70 NELLO STATO DI MINAS GERABS
anime dannate dell'inferno dantesco. O ma-
jjìca sciocca illusione dell'oro ! Com'è possibile,
ili iiu paese così tepido e lussureggiante, che
gli uomini si decidano a penetrare nei fianchi
Ikiì di quelle montagne per trarre una par ti-
tHilhi minima di metallo sia pur prezioso!
]Meno angosciose sono le miniere di manga-
nasi^ ; più che miniere, vere cave all'aria li-
henij in cui gli operai lavorano all'aperto
ooUu piccozza, tagliando la montagna che è
UH immenso blocco di un minerale compatto
bìauco-azzurrognolo, il quale contiene una
1 Ultissima percentuale di manganese.
Anche nello Stato di Minas vi sono molti
Italiimi, non aggruppati, come a San Paolo,
in una città, né a centinaia nelle fazende da,
eatfè, ma dispersi nelle numerose colonie,
UfcjHi^ miniere, negli opificii e nel commercio.
I >gin volta che il treno si fermava, era un
rcmimovente incontro con gruppi di Italiani
vinuiii a presentarci nel suolo straniero,
nOiute di seta, di zucche, di pampini fiorenti,
|iii# ricordo della patria lontana, che essi
Incontri cogli Italiani 71
hanno cercato di far rivivere nello Stato di
Minas.
Come dimenticare Paftettuosa accoglienza
fattaci a Lafayettef Tutta la colonia, donne,
vecchi, bambini, si era mobilizzata per noi
alle sei del mattino: venne, fra gli altri, un vec-
chio venerando, vestito ancora colla marsina
e la tuba di frustagno che usavano i nostri
contadini d'altri tempi; era un garibaldino, un
calabrese, aveva più di novant'anni, era stato
nella spedizione dei fratelli Bandiera, e aveva
seguito Garibaldi in Sicilia e poi a Mentana ;
quando la nuova Italia era stata insediata a
B>oma, egli se n'era partito; e aveva vagato
un po' per le città dell'America, aveva avuto
un nugolo di figli e di nipoti, ed ora si era
stabilito a Lafayette con uno dei figli. Ma la
sua idea fissa era di tornare in patria, di ri-
vedere quell' Italia per cui aveva arrischiato
tante volte la vita..., e toccare la pensione
dovuta alle sue fatiche. « Eravamo pochi », ci
diceva, « io mi ricordo il nome di tutti ; gran
parte sono morti : di quelli che abbiano fatto
con me tutte le campagne non rimane certo
una diecina. Il Re ha dato un milione pei
superstiti, dunque io dovrei avene un grosso
72 NELLO 8TAT0 DI MIKAS GEBAES
^uzzolo )►. Xon osava avvicinarci troppo ;
e queste cose le borbottava come tra se, ad
alta voce sognando, in mezzo alle descrizioni
degli assalti alla baionetta, delle ferite, delle
\ittorie, la patria riconoscente ! ! !
y A Lafayette l'industria mineraria vive an-
cora di fonte propria. Ma anche qui il tras-
\ l)orto consuma tre quarti dei guadagni ; anche
qui è cominciato, come nelle restanti parti
dello Stato, un secondo sfruttamento del suolo:
quello meno saltuario, ma più proficuo del-
l'agricoltura. Saint-Hilaire che visitò lo Stato
di Minas alla fine del secolo XVIII, diceva
(5he la provincia non era allora solo ricca di
miniere d'oro e di pietre preziose, ma anche
di grassi prati, di belle foreste, e che il ricco
suolo produceva orzo, manjoca, segale, ca-
napa, cotone, zuccaro, caffè, tabacco, Tite e
tutti quasi gli alberi fruttiferi.
Molte di queste culture sono quasi sparite
dal paese, ammazzate dal ferrigno e da altre
malattìe proprie di tutte le culture isolate,
e forse più. dal ribasso dei prezzi dei viveri
ehe l'impoverimento delle miniere trae ne-
ccessariamente con sé ; e dalla concorrenza del
l'otone nord-americano e del «rano argentino.
Agricoltura antica e recente 73
una volta nulli quasi nel mercato mondiale.
A Barbacena, a Juiz de Fora, a Sahara, dove
le nuove colonie italiane o tedesche sono
divenute i)iìi fitte, si sono riprese le culture
europee; a Barbacena quella del gelso, più
in giù quella della vite che rende assaissi-
mo; ma in genere lo Stato di Minas ha ri-
stretto le sue culture al tiìmìz, al cafi*è, ai
maiali e ai latticinio
Ci hanno detto che le piantagioni di cattò
non sono ordinate qui a fuzende come nello
Stato di San Paolo ; che qui, cioè, il proprieta-
rio non si occupa esclusivamente delle pian-
tagioni di caffè, ma anche del miaiz, del be-
stiame, del pascolo, ecc., ecc.
I Paolistani anzi burlano un poco i Minesi
per la loro costanza nel coltivare prodotti di
prezzo inferiore, dicendo che i Minesi colti-
vano il maiz per ingrassare i maiali, e man-
giano i maiali per coltivare il tìuiìz] ma i
Minesi sono filosofi, e lasciano dire; è pur
vero che nei momenti di rincaro del caffè essi
hanno guadagnato meno dei Paolistani; ma
viceversa essi hanno sentito meno la crisi del
catt'è, essi hanno col buon mercato della vita
materiale potuto conservare gran i)arte degli
74 NELLO STATO DI MIHAS GBBAES
antichi coloni neri ed Indi che sparirono
d'un tratto dalle fazende di San Paolo ; espor-
tando ancora negli altri Stati 45 milioni di
chilogrammi di fagiiioli e 2 milioni di chilo-
grammi di patate, oltre ai maiali e ai buoi
e ai latticinii.
Questo sistema di vita, il buon mercato
sopratutto, ha permesso l'insediarsi spontaneo
di molte colonie libere e il formarsi della
piccola proprietà, le cui case, seminate lungo
la strada ferrata, in mezzo ai boschi e ai pa-
scoli, danno l'aria così abitata al paese.
I Brasiliani in genere trovano che i Minesi
sono retrivi ; però questo misoneismo, questa
calma negli usi, nei costumi, che li spinge a
non adottare rapidamente tutte le novità
l^erchè sono novità, accompagnata come è nei
Minesi ricchi da una solida cultura scientifica
e letteraria, è una delle loro facoltà più pre-
ziose, che oltre a far di Minas un'oasi di tran-
quillità in mezzo all'affanno generale della
vita, faran progredire quello Stato a piccoli
passi, ma definitivamente più innanzi forse
degli altri.
L*anHca capitale 75
Bello-Orizzonte.
Bello-Orizzonte, capitale dello Stato *li Mi-
nas, è certo la città più nuova del Brasile;
essa non conta ancora una diecina di anni
di vita, ma la sua genesi va cercata i)iii
lontano, nella storia della Eepubblica.
Lo Stato di Minas Geraes aveva già una
capitale, Ouro Prete, un gioiello di città
altrettanto poetica quanto Kio, situata al
centro della regione minifera, coi palazzi
aggrappati alle roccie — nel greppo di una
montagna — in mezzo a cui serpeggia l'u-
nica strada principale, strada che, non dico
il treno, ma neppure i carri e le carrozze pos-
sono percorrere, assorta ancora nelle pure
gioie del misticismo e della scienza, rocca
naturale di ogni idea conservatrice.
Sia attaccamento, ragionato, del resto, alla
dinastia di Don Fedro che aveva data l'in-
dipendenza al paese, sia spirito monarchico
conservatore, sia la crisi mineraria che aveva
colpito i Minesi assai più che .fi;li altri Stati
agricoli, fatto è che Onro Presto, — a quanto
76 NELLO STATO DI MINAS GERAES
ci dissero — non era favorevole all'insedia-
mento del nuovo regime repubblicano.
Questo stato di cose era assai grave per
la Confederazione. Lo Stato di Minas, situato
fra quello dì San Paolo e di Rio a sud, quello
di Bahia a nord e quello di Santo Spirito a
est, in un altipiano fertile, fecondato da nu-
merosi fiumi che gli rendono facili le comu-
nicazioni cogli altri Stati, è il vero cuore del
Brasile.
La nuova Repubblica si sarebbe trovata in
grave imbarazzo se uno degli Stati più im-
portanti le fosse stato contrario, come fatal-
mente sarebbe accaduto colla capitale ostile.
Furono i Minesi stessi rivoluzionari che tro-
varono la soluzione decidendo di trasportare
la capitale. Ma dove ? Sahara, Barbacena, Juiz
de Fora, sono situate, è vero, sulla strada fer-
rata che lega lo Stato di Minas a quello di
San Paolo e di Rio ; ma sono, come dissi, centri
;: di piccole colonie agricole formatesi lungo
l'antica strada maestra che conduceva alle
\ miniere ; essi non potevano reggere come im-
^ portanza storica con Ouro Preto, la città
colta per eccellenza, in cui viveva una bor-
,2:hesia vieea ed istruita; e neppure con Dia-
Ln nuora capitale
mantina, il centro della regione dianiantifera
di Minas, la Nagasaki del Brasile, la città dei
canti, dei suoni, della gioia perpetua, dove
la popolazione guadagna la vita cantando e
giuoclierellando colle acque dei suoi fiumi,
da cui trae i diamanti, senza conoscere le an-
sie perpetue delle industrie e dei commerci,
né le fatiche ed i travagli dell'agricoltura.
Siccome Ouro Preto e Diamantina, le ca-
pitali dello Stato, erano fondate in luoghi al-
pestri inaccessibili e non centrali, contraria-
mente a quanto voleva lo Statuto della Re-
pubblica, e siccome gli altri centri urbani
erano troppo piccoli, si decise di fondare una
nuova città.
Una commissione di scienziati, ingegneri,
medici e agricoltori, fu mandata attraverso
allo Stato a cercare nella sua parte centrale
un territorio che rispondesse ai dettami dello
Statuto e alle esigenze dei commerci e delle
industrie di una capitale. Fu scelta una lo-
calità meravigliosamente rispondente a tutte
queste esigenze, che in contrapposto a Ouro
Preto, situato al centro delle montagne mi-
nifere, si estende al centro delle regioni
agricole dello Stato ; un altipiano delizioso.
78 NELLO STATO DI MTNAS OERAES
vicino ad un fiume navigabile, facilmente
riallacciabile alla ferrovia che giungeva già
fino a pochi chilometri da esso, che dalla bel-
lezza dei suoi dintorni prese il lieto nome
di Bello-Orizzonte.
In pochi anni l'altipiano boscoso fu trasfor-
mato in una città larga, spaziosa, attorniata
da splendidi parchi, ombreggiata da grandi
viali che convergono tutti nel giardino cen-
trale che dà aria e frescura alla città. Niente
ormai manca alla nuova capitale: collegi,
scuole, ospedali, chiese, prigioni, caserme,
soldati, pompieri; ogni esercito della civiltà
moderna ha la sua casa, il suo palazzo, anzi,
a Bello-Orizzonte. Tutte le architetture vi
sono rappresentate. Il grande palazzo del
Ci o verno, dove il presidente Pinheiro ci ac-
colse festosamente, è in istile fiorentino, di-
pinto tutto da pittori italiani; altrove tro-
vate lo stile gotico dalle finestre ogivali, o
lo stile orientale dalle grandi terrazze, o i
colonnati greci. La libertà assoluta domina
negli edificii, come nelle istituzioni. La chiesa
Istituzioni 79
ortodossa si eleva tranquilla, sicura, accanto
alla chiesa protestante. Accanto ai collegi
delle monache francesi, prosperano le scuole
municipali laiche e gratuite, foggiate in modo
che possano servire nel tempo stesso all'istru-
zione teorica e all'istruzione pratica di agri-
coltura; ivi si è iniziata la promiscuità dei sessi
che ha data così buona prova a Rio Janeiro.
Le leggi penali sono state modificate se-
condo i dettami della scuola antropologica
di Lombroso ; le leggi civili furono modificate
tenendo conto degli inconvenienti rivelati da
un poeta brasiliano, il Gra^a Avanlia, specie
in quanto riguarda la tassazione ereditaria,
in modo da eliminare gli abusi frequenti nei
piccoli centri lontani e abbandonati.
Il carcere è elevato a vero riformatorio
pratico, in cui si cerca sopratiitto, ad esempio
della Peniteiicùiria Nacioìial di Buenos Aires,
di redimere il delinquente e di non costare
alla società.
La città ha ormai più di ventimila abitanti,
dei quali più di un migliaio Italiani. La co-
lonia italiana non è molto ricca, ma è molto
unita e concorde, grazie al tatto del console
italiano signor Bernardi, uno dei più iutelli-
80 NRLTiO STATO DI MlNAS (IRBAKS
genti ed attivi che abbiamo incontrato nella
nostra strada, il quale, dopo essere riuscito
a vincere le discordie fra gli Italiani di Eio,
stava rifacendo la stessa opera unificatrice
nello Stato di Minas, dove risiede attual-
mente. Tutte le regioni d'Italia vi sono rap-
presentate. Vi abbiamo conosciuto una pic-
cola sarda dagli occhi neri pieni di fuoco, entu-
siasta per la nuova patria adottiva che le
aveva dato lavoro e compensi materiali e
morali; un veneto di stirpe patrizia, ora in-
dustriale, che aveva in Brasile già tre volte
fatta e disfatta la sua fortuna; dei Lom-
bardi, dei Toscani, impiegati, maestri, capi
d'arte; dei Napoletani, frementi di orgoglio
che il festeggiato fosse nato nel loro paese.
Le feste, i doni della colonia italiana non
potevano essere più. spontanei, più commo-
venti. Dovevamo partire a mezzanotte, e per
la circostanza era stata illuminata la città
e posti i trams in funzione; sicché signori e
signore, uomini, donne, bambini, ci accompa-
gnarono alla stazione, dove il vagone era
stato coperto di fiori e provvisto dei più
squisiti frutti di Minas Geraes.
Ma l'orgoglio dei Bell'Orizzontinl sono e
Le colonie 81
saranno pììi ancora le nuove colonie ajcri-
cole che Pinheìro, Pattuale governatore dello
Stato, valorosamente coadiuvato dal Carvallio
Britto, il ministro delle Finanze, e dagli altri,
sta organizzando nei dintorni della città.
Colonie ac4iìicole.
Abituati da secoli a vedere la terra dispu-
tata metro a metro fra agricoltori e proprie-
tarii, noi immaginiamo che colonizzare un
paese sia la cosa più facile del mondo ; ohe
basti dare la terra a una famiglia di agri-
coltori per fondare un nucleo di villaggio o
di città; noi crediamo che se la colonizza-
zione non riesce, vi debba esser sempre colpa
o del colono o del concessionario della terra ;
noi non immaginiamo neppure che una fami-
glia di contadini attivi possa non riuscire a
vivere su un pezzo di terra che le si assegni,
senza aggravio di tasse. Ma, ohimè, questo è
purtroppo vero, e più. sovente che non sì
creda! La terra vergine si ribella, come un
animale selvaggio, alla mano dell'uomo che
Ferrerò. America del Sud, 6
69 NELLO STATO DI MlNAd GERAES
vuol domarla per la j^riraa volta ; e 1' uomo
isolato spesso è impotente contro essa e deve
quasi sempre rinunziare alla lotta, quando
non ne muoia vittima innocente.
Questo spiega le difficoltà incontrate nel
Sud come nel Nord-America a fissare il co-
lono al suolo mediante donazioni; questa la
ragione dì tutti i successivi decreti, leggi,
regolamenti in proposito, in Australia, in
America, come in Abissìnia.
La storia della colonizzazione assomiglia
assai alla storia delle Tre nielaraìicie, in cui
una vecchina regala a un ottimo giovane
che la soccorse, tre melarancie, avverten-
dolo che da esse esci ranno tre fate che lo
beneficheranno altamente, S(5 egli saprà con-
tentarle. Ma il giovanotto apre troppo presto
la prima melarancia ; appena la fata esce
dal dorato involucro, chiede con premura
all'attonito protetto dei vestiti onde coprirsi ;
non trovandoli, gli sparisce davanti. Prima di
aprire la seconda melarancia il possessore
del dono fatato si procura dei vestiti ; ma la
^ seconda fata che esce dal magico frutto
ài, non si accontenta di quelli, vuol anche dei
cibi onde sfamarsi, e il protetto deve rasse-
Difficoltà dei numn coloni 88
gnarsi a vedere sparire anclie questa fata.
Edotto dalPesperienza, prima di rompere il
terzo frutto , il possessore dell' ultima pre-
ziosa melarancia ai procura casa, cibo, vestiti,
quanto può essere necessario alla vita di una
persona, e la terza fata infatti nasce, vive e
lo benefica dei suoi inesauribili doni.
Come la fata della favola, i coloni possono
colmare il paese che li ospita di beni preziosi ;
ma a lor volta non basta l'averli per tratte-
nerli; essi muoiono o per lo meno spariscono
se non trovano immediatamente di che vivere.
Nei ranclws fabbricati in fretta, le formiche
entrano d'ogni parte a mangiare le i)rov-
viste ; le serpi, i maiali selvatici attentan
alla vita dei figlioletti ; le sementi, comperate
a prezzi esorbitanti, sono mangiate dagli uc-
celli ; l'acqua da bere, lontana, reclama metA,
dell' attività della famigliola per avere di
che dissetarsi; il ferrigno, la peronospora,
le cavallette, tutti i mali della terra sì get-
tano sulle nuove piante che timide e in-
esperte hanno aperte le loro foglie nel col-
tivo isolato. Per questo, dopo di avere ten-
tato di fissare il contadino gratuitamente,
affidandogli un appezzamento di terreno, re-
84 HELLO STATO DI MTNAS OEKAES
;afalan(lo«:lielo magari, gli Stati nuovi dovet-
tero aumentare, mano a mano, le concessioni
e i diritti, fino a venire all'odierno progetto
del CJoverno Brasiliano, che ò certo uno dei
più completi.
Gli e che i Governi si sono ormai pro-
fondamente convinti che senza molte age-
volezze è facile trovare dei coloni, ma im-
possibile di fissarli definitivamente al suolo;
e che se non si anticipano i capitali occor-
renti a rendere la terra un animale man-
sueto, la terra uccide il colono o lo caccia
lungi da sé.
Quando la terra è vergine ancora, non
^m^-— solo bisogna diboscarla, ma a tentoni bi-
sogna cercare la coltura ad essa più adatta,
perchè quando non si conoscono le condizioni
meteorologiche di un sito, pur facendo le
analisi scientifiche, non si può rimpiazzare
l'esperienza della tradizione e degli anteces-
sori. Il capitale della esperienza è quello
che è pagato pii\ caro nella vita; per questo
molte volte i coloni venuti dall'Europa, ma-
gari con qualche capitale, colla speranza di
S' larsi una posizione indipendente, finiscono,
dopo aver comperato un terreno, col perdere
Colonie spontanee 86
tutto e rifugiarsi nelle fazende, dove possono
condurre la vita d'Europa.
-ti Ci hanno detto infatti che sono ora molto
più fiorenti e prospere alcune colonie sorte
spontaneamente in antiche fasewi^ vendute
ad appezzamenti dagli eredi o da ammini-
stratori esperti che non quelle ufficiali.
Vicino a San Paolo ci fecero vedere così
un paesetto sorto per speculazione. L'eredi-
tiere di una vecchia fazmda l'aveva divisa in
tanti piccoli appezzamenti, ne aveva venduti
un terzo a buon prezzo, serbando liberi i
lotti alternativamente a quelli comperati.
Dopo cinque o dieci anni i lotti alterni
erano stati venduti ai contadini a prezzi
tali da pagar da soli abbondantemente la /«-
zenda.
Ma sì trattava in questo caso non di terra
libera, ma di terra lavorata da molti anni che
aveva incorporato in sé già il lavoro di pa-
recchie generazioni, di cui v'erano già tra-
dizioni, di cui si sapevan le virtù e i difetti;
essa era in prossimità a una città, si era
potuto sfruttarla con colture intensive di or-
taggi e vigneti che in tutti i paesi rendon
assai, ma specialmente in Brasile, dove or-
86 NELLO STATO DI MINAS GERAKS
taggi e uva, vengono ancora in gran parte
dall' Europa.
Questi villaggi sorti spontaneamente hanno
dato l'idea al Governo Federale ed ai diversi
Stati di fondare sul loro modello delle colo-
nie stabili e durature.
Bell'Orizzonte fu il primo paese, credo,
nella Eepubblica che lo seppe capire. Prima
ancora che l'attuale regolamento del Governo
Federale andasse in vigore, esso lo mise in pra-
tica creando per suo conto delle colonie, che
serviranno d'esempio e di esperimento agli
altri Stati.
All'inizio della sua fondazione, proprio
quando ancora architetti, ingegneri e mano-
vali stavano tracciando le prime vie della
futura capitale, i futuri suoi reggitori ave-
vano avuto l'idea di fondare nei suoi dintorni
qualche colonia che potesse crescere insieme
alle mura della città, come il toro di Ercole,
provvedendo largamente ai presenti e futuri
bisogni dei suoi abitanti. Fu scelta una larga
zona di terreno in pianura a pochi chilo-
metri dalla città, in vicinanza al fiume ; mal-
grado ciò, le colonie di Bell'Orizzonte ebbero
presto la sorte delle altre; il bosco ripul-
f
Colonie nuove 87
lulò disperatamente sul fresco terreno ver-
gine, tagliato da inesperti spaccalegna ; l'ac-
qua deviò o inondò i seminati, o li lasciò
f, all'asciutto, e i seminati furon distrutti. Per
/ qualche anno i coloni vissero di patate, e
poi finirono di andarsene via tutti.
Profittando della dura esperienza dei primi
coloni, gli attuali reggitori di Bell'Orizzonte
hanno ripreso i terreni abbandonati, ne hanno
fatte sei colonie, ciascuna divisa in lotti di
25 ettari, di cui due seminati ed arati, con
un nucleo di terreno boschivo e pratile, co-
mune a tutte. Essi li hanno ben delimitati, e
j costruito delle fermate perchè i futuri coloni
potessero ntilizs^are la ferrovia che passa nei
dintorni e, riallacciati i terreni alla città per
una larga strada carrozzabile, hanno stabilito
in ciascuna colonia una fattoria modello, in
cui risiede un maestro di cultura, che è in-
sieme capo della colonia; questi riceve gra-
tuitamente un certo numero di giovanetti da
istruire nell'azienda agricola, esperimenta i
terreni, le sementi, il bestiame, le macchine,
i rimedii che devono esser distribuiti ai coloni,
li avverte settimanalmente dei prezzi delle
varie derrate nei mercati di Rio e di 8antos,
IÌB.Ì&.
88 NELLO STATO DI MINAS GBRAES
fungo insomma da amministratore, reggitore,
consultore dei coloni che sono nel suo distretto.
Tonnellate di patate di tutte le qualità
venute dai varii punti d'Europa, sono state
sperimentate nelle sei fattorie, per vedete
quale meglio attecchisse in quei terreni, e
ììiaiz e fagiuoli e grano di ogni specie, e vac-
che e capre e animali di ogni razza per preav-
visare i coloni quale meglio si acclimatasse
in quella speciale regione.
Bell'Orizzonte vuole essere il centro di
una regione agricola e non risparmia nulla per
diventarlo; nell'agricoltura i suoi abitanti
hanno riposto con entusiasmo ogni loro spe-
ranza. Quando siamo andati a visitare una di
queste colonie, un centinaio di persone ci se-
guiva : ministri e deputati in vettura, e citta-
dini a cavallo, ed operai sui muletti, e giova-
netti a piedi od in velocipede; v'erano dei
biondi contadini tedeschi dagli occhi azzurri e
dei vivaci Italiani dall'accento meridionale ; e
antichi abitanti dei dintorni di Juiz de Fora,
di Barbacena stabiliti da poco nella capitale,
e ragazzi nati nella città. Tutti ci volteggia-
vano attorno felici, oi:gogliosi che noi mede-
simi verificassimo che nei lotti preparati,^
Preparativi 89
i campi sono già lussureggianti di messi, le
stalle fornite di armenti, le casette pulite e
dipinte, Pacqua zampillante nelPorto o nel
giardino, felici che ammirassimo le loro co-
lonie; sì, le loro, perchè in ciascuna di esse
era concentrata l'opera di ciascuno che colla
propria esperienza, col proprio entusiasmo,
colla propria fede, coi proprii saorificii vi
aveva contribuito.
Queste colonie hanno costato una somma
considerevole, e più verranno a costare, per-
chè ai nuovi arrivati, lo Stato stabilì di prov-
vedere il cibo e gli strumenti per sei mesi.
Ano cioè al nuovo raccolto. Ma il contadino 6
messo così in posizione di poter indennizzare
abbastanza facilmente lo Stato di queste spese
che gli ha anticipate, e che è tenuto a pa-
gare entro dieci anni, e di potervisi fissare
molto più che non ne avesse modo nelle con-
dizioni della terra libera e sul terreno non
aggravato di alcun legame. Coi denari pagati
dai coloni lo Stato ha il progetto di formar
sempre nuove colonie. Così Bell'Orizzonte
spera di poter, con una piccola spesa iniziale,
popolare tutte le sue terre. E certo le sue co-
lonie essendo le meglio preparate fra quante
90 VELLO STATO DI MINAS GBIIAES
abbiamo visitate, attireranno dall' Europa e
dal Brasile stesso ^ la popolazione migliore,
nel momento presente disponibile; e l'alacrità
degli abitanti congiunta alla feracità del
suolo convertirà certo in un prossimo avvenire
le terre di Minas Geraes in miniere più pro-
lìcue e più inesauribili che quelle di oro e
di argento, a cui lo Stato di Minas deve tante
speranze e tante delusioni.
1 Dei coloni il 10 % possono esser scelti fra quelli resi-
denti al Brasile.
IV.
Gli abitanti.
Un po' di storia del Brasile.
Il Brasile è così immenso ohe non si può,
dopo aver soggiornato in una regione, esten-
dere a tutte, le impressioni riportate in una ;
per questo non oso parlare di Brasiliani, ma
di abitanti dei paesi che ho veduto durante
il nostro viaggio al Brasile, e sopratutto dei
Brasiliani del Nord, che conoscemmo in gran
numero a Rio de Janeiro,
Siccome però di nessun paese, e tanto meno
del Brasile, è facile capire il presente senza
sapere qualcosa del passato, che vive cristal-
lizzato nella storia contemporanea dei popoli
come degli iudividui, così comincierò col dire
del Brasile qualche parola sulle sue origiui.
92 GLI ABITANTI
Contrariamente a quanto volgarmente si
crede, il Brasile, che diede nel '700 all'Europa
tanto oro e metalli preziosi da trasformare
il sistema monetario antico da argenteo in
aureo, non fu popolato dapprima da famelici
cercatori di oro che solo pensassero a sfrut-
tarne vandalicamente il sottosuolo; ma da
commercianti accorti, portoghesi, olandesi, che
volevano usufruir del suo sole, del suo cielo,
della sua terra per piantarvi quelle industrie
e quei commerci che avevano fatta l'India
indispensabile all'Europa : da avventurieri co-
raggiosi ed audaci, specie francesi, i quali
cercavano nelle sue foreste quella piena li-
bertà politica e religiosa che l'Europa an-
dava lesinando ai suoi figli nel XVII secolo :
da prelati, esiliati dal vecchio mondo perchè
troppo liberali, come quel Padre Antonio
Vieira, che era stato un grandissimo perso-
naggio nel Portogallo del suo tempo; tutta
gente che veniva non a prendere ma a portare
i proprii capitali, la propria esperienza, la
propria scienza.
Furono esploratori portoghesi Pedro Al-
varez Cabrai, e Diego Diaz che scoprirono pei
primi, verso il 1500, le terre del Brasile, e
Primi germi di coltura net Brnnle 93
fu quindi il re del Portogallo che stese primo
il suo scettro sopra di esse.
Il Portogallo aveva raggiunto allora se
non l'apogeo, una grande altezza certo, i)oli'
tica, letteraria ed artistica, aveva gii\ cronisti
come Fernandez Lopez, novellisti come Ber-
nardino Ribeiro, storici come Giovanni di
Barros, drammaturghi come Gii Vicente^
È questo un punto capitale nella storia del
Brasile perchè si deve ad esso se queste nuove
terre lontane e spopolate continuarono ad es-
sere così strettamente legate alla cultura eu-
ropea. I primi governatori infatti, i primi ca-
pitani che il Portogallo mandò in Brasile,
trasportando nelle nuove terre gli usi della
patria, si attorniarono di una coorte di lette-
rati, poeti ed artisti, che valsero ad indiriz-
zare le alte classi ai godimenti intellettuali, i
più sicuri baluardi che possa innalzare un
popolo civile contro la barbarie che così fa-
cilmente invade i paesi nuovi.
Nel secolo XVI esistevano già a Pernam-
buco, a Maranhao e sopratutto nel Nort, col-
^ Verissimo, Literatura Brasileiraj yo\. TU, Garnier edit.
Rio Janeiro.
M GLI ABITANTI
k
legi di ( Jesuiti dove i Brasiliani potevano se-
tj^iiire in patria studii superiori, specie clas-
Mlf'i, (*oine in Europa. E già nel 1506, pochi
anni dopo P insediamento dei Portoghesi, il
lìia.sìle ebbe il suo lìrimo poeta, Bento Texeira,
nato ;t Pernambuco verso il 1543, che scrisse
i! litu'iiia Prosopopea verso il 1590. Nel 1600
H(MÌ8H«no dal Brasile e sul Brasile i portoghesi
Soiirez, Prei Vicente e Gandaro.
Nel 1 700 ci fu in Brasile una vera fioritura
|)oeti<';i, che per la qualità e quantità superò
Ih coTriMi)ondente jiortoghese, che comincia
i\o\V lìhd de Duir, di Manuel Botelho De Oli-
V(3ira, e col poema di Rocha, Petla , 1730.
N(*l 176H si stabilì pure a Rio Janeiro una
« AiijiidJa Brasileira», di cui parla Silva Al-
vjii'enza nel suo poema Ah Artes, stampato
!j, Linbona nel 1778, chiamandola ArcadUi itltra
muriua. Nel 1779 esisteva a Rio Janeiro una
<( Societade letteraria » in cui i)oeti e letterati
t^ nu^dicù e scienziati si radunavano settima-
na! riunite a leggere i proprii lavori.
Nel 1827 esisteva a Rio Janeiro una Acca-
demici Imperiale di arte; nel 1827 furono
aperh' due Università: a Fernambuco ed a
fc^^an Paolo.
Primi coloni 96
Ma il Portogallo, il paese dominatore, era
una piccola striscia della penisola iberica, non
straordinariamente popolato, sufficientemente
ricco ; esso non contava certo più di tre mi-
lioni di abitanti, aveva interessi, relazioni
commerciali e numerose fattorie in Oriente,
in Europa, in India, in Oina, in (liappone, e
non poteva dare alle nuove terre di America
che pochi elementi burocratici o commercianti
e qualche migliaia di esiliati politici e re-
ligiosi.
Furono Francesi ed Olandesi coloro che
approfittarono, specialmente dapprima, delle
nuove terre scoperte da Cabrai : essi vennero
a piantarvi le spezie orientali, a cercarvi il
legno ardente^ quel Pao Brasil da cui il Bra-
sile prese il nome, molto stimato allora in
Europa per la tintoria. I Francesi stabilirono
nei pressi di Perrunnlnico, di Maranluio e di
San Lmiis molte fattorie, che furono le pietre
angolari delle città future ; coll'aiuto de«li
Olandesi fondarono i)iù a nord Cedra, e con
quello dei Portoghesi Parahyba. Anche gli
Olandesi si diressero verso il Nord, occupan-
dosi sopratutto di piantare la canna da zuc-
chero, le spezie orientali e più tardi il caffè.
1
96 niil ABITANTI
il imcao o molti alberi indiani, giapponesi e
cinesi, Varando, il limone, il sapoty, Vàbiou, il
imm lìmo. Pino a questo momento solo il nord
drl Brasile era stato preso di mira. Fu un
ijumipolo di Francesi calvinisti, comandati
dal Villegaignon, che primo si spinse a Sud
iw\ mare di Guanabara, e vi fondò sotto
i I Tiome di Fram)ia antartica una colonia nel
IHinto ove sorge ora Rio de Janeiro. Essi
sdibilirono nei dintorni delle grandi fattorie
(^Im coltivarono coU'aiuto degli Indi, attratti
li Kè colla gentilezza e la liberalità che li do-
vi^vu fare anche nell'America del Nord gli
Il Ilici bianchi, amati dagli Indi nativi.
Spaventato da questa invasione, nel 1630
^ììiivanni III re di Portogallo decise di man-
iUive:> nel Brasile un capitano di grande in-
izili genza, Tlwnuis de Sansa, con 300 soldati
t* r>(M) galeotti per fondarvi una città in cui
risiedesse il suo rappresentante a difendere i
wLioì interessi. Il Thomas de Sousa scelse il
I in)go ove ora sorge Bahia, vi fabbricò chiese,
luj lazzi, ospedali e sopratutto magazzini desti-
mi fii a raccoglier i prodotti indigeni da espor-
Liire, e la merce europea, di cui i coloni eu-
ru|jei sentivano vivo il bisogno, da importare ;
\
Francesi, Olandesi e Portoghesi 97
distribuì nelle fattorie dei dintorni molti capi
di bestiame delle isole Canarie, piante e semi
dell'Africa, ortaggi e frutti del Portogallo,
e fece del suo vicereame un vero centro agri-
colo e commerciale. Sotto l'influsso del De
Sousa si moltiplicarono attorno a Bahia le col-
tivazioni di zucchero, engenltos, i cui j^adroni
divennero più tardi la vera aristocrazia bra-
siliana. Ma i Portoghesi erano sempre jiochi
e i forestieri continuavano ad affluir in gran
copia. Anche Italiani, veneti e fiorentini, an-
darono in quel torno a Bahia, fra altri un
membro di quella famiglia Cavalcanti di cui
parla Dante, che lasciò numerosissima di-
scendenza, ed ebbe una parte importante nella
storia del Brasile.
Nel 1G40 la Spagna, subentrata al Porto-
gallo in tutte le sue possessioni, tentò di
chiudere il Brasile agli altri popoli euroi)ei,
come già aveva fatto delle proprie colonie.
Ma come la bertuccia che rompe lo spec-
chio per non vedervisi dentro e si trova poi
riflessa nei mille cocci, gli Spagnuoli, con
le loro proibizioni, ottennero di difl'ondere,
disseminare e fortificare questi nuclei di
Francesi ed Olandesi sparsi nel nuovo con-
F ERRERÒ. America del Sud. 7
98 GLI ABITANTI
tinente. Gli Olandesi che prima avevano abi-
tato il Brasile come semplici privati, padroni
di engenJios o commercianti, sentiron la ne-
cessità di conquistarne una porzione colle
armi. Nel 10G4 il principe di Nassau stabilì
dati ni civilmente hi bandiera olandese a Per-
nambiicM) per conto di una compagnia com-
merciale olandet^e. Vn questa l'epoca d'oro del
Brasile. Il principe di Nassau, uomo di grande
ingegno politico e letterario, scolaro delle Uni-
versità dì Helboroj di Basilea, e di Ginevra,
portò nella nuova America la larghezza di
vedute della società colta ed intellettuale del-
l'Europa di quolPepoca. I nativi furono in-
vitati a sedere nelle assemblee, fu concessa
a tutti la massima libertà religiosa; pittori,
«cultorif meccanici olandesi furono chiamati
ad erigere chiese e palazzi, a tracciare strade,
a dipingere tempii ; scienziati e naturalisti
fnrou invitati ad istruire il popolo e a far
conoscere al mondo le meraviglie naturali del
paese.
Caduto il Nassau e passato il potere in
mani meno aluli, gli Olandesi furono cacciati
politicamente da Pernambuco, ma essi con-
tinuaiouo a moltiplicarsi e spargersi in tutto
Libertà e indipendenza 99
il Nord del Brasile, e si insediarono anche
fortemente a Rio de Janeiro, donde iniziarono
un attivo commercio di contrabbando colle
altre colonie sud-americane. Contemporanea-
mente i Gesuiti d'ogni paese ma più porto-
ghesi, fondavano al Sud le colonie di Misio-
nes, di San Paolo, di Santa Caterina ed al
Nord quelle di Maranhao e del Gran Nort,
che essi popolavano cogli Indi, che riesci-
vano ad ammansare. I Paolistani alla loro
volta mandarono una colonia nella regione
inesplorata di Minas, in cui presagivano es-
servi le famose miniere d'oro, fonte di tante
gioie e di tanti dolori, di tante ricchezze e
di tante miserie. — Con queste nuove colonie
di Minas, il Brasile ebbe un centro unifica-
tore delle varie capitanerie staccate e scono-
sciute quasi le une alle altre.
La libertà goduta dal Brasile nei primi
anni della sua origine fu decisiva pel suo av-
venire. Chi ha assaporato una volta il frutto
della indipendenza non può più ridursi in
servitù ; per quanto colonia portoghese, il Bra-
sile non fu mai soggetto alla madre patria
come lo furono il Perù, il Cile, l'Argentina,
il Messico e gli Stati Uniti.
WO GLI ABITANTI
h
Caduto il Nassau nel 1084, si ebbero rivo-
luzioni per conquistare l'indipendenza: a Ma-
ranhao nel 1710, e nel 1719 a Fernambuco,
nel 1789 nello Stato di Minas. Molto tempo
prima quindi che per merito di Giovanni I
il paese diventasse l'Impero Brasiliano, esso
fiveva avuto una vita propria; esso, direi,
aveva già coltivato l'idea di un governo re-
pubblicano. Don Fedro I succeduto quasi su-
lùto a Giovanni I, fu depostò, dopo due anni,
iiL favore di Don Fedro II appena seienne.
— Don Fedro II che governò il Brasile —
come presidente a vita più che come impe-
ratore — contribuendo efficacemente a spar-
f* er nel paese così le idee repubblicane come
la cultura moderna, fu deposto dopo qua-
rant'anni di prospero regno.
La questione dei negri.
I primi coloni del Brasile furono, dunque,
dei bianchi venuti dai paesi più colti e civili
della vecchia Europa. Ma questi bianchì a
nulla sarebbero riesciti se non avessero trovato
«lei collaboratori attivi di classe inferiore. Tali
Ija traila dei neri 10 1
furono gli Africani. Lo sfruttamento agricolo
del Brasile non sarebbe stato possibile senza
l'aiuto dei negri d'Africa. Gli aborigeni, uo-
mini intelligenti, e capaci moralmente e ma-
terialmente di formare una grande civiltà,
erano troppo pochi e troppo indolenti per
far prosperare le nuove fattorie. Di bianchi
non v'era a quel tempo copia bastante per
l'Europa. L'America sarebbe ancora quindi
una terra selvaggia se non si fosse trovato
il negro che col suo braccio la mise in valore.
I negri non vi vennero spontaneamente, vi
furono importati come schiavi. I Portoghesi
che avevano già iniziata la tratta dei neri
firima ancora della scoperta dell'America, ne
portarono naturalmente gran copia nelle pro-
prie colonie specie nel Brasile, il quale per
la sua posizione vicino alle coste della Nuova
Guinea e delle Canarie, donde i negri veni-
vano tratti, era il paese meglio situato per
approfittarne. A torto però noi, che della
schiavitù abbiamo un'idea molto vaga, bol-
liamo coi nomi più infami questa emigrazione
forzata. — Quando mai l'emigrazione fu vo-
lontaria ?
Abituati a tutti i dolori, a tutte le priva-
102 GLI ABITANTI
zioni a cui li condannava il terribile clima
in cui erano nati e l'arida terra da cui do-
vevano trarre il nutrimento, gli Africani non
solo non peggiorarono, ma migliorarono cer-
tamente le loro condizioni passando nel Bra-
sile che offriva a loro un clima ugualmente
caldo e una terra ben altrimenti feconda della
lor propria. Sì, essi erano schiavi; ma essi
passavano dal dominio di clan e di principi
spesso poveri e crudeli, a quello di padroni
che avevano bisogno del loro braccio, che non
li disprezzavano, che non isdegnavano di
adottare i figli nati dall'unione colle loro
donne e spesso anche di unirsi ad esse con
matrimonio legale, che li nutrivano e li ad-
destravano in un'arte civile. Terribili fasi
della schiavitù eran certamente la razzìa e il
viaggio, specie negli ultimi anni quando la
tratta era proibita (prima pare avvenisse in
modo abbastanza regolare, comperando diret-
tamente i figli dai padri, i sudditi dai re).
Ma una volta venduti e passati nelle mani
del padrone definitivo, lo schiavo ridiventava
uomo e rientrava sotto il dominio delle leggi
comuni come gli altri cittadini. Il padrone
non poteva disfare una famiglia di schiavi,
Situaziofw degli schiavi nel Brasile 103
vender separatamente la moglie o il marito
o i figli minorenni. I negri avevano i loro
santi nelle chiese, le loro associazioni, le loro
feste, quella del Ee del Congo e quella della
Ghegada o dell'arrivo, importante a dimostrare
come essi avessero conservate le loro tradi-
zioni, le loro feste; potevano possedere e ri-
scattarsi coi proprii risparmii; spess^o erano
liberati su testamento del padrone, di cui in
questo caso seguitavano a portare il nome,
continuavano a pagar tributi ai loro cai)i
che erano caduti schiavi con essi.
Fin dal principio era invalso l'uso di aiìa-
drinliar i fuggiaschi, di tenere cioè lo schiavo
che si rifugiava fuggendo nella terra altrui,
contrattando un compenso al primitivo jja-
drone. Quasi sempre le figlie delle schiave
erano ammaestrate dalla padrona stessa nei
lavori donneschi, nei ricami, nel tessere, nel
filare, in cui si conservano abilissime oggi
ancora. Non vi fu mai in Brasile lo sprezzo
dei neri che esiste oggi ancora nel Nord- Ame-
rica, il che spiega il fatto che la schiavitù
durò in Brasile fino a una ventina di anni
or sono, e fu abolita non per causa di rivolte
di schiavi, ma per ragioni economiche ; per-
k«^
104 GLI ABITANTI
che, cioè, essendo divenuto necessario aumen-
tare il numero dei lavoratori, e avendo fatta
cattiva prova la mescolanza di liberi e di
schiavi, molti proprietarii si videro obbligati
a desiderar l'abolizione della schiavitù affine
di aumentare i loro lavoratori. Le condizioni
degli schiavi erano in fondo assai più con-
formi a quelle degli operai che non ai qua-
dri che ce ne hanno fatto gli antischiavisti,
alla sola i)arola dei quali noi sogliamo pre-
star fede.
I bianchi adottarono dai neri con cui erano
a contatto continuamente, molti usi, molti co-
stumi, molte industrie, molte culture (i giuo-
chi, gli s2)ort, le feste, la cucina e l'agricol-
tura brasiliana, sono in gran parte africane).
Lo stesso fecero i neri al contatto dei bian-
chi modificando perfino in parte i proprii ca-
ratteri fisici e psichici, anche quando non si
mescolarono fisicamente ad essi. All'uscita
dai laboratori voi vedete in Brasile centinaia
di ragazze negre, perfettamente negre, coi ca-
pelli abbastanza lunghi da fare un chignon
sulla nuca, come vedete spesso n^Ue strade
dei neri, uomini e donne, canuti, e dei vecchi
colla barba. Nelle donne resiste, anche nelle
Mistione dei bianchi coi neri 105
iucrociate, già molto bianche, la t'orma virile
del corpo, delle estremità sopratutto ; mentre
in molte pur nerissime trovate già il viso
ovale, le mascelle meno sporgenti, i denti
meno protendenti che nelle nere africane.
Per quanto la posizione rispettiva di servi
e padroni dovesse apparentemente favorire
la divisione delle due razze, in Brasile si ebbe
subito una mistione quasi completa fra bian-
chi e neri, aiutata dal fatto che la emigra-
zione bianca in prevalenza maschile, necessi-
tava di donne, eccellente tramite di fusione.
I vincoli familiari abituarono i bianchi non
solo ad amar i neri ma anche ad apprezzarli ;
e voi trovate ora nelle scuole, nelle case, nei
laboratori!, negli ospedali, maestri, dottori,
ingegneri bianchi e mulatti mescolati assieme
senza alcuna disparità di trattamento.
Raccontano a quest9 proposito che in una
delle ultime feste date da Don Fedro II nella
sua Reggia, l'imperatore avendo visto un
mulatto che copriva un'alta carica, solo, in-
cantucciato, non osante pigliar parte alle
106 OLI ABITANTI
danze, indovinando la causa di questa sua ri-
trosìa, gli abbia presentata la figlia perchè la
tacesse danzare. Non garantisco l'autenticità
di questo aneddoto; ma ad ogni modo esso
è simbolo della importanza che Don Fedro
(la cui memoria tutti amano e venerano nel
Brasile, anche i più caldi repubblicani) dava
a questa completa mescolanza e tolleranza
reciproca, iniziate felicemente al tempo dei
conquistatori portoghesi, che ha sortito nel
Brasile ottimo risultato.
La mistione ha preservato il Brasile dal pro-
blema delle razze che affatica il Nord-America,
e ha formato una razza nuova in nessun rap-
porto inferiore alle razze bianche o nere che
ne furon la radice, contrariamente alle asser-
zioni aprioristiche degli antropologi moderni
che vogliono negare ogni perfettibilità agli
incroci nostri con stirpi camitiche.
L'influenza che ebbe la fusione del nero
col bianco nel Brasile è immensa, non solo
nel campo fisico ma anche in quello intellet-
tuale, morale e sociale; e non esito a dire
che l'influenza del nero fu spesso migliore di
quella del bianco che lo surrogò anticamente
nelle altre colonie americane — perchè dal-
Doti innestate dai neri nei bianchi 107
TEuropa non vennero anticamente come la-
voratori in America che scarti e rilSuti delle
nazioni — condannati, reprobi, turbolenti o
inetti, mentre l'Africa mandò al nuovo mondo
un elemento selezionato artificialmente fra le
razze più forti e intelligenti, già acclimatato
alle terre a cui era destinato ; per cui non si
potrebbe proprio dire chi nel Brasile del bianco
o del nero abbia più guadagnato dalla fu-
sione, poiché se il nero ebbe dal bianco Pim-
biancamento della propria razza e acquistò
una maggiore perfezionabilità, Pelemento afri-
cano diede al bianco l'adattamento al clima e
un innesto prezioso di doti che andavano nel
bianco estinguendosi — l'immaginazione, il
cuore, la pazienza.
L'elemento africano ha esercitato sul bra-
siliano l'influenza che ha avuto in Cina l'e-
lemento indiano; ha ammollito un poco il
bianco, ma l'ha richiamato alle gioie dei sensi
dell'amore, della vista e dell'udito.
Lo svolgimento artistico, letterario, poetico,
ed anche, pare, politico del Brasile, segue in-
fatti esattamente la linea di diffusione della
razza nera, Bahia, Maranhao, Fernambuco,
Recife, Eio elaneiro. Villa Elea.
108 GLI ABITANTI
Gli scrittori, i poeti, i letterati, gli storici '
Gon^^alves Dias, Sotero dos Eeis, Joao Lisboa,
Flavio, Eeiinar, Joaquim Serra, Henriques
Leal, José de Alencar, Fedra Branca, Franco
de Sa, Junqueira Freire, Maciel Monteiro,
Castro Alves, Tobias Barreto, Alexandre Eo-
drigues Ferreira, Victoriano Palliares, Vi-
sconde de Cayrù, Bruno Scabra, Agrario de
Menezes, Alves Serrao, Odorìco Mendes, Abreii
e Lima, Theophilo Dias, Arruda Oamara, Celso
de Magalhaes, Candido Mendes, per citare
soltanto i morti, sono tutti poeti, storici, ro-
manzieri del Ifford. Così pure sono del Nord
la maggior parte degli uomini politici, sta-
tisti, giureconsulti, parlamentari di più chiara
fama nel secondo Governo: Monte Alegre,
Montezuma, Abrantes, Caravellas, 01 inda Pa-
ranhos, Visconde de Albuquerque, Eeboucas,
Teixeira de Freitas, Nabuco, Souza Franco,
Goncalves Martin, Zacarias, Cotegipe, Tava-
res Basstos, Saraiva, Costa Ferreira, Dantas.
Eccettuato Eio de Janeiro, che esercita
la funziono di intermediario fra il Nord ed
^ José Verissimo : Estudos de literatura brazileira, voi. Ili,
pag. 69.
I
Bontà dei neri 109
il Sud, la vita letteraria è quasi nulla al
Sud — malgrado che — notisi — gli Stati
del Nord sieno situati in 'Brasile nella zona
del calore più vivo, la zona equatoriale, che
si ritiene la più contraria allo sviluppo intel-
lettuale. Orbene, malgrado la zona torrida
in cui vive, il brasiliano del Nord è più in-
tellettuale, più mistico, più filosofo, più al-
legro, più generoso, più emotivo, più appas-
sionato che il brasiliano del Sud. Egli deve,
molto probabilmente, queste qualità al nero,
in parte per le sue doti, in parte per aver
reso possibile col proprio lavoro l'insediarsi
e propagare le loro ricerche di pensatori eu-
ropei, portoghesi, olandesi e francesi.
Un'altra qualità che i Brasiliani, i quali
conoscono i neri assai da vicino, attribui-
scono alla loro influenza, è la bontà. Pare
infatti che i negri sieno buoni, dolci, affettuosi,
amanti della famiglia e dei bambini assai più
che i bianchi. Cento casi ci raccontarono
i nativi, di devozioni assolute e delicate
dei neri verso i loro padroni, verso i loro
antichi re (a cui continuarono a pagare tri-
buto anche quando in schiavitù erano di-
ventati a loro eguali), verso i loro figli, che
110 GLI ABITANTI
mai non abbandonano negli orfanotrofii, per
quanto versino in gravi condizioni economi-
che ; e verso i bambini che essi hanno allevato,
devozione che ha aiutato assai la diffusione
delle razze, attutendo da prima le diver-
genze fra padroni e servi, e conquistando
poi l'affetto dei bianchi, che dopo aver com-
perati i neri come schiavi, non si vergogna-
vano, riconosciutane la devozione, di adot-
tarli come mogli e figli.
Qualità e difetti dei Brasiliani.
Non è fuor di luogo quindi attribuire alla
eredità dei neri, la bontà, la solidità dei vin-
coli familiari ed amicali che si dice seguano
anch'essi come la poesia e la letteratura nel
Brasile, la linea di diffusione della razza nera.
Noi in Europa non abbiamo più idea di che
cosa siano i legami dell'amicizia e della pa-
rentela.
In Europa, quando un uomo si sposa, pi-
glia a suo carico soltanto la moglie ; ma nel
Nord del Brasile egli si carica non di rado
Ospitalità dei Brasiliani 111
sulle spalle materialmente e moralmente tatto
il parentado, che spesso vive unito a lei o a
lui nella stessa casa patriarcalmente; si ca-
rica, spesso senza alcun obbligo, dei bambini
lontani caduti in miseria, degli estranei stessi
che penetrino nella sua casa. Una volta cia-
scun fazendero manteneva nella sua fazenda
centinaia di agregados bianchi che venivano
alimentati e alloggiati gratuitamente da lui.
Nei romanzi contemporanei, che sono lo
specchio fedele dei tempi presenti, voi vedete,
nelle vecchie fazende cadenti, una quantità
ancora di vinti della vita, di scienziati, poeti
emigrati dall'Europa e che non hanno potuto
trovare un appoggio nella nuova patria, me-
dici, avvocati, filosofi cui qualche intoppo
ha impedito di finire gli studii. Qualcuno
rimane qualche mese soltanto, come i pel-
legrini nei grandi ospizii costrutti per gli
spostati avventurieri attraverso ai passaggi
alpini, ma altri tutta la vita come l'ostrica allo
scoglio, seguendo la fortuna e la sventura
dei loro ospitanti senza che questi pensino a
disfarsene.
In molti paesi si trovano delle famiglie ospi-
tali; ma qui l'ospitalità è la regola. Nelle
r>
112 GLI ABITANTI
fazende voi non troverete forse che una sala,
la quale serve in genere anche da biblioteca,
(la studio; ma trovate, sempre, anche nelle
più modeste, dieci o dodici camere da letto
per gli ospiti eventuali.
Una comitiva di otto o dieci persone può
capitare all'imprevista nella più nmìle fazenda
sicura di esser bene accolta e di non metter
a soqquadro in alcun modo l'ordinamento
della casa; a tavola, nelle famiglie private,
trovi spesso alcuni posti vuoti i)er gli ospiti
che il caso vi manda ; nel nostro rapido
viaggio nello Stato di San Paolo successe ap-
punto a due nostri compagni di restar fuori
di notte e di entrare così in una fazeiida
sconosciuta, senza che alcuno trovasse strano
che essi fossero andati senz'altro ad allog-
giare presso degli estranei.
Una giovane italiana, di cui parlerò an-
cora, fu ospitata i)er un mese da una fami-
glia che appena aveva veduta una volta, la
quale, saputo che essa avrebbe dovuto rima-
ner in Bell'Orizzonte qualche tempo per cer-
car lezioni e lavoro che il presidente dello
Stato le aveva promesso, le offrì la sua casa.
All'ospitalità è annessa una generosità così
Generosità 1 1 3
spinta, che si trasforma qualche volta in di-
fetto, poiché nella sua passione di dare, il bra-
siliano è capace di dare qualche volta più che
non possa, mettendo in gravi imbarazzi sé,
gli amici e qualche volta anche il pubblico.
Se infatti ho sentito di molti, che per la ge-
nerosità di amici, spesso appena intravisti di
lontano, hanno potuto rifare la fortuna, ti-
rarsi da un passo difficile, molti ancora ho
udito lagnarsi di aver perduto grosse somme
perchè le persone che li dovevano pagare ave-
vano tutto dato ad altri.
La forza dei legami dell'amicizia che non
indietreggia quando gli amici non possono
disporre di alcuna influenza, è una delle cose
che mi ha colpito più gradevolmente nel
Brasile. Don Fedro è caduto dal trono or-
mai da venti anni, è morto e sepolto lontano
dalla patria diletta, ma il suo ritratto pro-
tegge ancora benevolmente gli scolari che
non Phanno mai conosciuto, come i malati
degli ospedali fondati da lui. Noi abbiamo po-
tuto seguirlo così a Santa Teresa, a Petropoli,
in mezzo alle ombrose piante di cui egli si
era circondato, nelle istantanee, nei ritratti,
nei medaglioni, nelPaftetto, nelle parole dei cit-
Feruero. America del Sud, 8
114 GLI ABITANTI
tadiui nati spesso dopo la sua morte, come
non abbiamo conosciuto mai alcun re dell'Eu-
ropa vivente e imperante sul proprio trono.
Machado de Assis è lo scrittore più celebre
del Brasile, ma egli è ormai quasi ottantenne,
non ricco, vive di un piccolo impiego al Mi-
nistero, è solo, non ha famiglia, non figli,
non dispone quindi né di denari, né di in-
fluenze, ma nessuno può immaginare le cure,
le gentilezze di cui egli é fatto segno. Mi-
nistri, deputati, scienziati tutti sono pronti
e premurosi sempre a lasciargli il passo e
proteggerlo, ad animarlo, a bever le parole
che escono dalla sua bocca ; così degli altri.
Noi non abbiamo conosciuto Joachim Na-
buco, figlio di Nabuco de Arahujo statista sto-
rico e poeta insigne. Noi non Pabbiamo visto,
^ dico ; egli è lontano ora, ambasciatore del
Brasile negli Stati Uniti, non dispone quindi
■y di influenze locali, ma noi non abbiamo par-
p lato con alcuno che non ce l'abbia lodato
1^ e citato; e diflìcilmente voi trovate in Bra-
sile un libro in cui non si parli di lui, nella
prefazione, nella dedica od accidentalmente;
amici o nemici politici, tutti sono concordi
nell'ammirazione comune.
Foì'za delle amicizie 115
Questa forza delPamicizia, questo amore
universale fa sì che il nuovo arrivato non si
trova mai solo al Brasile, non ha quel senso
di abbandono, così terribile, che si sente
quando si penetra nella complicata civiltà in-
dustriale inglese o nord-americana. Kicco o
povero, ministro o pezzente, egli troverà
sempre nei vicini, nei capi, nei compagni della
officina, della fazenda^ amici affettuosi e com-
passionevoli.
La giovanetta italiana, di cui più sopra, mi
raccontava, che, giunta nel Brasile quattro
anni fa, ebbe la sventura di perder poco dopo
il fratello, sostegno della famiglia. Ohe fare ?
le rimanevano a carico il padre e la madre,
essa doveva pensare a loro. I vicini, cono-
sciuto il caso, la consigliarono a rivolgersi
al presidente dello Stato: essa così fece, e
pochi mesi dopo la giovinetta che non aveva
appoggi, non amici antichi, non parenti, aveva
trovato nella nuova terra modo di guadagnare
per sé e pei suoi.
Gino Macchioro, in un recente fascicolo della
Nuova Antologia, racconta di una famiglia in
mi i figli, restati privi del padre e della
madre, furono adottati dai vicini. Quanti fatti
116 GLI ABITANTI
\
simili ci furono raccontati in quelle brevi
soste del nostro viaggio, in cui gli Italiani ci
accerchiavano in massa, per affidare a noi i
loro dolori, le loro ansie, i loro desiderii, come
i bambini affidano i loro baci alle rondini
migranti per portarli in patria!
Un'altra caratteristica del brasiliano del
Nord almeno, legata anch'essa forse all'ere-
dità del nero, è la sua timidezza.
La moglie del ministro dell'Uruguay, una
coltissima signora che risiede in Kio da pa-
recchi anni e che come straniera è in grado
di atterrar meglio i tratti caratteristici del
popolo in mezzo a cui vive, ci faceva notare,
in uno dei primissimi giorni del nostro ar-
rivo al Brasile, che ella non aveva mai tro-
vata tanta semplicità, tanta cultura, tanta
timidezza, tanta cordialità e tanto romanti-
cismo, come nelle classi alte del Brasile, con
cui era a contatto da parecchi anni.
Abbiamo dovuto constatare in seguito che
il giudizio della signora era esattissimo.
Eade volte mi è occorso, come a Rio, di
veder uomini adulti, colti, intelligenti, che
parlavano bene parecchie lingue, die inse-
gnavano in scuole superiori, che avevano pub-
Timidezza e modestia 117
blicati fior di volumi, restar timidi, impacciati
davanti agli altri, eclissarsi quando sarebbe
stato il momento opportuno di mettersi in mo-
stra, nasconder quasi i loro meriti, la loro
scienza. La vedova di un diplomatico brasi-
liano, che aveva viaggiato col marito tutti gli
Stati delP America e buona parte di quelli d'Eu-
ropa, mi diceva che in nessuno Stato aveva
trovato dei diplomatici così timidi come quelli
del suo paese. E credo che questa timidezza
che fa credere al brasiliano di esser sempre
inferiore, unita ad una ingenuità straordinaria
che lo spinge a raccontar sempre tutto quanto
sta per fare, rende i Brasiliani in genere pes-
simi diplomatici, incapaci di celare i loro di-
segni, proclivi a credere quello che altri aff'er-
ma vero, il che poi si ripercote nella strana
riputazione di cui soffrono.
La signora, di cui sopra, soggiungeva che
suo marito, per quanto avesse viaggiato mezzo
mondo, si fosse trovato in congiunture strane
e bizzarre, in guerre, in rivoluzioni, in mezzo
agli Indi, ai Boliviani, ai Patagoni, non osava
mai esprimere la sua opinione, né dire quello
che aveva osservato se non vi era si)into
dalla necessità.
118 GLI ABITANTI
>
Letterati, scienziati, professori, giornalisti,
che avevano scritti molti volumi, non osa-
vano j)arlarci delle proprie opere, come non
avevano mai osato mandare le recensioni che
avevano fatto del Grandezza e decadenza di
Eoma di mio marito, mesi od anni avanti
della nostra venuta. Solo alla fine del no-
ir stro soggiorno, pochi giorni prima di partire,
potemmo avere contezza delle opere di Johan
Eibeiro e di José Verissimo, due dei più
autorevoli letterati, storici e giornalisti di Rio
de Janeiro, coi quali avevamo quasi convis-
suto durante due mesi.
Machado de Assis, il presidente dell'Ac-
cademia Brasileira, il più celebre poeta e
scrittore del Brasile, non osava entrare nel
salotto senza essersi informato se eravamo
stanchi; e per darci un album da firmare,
sentì la necessità di un preambolo lungo
mezz'ora.
Ogni giorno giungevano nelle nostre ca-
mere delle magnifiche orchidee, dei frutti
rari e squisiti, dei giocattoli perfino, senza
che se ne sapesse il donatore. La timidezza,
la modestia degli uomini colti ivi giunge al
punto che un grande giornale francese, avendo
Immaginazione 119
\
/
''^^«Hto
^^txt 1^^^ mezzo del console, un corrispon-
\,^^ . ^ ^^ mettesse al corrente della let-
^\^ ^^ brasiliana, l'incarico fu affidato a un
^^^ ^^tto di primo pelo, perchè letterati e
^^ ^^*ì l'estarono tutti ugualmente indif-
^ ^ ^l^la influenza che avrebbero potuto
stare con questo mezzo in Europa, sfl-
Mì ^ torto, di poter interessare il pub-
^viropeo alle loro produzioni.
i*oxvj ^9^-Aranha, il primo forse dei poeti e
^ì ^^ieri della giovane generazione, autore
j^ ^^^^ ^ C/w//?w»an che esercitò nel Brasile l'ìn-
' ^^"^i ^^Ua Capanna dello zio Tom negli Stati
^ *4? > ^^Otto la cui influenza furono modifl-
^> ^^e ^^^i ^ costumi), non rispose alle prof-
^^/ Oo.. ^ ir^darre il suo libro in Europa, per-
^^> Oj^/ (Ìj4^av^ «non riesco ad interessarmi
ju ^/ ^ioxi^ ^^ "^ pu.bblico che non è quello
^^^0 h) Qrpt^ j^i^^ importante del brasiliano
\ % 4^^^Jti é^^i^^^^^ ^'antaggio dell'innesto col
) \)^^^ 4 rz^^ ixjnmaginazione, feconda come
/ v^l ^ V. y-y-x^^-^^ ^^® ^^ colorare cogli iride-
^ tìV -^^ ^^"^ incantevole miraggio le
% ^-i^^^^^ <^ileno mi diceva che la
120 GLI ABITANTI
grande immaginazione del brasiliano è il suo
difetto capitale. « Quando noi facciamo una
legge — egli soggiungeva — quando noi sof-
fochiamo una rivoluzione, parteggiamo per
un alleato, lo facciamo dietro a piani indi-
scutibili, partendo dal nostro interesse reale,
o almeno creduto tale in quel dato momento.
Il brasiliano invece è assai differente ; voi
non potete mai prevedere quello che farà in
quella data circostanza ; egli non è legato da
necessità logiche, egli non vede i confini del
possibile, egli sogna, sogna sempre ».
Questa immaginazione, sparita quasi da noi
sotto l'influsso del hushiess inglese e nord-ame-
ricano e che il cileno, Pinglese classico del
Sud- America, trovava un difetto, è stata in-
terpretata dagli Europei molto falsamente.
Ad essa credo va attribuita la fama di Ro-
domonti che godono i Brasiliani in Europa.
Come potrebbe un esatto e compassato inglese
interpretare altrimenti un popolo che chiama
mille reis una moneta che vale poco più della
nostra modesta lira, e misura le bestie della
sua stalla dal numero dei loro piedi invece
che delle loro teste, che appella le sue navi
da guerra « terror do mund4) ^ o simili I
Enciclopedismo nella educazione \^^
Ebbene, niente di più falso. Non si tratta
di vanto voluto, ma di una visione grandiosa,
immaginosa di tutto quanto lo circonda.
Se la immaginazione ha giuocato alcuni
brutti scherzi al brasiliano, è stata però i>er
questo popolo di un immenso vantaggio, le-
gandolo facilmente alla corrente encicloi)e-
dista, classicista, romantica che ha predo-
minato in Europa nel secolo scorso, correnti
che hanno avuto pel Brasile, come già per
PEuropa, l'effetto di alzare il popolo ad una
altezza a cui non era giunto mai.
Noi non abbiamo più visto, dell'enciclope-
dismo, che gli ultimi bagliori. Mi ricordo di
aver sentito parlare di Voltaire, di Rousseau
dai vecchi zii che avevano preso parte alle rivo-
luzioni del '21, del '49, dai vecchi amici di casa
contemporanei ancora di Cavour, di Mazzini.
Ma furono gli ultimi sprazzi. Quando io ho
letto la Noiivelle Héloise, i tempi erano così cam-
biati che io non me ne sentii più commossa.
L'influsso dell'enciclopedismo, ahimè! passò
fra noi come una meteora. Il soffio di ideali-
smo, di patriottismo, di altruismo, di fratel-
lanza che esso aveva acceso nel cuore dei
nostri nonni, si spense con essi,
1^2 GLI ABITANTI
La li uova generazione crede fantasticherie
(la romanzo l 'muore verso la patria, l'am-
mirazione della natura, ogni sentimento vero
ed umano che non serva al conseguimento di
un bene ogoLstico, immediato. L'enciclope-
dismo, invece, ha trovato una nuova patria, in
cui si è radicata solidamente, in queste terre
meravigliose d'oltremare, in cui il ritorno
alla natura è confortato da una terra lussu-
reggiante e dall'immenso amore dei suoi abi-
tanti per esisa.
L'enciclopedismo in Brasile si respira dap-
pertutto: nei no]iii degli abitanti: Eloisa, Ca-
pitolìa, Eflgenia, Tullia, Amanda, Washington,
Franklin, Lafayetfce, Euclide, Temistocle, Te-
lemaco, Ulisse, che vi sono assai più comuni
che non da noi Teresa, Giulia, Giuseppe ; e
nei nomi dei luoghi: Grotta di Pciolo e Tir-
ginm, Spiaggia tki Saudadis (nostalgìa), di
Beira mur, dì Àguzzis^ di Icarahi (degli uccelli),
lino alla scienza, alla letteratura, alla poesia.
I i>rimi ministri di Don Fedro si chiama-
vano Aureliano, Onorio, Tito, Saturnino.
Joacliim Xabuco nella sua vita racconta
che, venuto a venti anni la prima volta in
Europa, destinò due degli undici mesi di cui
Enciclopedismo nella cultura 123
disponeva, alla natura, uno a Ginevra per
vedere e fantasticare davanti allo scenario
della Nouvelle Héldise^ per rivedere Fermy te-
stimonio degli ultimi anni di Voltaire, e Coih-
pet, per contemplare la residenza di Corinne,
di Madame de Stael, ed uno a Fontainebleau
a contemplare le foreste e la natura della
Francia.
I libri su cui gemette la generazione che
governa ora furono — (Nabuco, Minha Vida)
Os voliintarios da viorte^ ode alla Polonia di
Pedro Louis ; As palavras do un Creente de La-
mennais, Historia dos Crirondiiios di Lamartine,
O mwndo caminha, di Pelletan, Os vmrtires da
libertade di Bsquines, e i capolavori di Quinet,
Victor Hugo, Heine, Louis Blanc, Thiers,
Michelet.
Ghaixaan, il poema nazionale del Brasile,
è un figlio diretto della Nouvelle Héloise. Il
suo eroe, un giovane tedesco che fugge la
patria dopo la morte della fidanzata, è un
idealista puro che abborre le false conven-
zionalità, che va a tuffarsi nella solitudine
della foresta vergine per vivervi una vita
sana e morale. Egli vi dimora felice al-
cuni anni assistendo a tutte le fasi della
1:^4 GLI ABITANTI
natura, a tutte le vicende delle colonie pri-
mitive. Ma anche colà egli trova l'ingiustizia
che, sotto lo spettro della giustizia umana,
condanna per infanticidio una povera donna,
perchè non ha saputo difendere il figlio, natole
nel bosco, dagli artigli delle fiere. L'idealista
libera la vittima dell'ingiustizia sociale, e fugge
con lei lontano lontano, alla ricerca del Oha-
naan, della terra promessa della pace e del-
l'amore eterno.
Quest'influsso, che non si è limitato agli
enciclopedisti vissuti nel secolo XVIII, ma
vi ha aggiunto i loro discendenti diretti, i
filosofi positivisti del secolo XIX, ha una
sede ufficiale in Eio, il Tempio delV Umanesimo.
Nella Rio aristocratica, in una via deserta
e silente, si erge il Tempio dell'Umanesimo,
che copia nelle sue linee esterne il Pantheon
di Parigi, e in quelle interne il tempio fon-
dato da Oomte nella casa di Clotilde. Il tempio
è ornato all'interno da grandi stendardi verdi,
il colore di Comte, da busti dei grandi poeti
e filosofi dell'umanità: Omero, Socrate, Pla-
tone, ecc., ecc., e da motti di alta morale, come
Ordine e Progresso^ Vivere per gli altri, Amare
vai più che esseri amati, ecc., ecc. Al posto del-
Jl tempio positivista VJ')
l'altare un grande quadro raffigurante la Ma-
ternità nella effigie di Clotilde che tiene in
braccio un bambino, dipinto da un pittore
brasiliano, lo stesso che dipinse il grande
affresco che sta nel tempio di Comte a Parigi.
Due volte la settimana, gli addetti — sono
circa un 400 — si radunano nel tempio e di-
scutono di ogni questione della scienza come
della fede, dell'economia politica come della
famiglia. Il tempio ha i suoi sacerdoti, i suoi
riti, il suo calendario, le sue feste e, quel che
è più, una certa influenza sul mondo intel-
lettuale e politico, e sopratutto militare. Xon
a caso la Repubblica del Brasile porta per
motto le parole: Ordern y Progreso^ che sono
quelle del vessillo di Augusto Comte, poiché
Benjamin Constant, l'ideatore della Eepub-
blica, era comtista convinto, e comtisti fu-
rono i primi Governi rivoluzionarli, sicché lo
statuto della Confederazione Brasiliana fu
modellato sui dettami della scuola positivista.
Ma Kio de Janeiro ha un altro tempio, che,
pur non essendo fondato da un positivista
né officiato da sacerdoti, ha però esercitato
una influenza grande sulla coltura del Bra-
sile, la libreria Garnier.
1
126 GLI ABITANTI
Nel cuore della città, in piena Eua Ouvidor,
si apre questo temi^io che, similmente ai ri-
trovi dei rivoluzionarli enciclopedisti, è collo-
cato in un palazzotto medioevale che ricorda
lontanamente quello del Figaro di Parigi.
Come il tempio di Augusto Comte, questa li-
breria (anche essa una importazione francese,
perchè il suo fondatore Garnier è parente
dell'editore Garnier di Parigi) ha acquistata
una importanza a mille doppi maggiore che
non in patria. La libreria Garnier di Rio
non è infatti una semplice bottega di libri,
ma un diCb, un'accademia, una biblioteca
nazionale, una corte di mecenati. Ogni giorno,
dalle tre alle cinque, le persone più colte
della capitale vanno a dare una capatina
da Garnier. È là, nell'immenso salone cen-
trale, attorno ai grandi tavoli in cui stanno
accatastate tutte le novità più recenti lette-
rarie, scientifiche, artistiche di tutti i paesi
d'Europa, che si trovano assieme generali,
maestri, ammiragli, ministri, giornalisti, scien-
ziati ed artisti.
Ed è collo stesso ardore, collo stesso affanno
con cui i fanciulli cercano e frugano nelle
vecchie carte alla caccia di francobolli preziosi.
La libreria Gamier 127
che tutti quegli uomini, il fiore del Brasile,
fruga nei tavoli, nelle biblioteche che guerni-
scono le pareti, per trovare le novità più
interessanti, a qualunque genere esse appar-
tengano, mentre i panierini coi libri più an-
tichi, collocati ai piani superiori, salgono e
scendono ininterrottamente. Nessuna novità
passa così inosservata, nessuna opera degna
di essere studiata e discussa, muore nel campo
ristretto degli specialisti a cui è diretta.
Ora, questa influenza dell'enciclopedismo,
che le tendenze fantastico-mistiche dei Bra-
siliani hanno permesso durasse qui assai
più lungamente che altrove, ha reso un gran
servigio al morale degli abitanti salvaguar-
dandoli dal cinismo che va allagando tutto
il mondo moderno e preservando gli intel-
lettuali da quella unilateralità degli studii
che sterilizza la scienza e Parte nella vecchia
Europa. Ingegneri, medici, avvocati, ammi-
ragli e generali, tutti sono riallacciati qui
alla vita comune da comune idealismo intel-
lettuale, da una comune coltura generale,
che essi continuano ad estendere accanto
agli studii speciali professionali. Abbiamo
avuto occasione di conoscere intimamente
128 OLI ABITANTI
due ammiragli e un generale; essi non solo
conoscevano a fondo la storia dell'Europa,
ma la letteratura europea, la legislazione, |
un po' di medicina, di arte, di economia po-
litica ; il generale anzi fu il primo a divul-
gare le nuove dottrine dell'antropologia cri-
minale in Brasile ; uno degli ammiragli, Huet
de Bacelar, aveva fatto delle interessantissime i
osservazioni sul herirberi e su altre malattie
alle cui epidemie aveva assistito; lo stesso
mi parlava delle opere di Francesco Slacci
con una tale ammirazione e lucidezza come
non avevo mai sentito i)arlarne in Italia ;
l'altro, il barone de Jaceguay, che conosce per- |
fettamente l'italiano e che ha sposato una
gentile italiana, ha scritto preziosi documenti
della storia contemporanea del suo paese.
Un altro generale, che abbiamo conosciuto,
è ora prefetto della città, capo dei pompieri,
— che ha organizzato in modo stupendo —
ed architetto; a lui si devono, fra gli altri,
il palazzo Monroe e quello della Biblioteca,
che sono due veri gioielli, oltre alla casa dei
pompieri che è il suo palazzo prediletto. Bar-
bosa Kodriguez, il direttore del Giardino
Botanico, non solo è un naturalista eminente.
Cultura delta classe elevala lii9
ina uno storico valentissimo, uno dei più at-
tivi membri dell'Accademia di Studii Storici
di Eio. Egli ha scoperto la genesi degli Indi
d'America, dimostrando che derivano da popoli
mongoli, con una serie di prove mineralogi-
che, glottologiche e geologiche che farebbero
grande onore a uno storico di professione.
Nabuco cominciò la sua carriera come poeta
e drammaturgo. Non parlo poi dei roman-
zieri diplomatici, degli avvocati giornalisti,
che sono qui la regola, non l'eccezione.
Un'altra buona influenza dell' enciclope-
dismo, è stata la posizione che ha dato alla
donna.
Sempre partendo dall'errore che lo schiavo
fosse qualche cosa di mezzo fra il nostro servo
e il nostro cane, noi ci immaginiamo che
la brasiliana delle alte classi, essendo pa-
drona di molte schiave, doveva esser abituata
a restar tutto il giorno distesa nella sua ama-
ca, accarezzata dal fresco dei ventagli agi-
tati dalle schiave.
Queste fole, generalmente ripetute all'infi-
nito perchè piacciono al popolo, possono es-
3r state vere per qualche famiglia che cadde
er questo in rovina, ma non poterono mai
Ferrerò. America del Sud. 9
180 GLI ABITAKTl
generalizzarsi. Nella società a schiavi, ap-
punto per questo che la padrona ha molte
donne sotto di sé, essa deve forzatamente es-
ser attiva, perchè se non sa utilizzare, edu-
care, istruire le schiave, queste finiscono di
consumarle il patrimonio.
Nella Famiglia Medeiros di Julia Lopez de
Almeida, la Beecher Stowe del Brasile, il ro-
manzo antischiavista uscito prima della abo-
lizione della schiavitù, la padrona è occupata
tutto il giorno a sorvegliare le schiave. Nelle
fa::ende la moglie, le figlie del proprietario,
del fattore, sono insieme le padrone, le medi-
chesse, le avvocatesse del piccolo popolo che
esse presiedono e reggono.
La donna brasiliana è quindi molto attiva,
è fornita in genere di tutte quelle doti di
praticità, di buon senso, di pazienza che
mancano agli uomini e che l'hanno fatta in-
dispensabile a loro.
L'uomo scapolo, l'uomo che non ha ac-
canto a sé una donna, credo che in Brasile
non é e sopratutto non fosse concepibile una
volta, né nelle alte né nelle basse classi.
Una cosa sola mancava alla donna, una pc
sizione sociale. L'influenza europea era stafe
La situazione della donna 181
fino a pochi anni fa minima in Brasile. Ilo
detto che nei primordii l'emigrazione fu in
Brasile quasi esclusivamente maschile, tanto
esclusiva, che, malgrado le reticenze dell'eti-
chetta, il re di Portogallo fu ben presto
obbligato ad ammettere come validi i matri-
monii perfino di governatori e viceré con le
indiane ed alla fine colle negre.
Nella educazione della donna prevalsero
quindi le tradizioni negre od indiane ; ora que-
ste tradizioni non erano cattive. La negra ò
sensuale, ma è molto attiva, paziente, pulita,
ordinata; voi vedete spesso per la strada delle
nere cariche di gioielli, di nastri, di colori,
ma non vedete mai una nera discinta. La
donna indiana non è altrettanto attiva, ma
è piena di dignità, di fierezza, di passione.
In omaggio forse alle tradizioni negre ed
inde, la donna prese un posto molto umile
nel focolare domestico; suo dovere fu rite-
nuto l'allevare i figli, l'amar il marito, il re-
star impassibile di fronte ad ogni sentimento
di gelosia, di odio, di risentimento.
L'enciclopedismo, le idee filosofiche nuove
venute d'occidente l'hanno tolta <al gineceo
tu cui stava rinchiusa, alla passività a cui
132 OLI ABITANTI
si era volontariamente condannata. La donna
fu di un tratto elevata ad eguale dell'uomo,
messa a scuola con lui, trattata alla pari,
fatta segno al pifi tenero culto dall'elemento
mascolino della società in cui vive. Non si
tratta qui di femminismo — le donne che stu-
diano o che esercitano mestieri o professioni
maschili sono pochissime — ma di quell'am-
mirazione romantica che ha goduto da noi la
donna nel secolo scorso. Malgrado che da
venti anni soltanto (e non ancora in tutti
i piccoli paesi dell'interno) essa sieda alla
mensa accanto all'uomo, malgrado che da
venti anni soltanto essa frequenti le scuole
pubbliche, i)ure la donna, madre, moglie o
figlia, ò presente in tutte le opere dell'uomo
più assai che nei paesi così detti avanzati e
femministi. Non a caso Anita Garibaldi era
brasiliana, perchè essa rappresenta la donna
brasiliana, donna fino nelle più intime fibre
dell'animo, moglie devota fino alla morte,
madre tenera e amorosa. La moglie di Bar-
bosa Eodriguez, di cui parlai più sopra,
è in altro campo un'altra Anita Garibaldi.
Il marito non andò mai in battaglia, ma
condusse cionondimeno una vita assai avven-
Miglioramento 133
turosa attraverso alle foreste, ai fiumi sco-
nosciuti, sempre in cerca di animali, di piante,
di uomini, per trovar nuovi veri, per trovar
la dimostrazione delle sue teorie e far da inter-
mediario fra gli Indi, che egli ama e conosce
intimamente, e i governanti. E la moglie lo
seguì sempre, colla famiglia che andava
aumentando ogni anno (ha quattordici figli,
di cui due nati nella foresta), istruendo i figli,
allattandoli, educandoli, aiutando il marito
nelle sue ricerche, con lui disegnando, stu-
diando, classificando, tanto che nell'ultimo
Congresso dei naturalisti di Montevideo, essa
fu proclamata presidente onorario.
Così la moglie di Gra§a-Aranha, lo scrit-
tore gentile che ci fu guida preziosa attra-
verso il Brasile.
Quasi tutti i letterati e gli artisti che ab-
biamo conosciuto a Eio, hanno vicino a loro
una di queste donne, madri, figlie, spose, che
si occupano del loro caro, che lo sorreggono,
lo aiutano, lo animano nelle ricerche, e che
sono a lor volta amate, protette, adorate.
134 GLI ABITANTI
^
Pino ad ora non ho parlato che delle qua-
lità dei Brasiliani. Ohe cosa vi ha nel Bra-
sile di cattivo, di triste, da giustificare la
fama di cui soffre ?
Vi ha prima di tutto che la vita materiale
è differente dall'europea. Il Brasile nel Nord
e nel Centro non ha grano e non ha vite,
che crescono quasi esclusivamente negli Stati
del Sud, Eio Grande e Santa Oatharina; il
contadino nello Stato di San Paolo, di Eio, di
Minas, di Bahia, di Fernambuco deve nutrirsi
di banane, di manioca, di maiz, di fagiuoli,
di pesce e di riso a cui può unire qualche
f po' di carne e di latte, non eccessivamente
f a buon mercato. Si aggiunga che l'acqua vi è
if. abbondante, ma spesso inquinata, e prudenza
|[ vorrebbe di berla sempre bollita, come fanno
^ gli indigeni sotto forma di mate o di caffè.
Questo cibo, a cui si abituano abbastanza fa-
I cilmente alcuni, riesce insopportabile ad al-
^ tri, specie se abituati al pane ed alle paste,
|: come riesce insopportabile il niate. Da qui
I deperimento fisico, disgusto, ecc., ecc.
^■
Morbi esotici 135.
Di un effetto disastroso sono poi per l'emi-
grante le novità dei pericoli e delle malattie
a cui va incontro. Ohe ci siano dei centri mal-
sani nel Brasile, questo è indubitato; non è
vero però che molte parti del Brasile sieno
più malsane di altri paesi. Il coefficiente mor-
tuario di molte città è minore spesso di quello
di NaiK)li, di Trieste, di Roma, di Pietroburgo.
Confrontando la Statistick BevolMng von Aiììt
sterdam e la Demografia sanitaria di Rio Ja-
neiro si ha che la mortalità è:
Atene, 30,9.
Pietroburgo, 30,5.
Mosca, 29.
Trieste, 28.
Madrid, 28.
(Brasile) Porto Allegre, 24.
Breslau, 23.
Genova, 21,5.
Marsiglia, 21,4.
Milano, 21,1.
(Brasile) San Paolo, 20,9.
Boma, 20,8.
(Brasile) Rio de Janeiro,
20,7.
Torino, 20,7.
Vienna, 19.
Tokio, 18,3.
(Brasile) Bahia, 18,1.
Parigi, 17,6.
Londra, 16,6.
Ma se la mortalità non è molto superiore
all'europea o all'asiatica, le malattie e la morte
a cui si va incontro sono molto dissimili ; mor-
sicature dei serpenti, febbre gialla, mal di fe-
:ato, tenia, echinococco, trichina e Uscio, una
pecie della nostra scabbia, che attacca le un-
136 GLI ABITANTI
ghie dei piedi.... e ohe spaventa i coloni più
della lebbre gialla.
Molta noia dà poi al bianco nuovo venuto
il contatto col nero, più ostico, spesso, del mate
che dovrebbe ingoiare. Il bianco si sente dis-
onorato se deve lavorare con lui, e peggio se
sotto di lui o sotto il mulatto, che si dice in
Brasile, come in ogni altra regione del mondo,
sia la parte peggiore della società, e si capisce.
Finché un nero nasce di parenti neri, egli
non ha nulla da imprecare né contro la so-
cietà né contro la natura : egli ha una morale
tradizionale da seguire. Ma quando un ram-
pollo viene al mondo, nato da un nero e da
una bianca o viceversa, la sua condizione è
assai diif erente ; spesso egli si sente l'intelli-
genza, la forza di un bianco, ma ha la co-
scienza che il colore della sua pelle segnerà
tutta la vita un carattere indelebile di infe-
riorità nel suo corpo, da cui non riuscirà a
liberarsi mai; necessariamente quindi, per
quanto ufficialmente sia trattato alla pari
degli altri, egli deve imprecare al parente
nero che questo marchio gli ha impresso, alla
società che bolla questo colore come carat
tere di inferiorità ; necessariamente diventerà
Indolenza e passività del brasiliano 137
sospettoso, puntiglioso, ambizioso e spesso
falso, bugiardo, pur dì arrivare in alto, pur
di schiacciare il bianco, che gli x>arrà sempre
il suo ingiusto rivale.... Ma la condizione di
mulatto è transitoria. Per questa stessa ra-
gione che il colore lo umilia, un mulatto non
sposerà mai una nera ; egli sposa sempre una
mulatta od una bianca, e i figli, dopo poche
generazioni, più o meno saranno bianchi o
almeno considerati come tali, e chi risiede
qualche tempo in Brasile, vede infatti come
il paese va imMancandosi a vista d'occhio.
Il vero difetto però dei Brasiliani che fa
paura agli Europei.... e non a torto, è la loro
indolenza, che può essere volta a volta in-
terpretata come codardìa, come menzogna,
come avarizia, come inesattezza commerciale,
e peggio ancora.
La indolenza del brasiliano è una indo-
lenza tutta sua, fatta non tanto di inattività
quanto di passività, di mancanza di inizia-
tiva; e deve venirgli dall'incrocio col negro.
Come il negro, il brasiliano infatti non ri-
fugge dal lavoro, dal continuare cioè il lavoro
che ha sottomano; ma rifugge dal fare qualche
cosa che esca dalle sue mansioni solite, dal
188 GLI ABITANTI
l^reiidere una iniziativa, dal compire un atto
elio non sia la ripetizione di quelli giornalieri.
Il Verissimo diceva che la democrazia asso-
luta che regna in Brasile, la mancanza di
limiti che separino una classe dall'altra, la
traflruratezza di ogni regola di etichetta, è
frutto molto più della mancanza di forza in-
dividuale che non di idee sociali, e che è
questa mancanza di forza che impedisce in
Brasile il fonnarsi di società scelte, perchè
nessuno ha la forza di rifiutare colui che
uon dovrebbe farne parte. Sono tentata a cre-
dere che il Verissimo non abbia torto; la
mollezza e la poca puntualità del brasiliano
non hanno riscontro con quella di nessun
palese che io conosca.
Oi fu uno sciopero nel 1890 degli studenti
del Politecnico di San Paolo perchè i i3rofes-
sorì non facevano neanche metà delle lezioni
regolamentari; i professori non le facevano
peritile il direttore non aveva la forza, l'ini-
ziativa di imporsi a loro.
Non è diffìcile trovare direttori, ammini-
stratori, ministri capaci, intelligenti, onesti
— la maggior parte dei ministri muoiono po-
vuiij dice il Verissimo — ma è molto diffìcile
Inesattezza 139
trovare direttori o ministri capaci dì impe-
dire che altri taccia il male.
Virtù o vizio ereditato dal negro che sì ò
aflezionato al padrone che Pha tolto alle sue
terre, il brasiliano non sa odiare, non sa es-
sere duro neanche per difendere il bene e
l'onesto.
L'esattezza, la regolarità, la puntualità,
l'attività, ecco doti di cui il brasiliano pare
non abbia neppure la concezione. I commer-
cianti sono spesso spaventati quando devono
trattar affari coi Brasiliani perchè questi
filosoficamente qualche volta non li pagano
alla data prefissa, senza neanche scomodarsi
a fare loro una scusa. I commercianti europei
credono che si tratti di malafede, di negato
credito ; assai spesso non si tratta che di in-
dolenza.
Provate a scrivere una lettera non di affari
a un brasiliano.... e voi vedrete che la ri-
sposta vi ritarda altrettanto quanto la let-
tera commerciale, e come questa il più delle
volte non riceve risposta.
Questo non vuol dire ancora che il brasi-
liano rifiuti il pagamento, vuol dir sempli-
cemente che non può jiagarvi in quel mo-
140 GLI ABITANTI
mento; come se non risponde alla vostra
lettera, vuol dire che non ha niente da dirvi
in proposito, o che fa caldo e non ha voglia
di rispondervi.
Ilo sentito molte volte dei coloni raccon-
tare che dopo aver aspettato dei mesi ed
anche degli anni il pagamento delle loro fa-
tiche, e quando proprio credevano di essere
truft'ati e di aver perso i frutti del loro la-
voro, venivano invece reintegrati completa-
mente.
I contadini, che sono in Brasile da molto
tempo, lo sanno e aspettano pazientemente;
i nuovi arrivati invece spesso si adontano e
se ne vengono via sdegnosamente, proprio
nel momento buono, poco prima che il sole
ricompaia, perdendo ogni cosa. Noi abbiamo
visto parecchie fazende magnificamente am-
ministrate; ma non sono aliena dal efedere
che ve ne siano altre in cui il colono sia pa-
gato molto irregolarmente.
Quando il brasiliano ha denari, li spende
con una generosità favolosa. Ci raccontava
un amico socialista arrivato nel Brasile nel '98,
prima della attuale orisi del caffè, che sovente
nei primi tempi gli avvenne di entrare in
Crini economiche 141
un caffè, in un teatro e di trovare tutto pa-
gato da un generoso anonimo. Naturalmente
chi spende così facilmente, cade facilmente,
anche se molto ricco, in crisi finanzi<arie. Du-
rante queste, non paga. Il non pagare non è
considerato colla rigidezza nostra, tanto più
che spesso la partita è rimessa, non perduta.
Ma il torto maggiore del Brasile è quello di
non essere ricco in questo momento. Tre crisi
successive, quella della Bepubblica, quella
della abolizione degli schiavi, e quella del de-
prezzamento del caffè, l'hanno spossato; un
protezionismo assurdo e rovinoso, che non
accenna a diminuire, ha assorbito gran parte
dei suoi capitali disponibili, proprio ora,
quando le miniere d'oro e d'argento e di
diamante dell'Australia, del Sud-iVfrìca e del
Nord- America hanno diminuito il valore dei
suoi metalli.
Il protettorato vigoroso che l'Inghilterra
esercita sull'India e sull'Egitto, suoi concor-
renti naturali, ha distratto il commercio mon-
diale dai prodotti che da secoli costituivano
[
I
142 GW ABITANtl
I Ui mii ricH^liezza: il caffè, gli aromi, i legni
IH'es^iosi, ecc.
Il linisìhì presentemente non è ricco. Ecco
forse il liifetto che più lo infama alla faccia
delfavido mondo europeo. Come al tempo
4 lei la conquista, il mondo vecchio non chiama
al nuovo clie oro, oro, oro. Di idealismi, di
Ijellezzo naturali, egli non sa che farsene.
Dal giorno in cui il Brasile non è più la gal-
lina dalhì ova d'oro, ha cessato per esso di
esistere.
Hi ò delitto il vigore con cui esso cercava
di compili'! la fusione delle sue razze, si
KOJio comun^ntate aspramente le sue rivolu-
zioni, si sono perfino calunniati il suo cielo, il
Hììo mare, il suo sole. Succede ai popoli
quello die succede agli individui ; guai a chi
impoverisce. Ma come gli individui, a mag-
gior rati:ione i popoli, se non sono eterna-
inenfce riodii, ancor meno sono eternamente
poveri, sopiatutto in America. Una terra irri-
g^ta, per ogni dove da acque feconde, om-
breggi ut ìi da foreste fantastiche, riscaldata
da un Hole meraviglioso, dotata di un suolo
iiliertoso die racchiude nel suo seno tutti i
metalU dellu natura, non può restar povera
JiL-
Inizio di soluzione 143
per molto tempo. Un popolo che ha avuto
il vigore di cacciare in tre anni la fel)l)re
gialla da Rio, di abolire con un tratto di
penna la schiavitù, non può non riuscire a
superare presto questa crisi momentanea,
tanto più quando ha sottomano tutti gli ele-
menti della prosperità. E il Brasile troverà
certo, nella crisi attuale, la spinta vigorosa a
crearsi nuove fonti di ricchezza. Per aver degli
uomini, la pianta perenne di ogni sfrutta-
mento stabile della terra, ciascuno Stato ha
sacrificato molti dei suoi possedimenti. Il Go-
verno nazionale ha fatto leggi che, garan-
tendo ai coloni, su ipoteche territoriali dei
padroni, i salarli, ne impedissero ogni so-
pruso. Privati hanno aperto per ogni dove
campi sperimentali per ripigliar la coltura
del cotone, che si era andata riducendo, e
quella del grano, della patata, dei pascoli
artificiali.
Da ogni parte si abbattono bosclìi, si aprono
strade, si dissodano terre, si piantano nuove
colonie, si fondano nuove città. L(^ immense
foreste, silenziose depositarie della misteriosa
bellezza del Brasile, stanno per scomparire.
Nei piani bruciati, la ferrovia vivace cor-
144 OLI ABITANTI
rerà presto parallela alle acciue stupefatte
di vedersi brillare sopra il sole non più ve-
lato dalle liane e dalle orchidee. Quando il
Brjisì1t5 sarà di nuovo ricco e fecondo, tutti
lo troveranno buono, prudente, geniale.
Mi>eriamo che come la bellezza della na-
tura Ila aiutato questo popolo a conservar
integro il suo idealismo, così l'idealismo per-
metta a questo popolo di conservar integra
la sua natura e puri i suoi abitanti, attra-
verso alle intìnìte brutali necessità della rie-
cbeisza.
1
PABTE SEOOKDA.
Nella Bepnbblica Orientale
del Rio Uruguay.
FsRBEBO. Ameriea del Sud. IC
Nella Repubblica Orientale.
Una serie di striscie sabbiose, pianamente
declinanti verso il mare, separa dallo Stato
di Rio Grande do Sul la Repubblica Orierì-
tale del Rio UrugiMy, accoccolata all'estrema
punta del Brasile. Di incerti confini, separata
dalla Argentina dal Rio Uruguay e dal Rio
della Piata, che più che rii sembrano im-
mensi bracci di mare, schiacciata dai due co-
lossi del Sud- America, la piccola Repubblica
quasi scompare dalla carta geografica; e non
di rado gli Europei la confondono con uno
Stato del Brasile od una Provincia dell'Ar-
gentina. Essa è invece una delle Repubbliche
più importanti del Sud- America, cuscinetto
indispensabile fra il Brasile e l'Argentina,
inati nemici fin dalle origini, dei quali, con-
\ agendo in sé le simpatie, attutisce gli odii.
ja sua fondazione è abbastanza recente ;
148 nell'Uruguay
1
fino al 1^75 verso il Sud dell'America, Pul-
timo pimtu popolato dai Portoghesi era la
Laguna, od il primo popolato dagli Spagnuoli
tira HuenoK Aires ; una larga zona stava inoc-
t^iipiita. Risolvette Don Fedro II di Porto-
gallo di crearvi un posto militare, sentinella
avanzata c^lie doveva difendere la frontiera
portoghese verso le colonie spagnuole ; e fondò
nel 1080j nulla riva sinistra del Piata, la
colonia del Sacramento, sotto la direzione
di Emanuel Lobo.
Incuneata così fra l'Argentina ed il Bra-
mlej fra il rio ed il mare, solcata da grandi
flurai, la piccola colonia del Sacramento trasse
dalla sua i>osizione geografica, orografica e
.^tor̀iii incremento grandissimo, esercitando
il commercio e sopratutto il contrabbando,
tu i ito pili lucroso e prezioso in un tempo in
cui la Spagna negava alle Colonie ogni di-
ritto di c^spiirtazione, i>ertìno del suo bestiame
11 delle HI te pelli.
Ma nel 1700 la Spagna, messa in sospetto
dal raptdt* liorire di questa colonia, fondò
poco loiitiitio da essa, alla foce del Rio de" .
Piata, hi t-it tà di Monte video.
Montevitìeo, destinata a un grande avven i
Antagonismi fra i fondatori 149
poiché fornita dell'unico porto sull'Atlantico
che avessero le colonie spagnuole del Sud-
America, situata a poche ore di distanza dalla
già fiorente Buenos Aires, ebbe dapprima
scarsa fortuna. Ma nel 1778, caduto il mono-
polio commerciale di Cadice, dichiarata porto
franco, il che attirò a lei gran parte del com-
mercio del Sud-America, divenne di un salto
la città più importante del vicereame del Eio
della Piata. Si calcolava che avesse un com-
mercio di 35 milioni di franchi, molto più
grande cioè di Buenos Aires.
Pomo di discordia fra Portoghesi e Spa-
gnuoli, Montevideo fu egualmente disputata
dai Brasiliani e dagli Argentini, che si acca-
nirono in guerre lunghe e pertinaci per il
suo possesso, e finirono nel 1828 col dichiararla
di comune accordo Eepubblica libera ed indi-
pendente. Libera terra di dominio incerto,
in essa avevano trovato asilo e gli Indi fug-
giti alla schiavitù, ed i Portoghesi, ed i Bra-
siliani e gli Spagnuoli ribelli ai Gesuiti, ed i
Mori e gli Ebrei che erano restati ancora nella
Spagna, e sopratutto i Baschi che da soli die-
dro metà degli Spagnuoli della Repubblica.
Rifugio a tutti i ribelli e agli emigrati
150 NELL'URUGUAY
I
II
L
che durante le guerre di ricostituzione delle
Repubbliche Sud- Americane fuggivano dalle
loro tenti dominate da fazioni tiranniche, fu
assalita nel '4i! dal Eosas, terrore degli Ar-
gcntim; Monto video sostenne contro lui una
lotta elle durò dieci anni, dal '42 al '51, in
cui gli Orientali diedero prova di un co-
raggio e di un ardire magnifico. La vittoria
de lini ti va da essi riportata a monte Gaserò,
liberò gti Orientali e gli Argentini non solo
dal tiranno Rosas, ma dalla reazione spa-
gnnola che in luì aveva concentrato i suoi
ideali e i ftuoi sforzi, e diede alla piccola Re-
pubblica Orientale il prestigio necessario ad
asf^ienrare per sempre la sua indii)endenza.
È in parte a questa guerra e più alla me-
scolanza dì tante genti ribelli, che questo
paese deve il suo aspetto originale e le idee
e le leggi avanzatissime di cui gode.
Ma tlue secali di lotte e dieci anni di
guerra contiauaj l'esercizio del contrabbando
e l'immigrazione di ribelli di ogni regione,
avevano abituati ì cittadini al maneggio delle
armi e all'ebbrezza della mischia.
Pare che da queste ebbrezze ci si disabit
QotA Uiiliciluiente come dalle tranquille gio
I bianchi e i rossi 161
della pace; e le lotte continuarono nella Repub-
blica, atroci come prima, anche dopo l'otte-
nuta indipendenza. Le gare fra Brasiliani e
Argentini risorsero nelle fazioni dei Manchi
e dei rossi (conservatori i bianchi, liberali i
rossi), che continuarono a battersi atroce-
mente fra loro e non solo a parole. Il sangue
corre a rivi ogni quattro anni, all'epoca delle
elezioni, nella Repubblica Orientale, e l'eco di
queste zuflfe riempie l'Europa dell'idea che
le Repubbliche Americane si esauriscano in
continue lotte intestine.
L'esempio però della Repubblica Orientale
starebbe a dimostrare che la guerra e le lotte
intestine invece che fiaccare ed indebolire
un paese, lo rendono sempre ino. forte, più
ardente, più amante della patria, più ordi-
nato nelle sue industrie, nei suoi commerci
e sopratutto nelle finanze.
Più piccola non dico del Brasile e dell'Ar-
gentina, ma di uno qualunque dei loro venti
Stati, la Repubblica Orientale seppe difen-
dere, malgrado le sue discordie, la sua libertà
politica dall'uno e dall'altra. Nemica di ogni
giogo politico o morale, essa seppe lottare
contro il clero per la sua libertà di pensiero,
162 nell'Uruguay
tanto clie nel censimento del 1891, 6500 suoi
abitanti si dit^Iiiararono senza religione e
^irrfK) liberi jiensatori, e nel 1907 furono ban-
dite le monache dagli ospizii pubblici. Essa
Hepi>e organizzare le scuole elementari e su-
periori in 1110(1 <> ila portare l'istruzione dei
suoi abitauti iid una altezza e ad una diffu-
sione forse maggiore che nelle altre Eepub-
liliclie (un decimo degli abitanti della Eepub-
blica Orientale frequenta le scuole ).
Malgrado la valanga dei nuovi immigranti,
seppe mantener integre le antiche virtù degli
Mdahfos spagnuoli, guardandosi da quella imi-
tazione gretta doli- Europa che guasta tante
delle nuove città di oltre oceano, e difendendo
le suo finanze, i)er cui mentre in tutta l'Ame-
rica Latina la moneta cartacea è molto al di-
sotto della parij nella Eepubblica Orientale il
^j^^^y (Bendo) ùi aggio, e vale 5,26 invece dì 5,14.
Infine, fenomeno di importanza maggiore,
eswa riuscì a incanalare i suoi abitanti nel
fecondo lavoro della terra; sicché il suo è
ormai lo Stato del Sud-America che ha la
maggior proporzione di terre coltivate.
1 Pur questi (lati statìstici vedi VAmérique Meridionale
Bf^la granrla opera gri^giaiìca del Reclus.
I
r'
Montevideo 1 b'ò
MONTEVIDEO.
Non abbiamo percorso che attraverso ad
un pampero impetuoso la campagna urugua-
yana. L'ululo terribile delle piante piegate
fino a terra, i cicloni di polvere che ci avvol-
gevano, le bianche case, basse, accoccolate die-
tro a fitte siepi di cdctus.... ecco l'impressione
che ce ne è rimasta, oltre a quella di un pic-
colo, placido fiume, sulle rive del quale un
minuscolo paesetto era nato, il paese degli
sposi. Ma Montevideo, la capitale della Ee-
pubblica Orientale, un'oasi protetta dal monte,
bagnata dal mare e baciata dal sole, azzurra
come la nostra Napoli e feconda come un
giardino incantato, concentra in sé e nei
suoi dintorni tutto quanto ha di caratteri-
stico lo Stato dell'Uruguay. Grandiosi giar-
dini, orti, frutteti, si estendono agli estremi
della città, perchè il commercio di ortaggi,
fiori ed agrumi è uno dei piìi fiorenti di Mon-
tevideo, che, incuneata così fra il Brasile e
l'Argentina, vende i suoi frutti ed i suoi er-
baggi all'uno e all'altro,
1 64 nell'Uruguay
Fu piccolo monte, il Cerro, che tanto più
s[)icca come Punica elevazione di terreno che
si incontra — abbandonatele tumultuose isole
del mare di Guanabara — sulle coste del-
l'Atlantico, ne segna il limite verso l'interno.
Fra il mare e il monte, la città si disegna
sinuosa, colle sue casette circondate da giar-
dini, le sue spiaggie (pocitos) animate, i lunghi
pontili gettati sul mare a banchina, ed il pit-
toresco porto in cui, carri tirati da numerosi
cavalli rompono le onde, per scaricare barche,
barconi e bastimenti che non possono avan-
zare nel porto, non ancora abbastanza difeso
dalle sabbie che il Eio della Piata vi riversa
ogni giorno. Lungo il mare e sopra una leg-
giera elevazione delle sue terre sta il cimi-
tero, il più bel punto della città e forse il
più bel cimitero del mondo. Nessuna chiesa,
nessuna alta croce, segna colla mole impo-
nente la solennità del luogo; nessuna barriera i
separa nella libera terra uruguayana, i morti
dai vivi. Degli alti pioppi a destra ed a sini- ,
stra, in tutte le direzioni, scuotono le chiome
pel cielo rosseggiante; pare di essere in un
bosco sacro. Migliaia di uccelli gorgheggiano
sui rami, ed i loro trilli sonori si fondono
\
Un bosco sacro 155
col murmure cadenzato delle onde che si in-
frangono sulla riva del placido mare. Le pie-
tre sepolcrali stese orizzontali all'ombra delie
grandi piante, spariscono sotto Federa, gli ar-
busti, i fiori che appena lasciano intravvedere
il nome del « i>ossessore » — così sta scritto —
della tomba. Nel grande viale centrale, V Olo-
causto di Bistolfi, una grande pietra piana onde
sorgono figure meste di donne rassegnate che,
reggendo i fiori, danno in olocausto alla morte
la loro purezza, ed in faccia una montagnola
in pietra su cui si arramjncano quattro bam-
bini rappresentanti i figli morti ad una in-
felice madre, che, desolata, incise nella roccia
un pio epitaffio ; otto o dieci altri monumenti
segnano soli l'orgoglio dei vivi, il cui affetto
verso i passati si manifesta nelle altre colla
copia e la freschezza dei fiori deposti sulle
loro eteme dimore.
Come nel cimitero così nella città, il ca-
rattere dominante di Montevideo è l'armonia,
la proporzione, la cura, la stabilità. Nessuno
sfarzo, nessuna ostentazione, nessuno squili-
brio. Oi si sente in una città che è stata
fatta poco alla volta e che, malgrado le lotte
continue, non è e non aspira ad essere in
ìììH nbll'ukugday
continuo rifacimento, in continua, affannosa
trasformazione. Le tre o quattro vie princi-
pali, dove sorgono gli alti palazzi in stile
francese costrutti dalle banche e dal Governo,
non contrastano in alcun modo colle vecchie
strade, ampie anche esse, anche esse pulite
ed ordinate, in cui le antiche bianche palaz-
zine spariscono sotto l'edera fronzuta.
Eari sono i trams elettrici, scarse le vet-
ture da piazza, più scarsi ancora gli automo-
bili e le vetture padronali. Ma nei dintorni
della città, ami)ie strade fiancheggiate da al-
beri conducono ai villaggi, ai boschi, ai giar-
dini che sono la delizia degli Uruguayani nella
stagione estiva.
Non si vede da alcuna parte l'impronta del
miliardario, ma da nessuna parte la miseria
nera ; dappertutto una ricchezza media, sana,
equamente distribuita. Se infatti nella Ee-
pubblica Orientale pochissimi sono i miliar-
darii, più della metà dei suoi abitanti sono
proprietarii di terreni in città o in campagna.
1
Cordialità degli abitanti 167
Gli abitanti,
Oi dicono che fino a cinquant'auni fa la
vita sociale di Montevideo fosse assolutamente
la stessa di quella dì Buenos Aires, la so-
rella gemella posta al di là del Eio della Piata,
per tanti anni rimasta sotto allo stesso do-
minio. Ora non più; l'immigrazione, che f^
qui minore assai che nella capitale argen-
tina, ha preservato Montevideo da quell'aria
di modernismo, di provvisorio che hanno fre-
quentemente le città sud-americane.
Nella vita privata, nessuno sfarzo, nessuna
ostentazione, molta cordialità, molta espan-
sione. «Quando voi entrate in una famiglia
di Uruguayani — mi diceva la signora Figari,
la moglie del Presidente del Comitato, acco-
gliendoci in casa sua — voi non entrate nel
salotto, voi siete ammessi subito neirinterno
della casa, nella famiglia. »
Le famiglie sono molto numerose ed unite;
alla domenica si radunano tutte assieme, figli
e nepoti, nella quinta^ piccola villa attorno
alle città che quasi tutte le famiglie bene-
stanti possiedono.
J ^^^ NELL'URUGUAY
Siamo stati in una di queste quinte, quella
del signor Castro, una dei più venerati cittadini
di Montevideo, un patriarca, arzillo ancora
malgrado gli ottantaquattro anni. Egli aveva
studiato a Genova, aveva vissuto lungamente
in Italia, aveva militato con Mazzini e Ga-
ribaldi, aveva partecipato al grande movi-
mento dell'Indipendenza d'Italia, di cui co-
nosceva tutti i fatti minuti, i fatti che noi
sentivamo raccontare ancora nella nostra in-
fanzia, e che ora i vecchi si vergognano quasi
di esporre alla nuova generazione, cinica e in-
capace non solo di fare, ma di comprendere gli
slanci generosi ; eravamo Italiani, e questo ba-
stava a farlo fremere di gioia. Da più di mezzo
secolo non era tornato in Italia, ma ne aveva
seguito tutti i progressi coU'affetto di un pa-
dre che ha dato pel figlio un po' del suo sangue ;
egli conosceva benissimo Grandezza e decadenza,
di Homa^ e ci accolse come vecchi amici, co-
me fratelli. Attorniato da un nugolo di figli e
nipoti, egli ci fece girare la quinta, dove ogni
albero quasi era stato piantato da lui in so-
lenni circostanze, la nascita di un figlio o di
un nipote, una vittoria del suo paese, del suo
partito; gli avvenimenti dovevano essere stati
/
Nella "" quinta „ di un amico di Mazzini 159
tanti in quella lunga vita piena di lotte e di
passioni, che gli alberi erano diventati fitti
come una siepe.
Di solito, ci dissero, nella quinta v'è alla
domenica ballo, ricevimento, musica, giuoclii,
teatro, ma in questa ogni spasso era stato
bandito per la morte di una nipote che non
datava ancora da tre mesi. I lutti sono molto
rigorosi a Montevideo; tutta la numerosa pa-
rentela, cugini, nonni, zii, nepoti dell'estinta,
erano vestiti a bruno, e vetture rigorosamente
«timse aspettavano al cancello le signore.
^ ^ Malgrado le luttuose circostanze, questa
riunione patriarcale, però, ci diede modo di
penetrare un monte di cose della vita Uru-
guay ana, di penetrare intanto il rispetto,
d^^^^^ ^^^ ^^^^ ^ membri della famiglia fra
I loro, la cura con cui è organizzata, stu-
> ^ta l'istruzione e l'educazione dei fieli.
, rrr' ^^^^^^lo^^e primaria di tutti e secondaria
/ coJt ^^S^^^^ SI fa a Montevideo nelle classi
\ fjj,'. ^^^ ^empJ*^ ^ domicilio, per mezzo d'istitu-
! ^^ . '^^glesif francesi, o tedesche, dalle quali
ester ^^^^s^^^^ i^iiparano le lingue, e di maestri
) ^ k ^^ eh'^ ii^s^S'nano la pittura, la musica
[ ^j.e i^**^^le di studio. Quando le fa-
160 nkll'ubuouay
1
miglie sono assai nnmerose e non straordi-
nariamente ricche, i primi figli che ricevono
(^nesta istruzione accurata fungono poi da
maestri ai fratelli minori, saldando così i
vincoli famigliari e perfezionando la propria
cultura.
T maschi frequentano per l'istruzione su-
periore quasi tutti le scuole pubbliche, che
sono, per legge recente, miste come le nord-
americane. Vi sono anche delle scuole private,
appartenenti al clero per lo più, ma esse
servono piuttosto per le classi basse, come
internati economici ; ed hanno ricevuto ulti-
mamente un colpo terribile da una legge che
stabilisce il doppio tempo di esame per gli
allievi che escono dalle scuole private.
Questa educazione ed istruzione molto ac-
curata sia dell'uomo che della donna, insieme
allo sforzo di mescolare quanto più. sia pos-
sibile lino dall'infanzia i due sessi, raggiunge
due scopi : primo quello di mantenere la donna
al livello intellettuale dell'uomo e di farla
quindi compagna non solo materiale ma mo-
rale di esso; secondo di suscitare nell'uomo
l'aspirazione per qualche cosa altro che non
sia il guadagnar la vita ed il farsi una i)osi-
Idealismo degli Uruguayani 161
zione. L'iiruguayano non è di natura sogna-
tore, poeta, mistico ; egli è pratico, impetuoso,
appassionato, ha bisogno della lotta. Se non
I
I fosse istruito, questo impeto, questa passione
convergerebbe tutta nelle lotte di partito;
incanalata nell'istruzione, oltre che a dare una
direzione, a far fruttare direi le lotte di par-
tito, serve ad appassionare coloro che hanno
sortito dalla natura generosità d'animo per
qualche cosa che sia al difuori dei proprii
interessi personali.
i Pedro Figari, il genero del signor Castro
di cui ho parlato, per tre anni aveva abban-
j donato studii, clienti, si era coperto di debiti
per difendere la causa di un infelice non ricco,
non potente, condannato a torto per omicidio
e contro cui si era accanita la cittadinanza,
eolla ferocia che da noi recentemente il pub-
blico mostrò, coi Murri o con Dreyfus.
Altri si occupano di arte, altri di musica,
altri di letteratura. Carlo Eeyles, uno dei più
' ricchi estancieri del paese, si è dato alla lette-
ratura, mostrando in essa una forza e una
firenialità che mai si aspetterebbe un europeo
li trovare in un estanciero americano. Colla
lua Eaza de Gain egli ha dotato la Repubblica
Ferbero. America del Sud. 11
169 KELL*OB!JGUAY
dì un capolavoro, che resterà documento
delPepoca presente, non uruguayana soltanto,
ahimè! per quanto il suo libro, che è una
satira terribile del mondo moderno, sia im-
pregnato di color locale.
Molti si dedicano alle pubbliche faccende.
In nessun paese ho visto deputati, assessori,
sindaci, direttori, occuparsi con tanto fana-
tismo del loro ufficio. Tipico a questo pro-
posito è il caso di Rossell, ricco milionario
che impiantò a sue spese un giardino zoologico
a Montevideo, dedicandone i proventi alla
lotta contro la tubercolosi, facendo così un dop-
pio regalo alla città, quello di fornirle un
giardino zoologico delizia di tutti i bambini,
e quello di garentire un assegno a una delle
istituzioni più benefiche del mondo.
Colla stessa passione con cui il Eossell
spia i bambini davanti alle gabbie per stu-
diare ogni giorno gli abbellimenti che pos-
sono render il suo giardino a loro più inte-
ressante, e alla lotta contro la tubercolosi più
proficuo, così il gruppo di dottori e di liberi
cittadini che si è dedicato ad altre faccende,
le accudisce con calore. Ho saputo ora d
un italiano tornato recentemente da Monti
I
Scuole pubbliche 163
video che pochi mesi or sono un ignoto volle
dare alla Lega contro la tubercolosi 100 000
pezzi (540 000 franchi) senza dire il suo nome.
I cittadini non si contentano di dare alla res-
publiea il proprio denaro, il proprio tempo, essi
le danno anche il proprio amore, il proprio
entusiasmo. Così è che tutte le istituzioni
ottengono nella Eepubblica Orientale il pro-
prio scopo col minimo dispendio possibile e
col massimo vantaggio delle comunità, a co-
minciare dalle scuole elementari in cui le mae-
stre, chiuse nelle troppo strette ed anguste
aule, riescono ad impartire una istruzione
solida ed efficace: fino alle scuole normali,
in cui una intelligentissima direttrice è riu-
scita ad abituare le alunne non solo ad im-
parare, ma a riflettere, a ragionare, a discor-
rere, ad insegnare, e che, prima, credo, nelle
scuole superiori femminili ha aggiunto la
maternologia nel programma dei suoi corsi:
fino all'Università, in cui il presidente della
Eepubblica, professore di fisica, non dimen-
tica di fare ogni giorno la sua lezione.
Dappertutto, nulla di straordinario, nes-
uno strumento trasecolante, nessuno edificio
aeraviglioso, ma un insieme solido, organico
164 nell'Uruguay
che serve allo scopo cui è destinato. Così è
deirosi>edale, dei ricoveri, delle prigioni ; così
perlino del gabinetto astronomico metereolo-
gico, che ha saputo piegarsi a diventar geolo-
gico, agronomico, per l'utile dei suoi cittadini.
Oltre alle grandi specole, agli strumenti per
misurare le stelle ed i terremoti, è in azione
qui un vero gabinetto igrometrico per esa-
minare l'assorbimento dell'acqua piovana, a
seconda dei differenti terreni, e determinare
il calore o l'umidità ch'essi possono traspi-
rare, e il momento ed il modo di bagnare i
terreni o di gettar le sementi.
Istituzioni della Eepudblioa Orientale*
Ma le tre glorie di Monte video sono la Lega
contro la tubercolosi, l' Istituto maternale e
la Casa degli orfani.
In tutti i paesi del mondo ormai si sono
stabiliti dispensarli contro la tubercolosi, ma
in nessuno, credo, la lotta è stata così bene
organizzata come lo è per opera del dottor
Salteran a Montevideo. Qui non solo i qu&
tro dispensarli della città forniscono a tut
Lega contro la tubercolosi 165
gli ammalati riconosciuti tubercolotici le me-
dicine, ma, quel che è più importante, loro
danno i mezzi materiali per curarsi. Un ispet-
tore che va a verificare a domicilio se il malato
abbia mezzi di vita, rilascia in caso negativo al
Comitato Centrale il nome e l' indirizzo del-
l'infermo. Da questo momento il malato en-
tra sotto la protezione diretta della Lega che
nulla risparmia per guarirlo. La Lega si in-
carica di fornirgli a domicilio, notisi, ogni
giorno, una cassetta contenente 750 grammi
di carne, un litro di latte e un chilogrammo
di pane. Se il malato vive in ambiente ri-
stretto e non può migliorare, si incarica di
pagargli una buona camera, gli dà bagni, doc-
cie, cura marina ; un Comitato apposito di si-
gnore gli fornisce vestiti caldi e biancheria
sufficiente ; più di 2500 capi di biancheria fu-
rono confezionati o donati così dalle signore
montevideine negli ultimi sei mesi di eser-
cizio. Il dottor Salteran, fondatore della Lega,
non solo pensa a guarire i malati, ma anche
a proteggere i sani. I malati sono forniti di
istruzioni e mezzi per salvare i familiari dal
ontagio ; inoltre si sta ora costruendo dalla
ega uno stabiliménto apposito per lavare e
166 NELL'URUGUAY
disinfettare gli indumenti degli ammalati e
salvaguardarne la famiglia.
Ai bambini poveri delle famiglie predi-
sposte alla tubercolosi, viene fornito un litro
di latte a testa al giorno, trattamento medico
durante l'anno e bagni di mare nell'estate.
Una rivista esce ogni mese coi progressi del-
l'istituzione, coi denari donati e coi biso^i
della società per eccitare i soccorsi. La so-
cietà viene sovvenzionata dallo Stato con
2000 pezzi al mese, pari a 10 000 franchi, e
spende 15 000 franchi, circa 1,50 al giorno
per malato. Quando si pensi che Montevideo
è una città di non molto più che 100 000 abi-
tanti, si capisce quanto largamente spenda
questa lega. Ma se si riflette alla quantità
di tubercolosi che empiono i nostri ospe-
dali, rinviati da uno all'altro come lebbrosi,
e alla sequela di dolori, di denaro che questa
dolorosa migrazione costa ai disgraziati stessi
ed alla società, si viene certo alla conclusione
che il mantenerli così generosamente a do-
micilio è una rilevante economia nazionale
oltre che un'opera sociale.
J
Orfanotrofii 167
Un'altra istituzione che esiste in tutte le
parti del mondo, ma che mai ho visto cosi
perfetta come a Monte video, è l'Orfanotroflo,
è l'asilo degli orfani riorganizzato da poco dal
dottor Scoseria, professore di chimica e Pre-
sidente della Commissione nazionale di Be-
neficenza Pubblica. Sulla spiaggia del mare,
vicino ad un ampio giardino in una palaz-
zina bianca e pulita, sta l'antica ruota in
cui vien messa la prole che i parenti non
possono o non vogliono mantenere. Ma a
proteggere ed a vivificare il sentimento ma-
terno, la moderna amministrazione ha tro-
vato molte attrattive per le madri che con-
segnano il bambino direttamente all'apposito
impiegato, invece che attraverso alla segreta
ruota medioevale.
La donna che ha consegnato il figlio, può
seguirlo da lontano tutta la vita. Senza chie-
dere alcuna spiegazione, le vien dato l'in-
dirizzo della nutrice cui verrà affidato il bam-
ino, perchè essa possa vigilarlo. Se dopo
ualche tempo la madre vuole riprenderlo, le
168 nell'ubuguay
\ ieii pagato un anna ancora di baliatico, pur
tenendosi l'Istituto obbligato a ritirarlo quan-
dochessia se la madre non lo desidera, pur
tacendo ogni facilitazione alle famiglie che vo-
gliono adottare uno di questi trovatelli. Ma
non è soltanto questo che è nuovo nell'Orfa-
notrofio, quanto il lusso con cui sono tenuti
ì bambini. Nella casa dei poveri orfanelli,
niente della fosca tetraggine degli asili gra-
tuiti; i bambini abbandonati nella terra uru-
gua\ ana non sono tolti alla gioia e alla vita ;
il grazioso costumino che li ricuopre, rosa per
le bambine, azzurro con manichini e collet-
tìno e cravatta bianca per i maschietti, non
toglie a loro la grazia infantile, essi possono
correre, giuocare nei vasti cortili; essi pos-
sono ridere, essi possono sperare, essi pos-
sono amare. Divisi a squadre di trenta, essi
hanno maestre esterne laiche che li istruì-
sconoj li portano a passeggiare, a bagnarsi,
che raccontano loro le storie, le fiabe, che
insegnano loro che cosa è una madre, che
cosa è Patt'etto.
^
Asili maternali 169
Un'altra istituzione molto bella, non so se
fondata, ma certo molto appoggiata dal dot-
tor Scoseria, è quella delle Scuole maternali,
che corrispondono alle nostre crèches, gouttes
de lait^ asili dei lattanti. Bisogna riconoscere
che Montevideo ha una speciale predilezione
pei bambini, perchè le Scuole maternali sono
le sole a cui si sia dedicato un edificio pro-
prio ed acconcio. Il sistema è assai semplice.
Un grande salone centrale, una specie di cor-
tile coperto in cui i bambini possono correre e
saltare, funge da sala di ginnastica e da ricrea-
zione; attorno alla sala sono disposte tante
minuscole aule in cui a dieci, a venti sono
riuniti i bambini sotto la sorveglianza di una
maestra. Ciascuna aula ha l'armadio dei giuo-
chi froebeliani, le margheritine da infilare,
i cartoni per fare scatole e cornici, ed una
raccolta di oleografie che i bambini hanno
incorniciato e le maestre illustrato. Ma l'ori-
ginalità della scuola non sta tanto nelle aule
o nei giuochi, come nel modo con cui sono
tenuti i bambini. Non solo sì dà loro un asilo,
170 NKLL'UBUGUAT
ma anche un vestito allegro con cui coprirsi,
ma anche una passeggiata giornaliera, ma
anche la cura di giovani ragazzette che li
divertano e giuochino con loro, ma anche la
colazione ed il pranzo, e le feste, il ballo ed
i dolci, e le medicine. V'hanno sempre nell'ar-
madio misterioso della direttrice, caramelle,
cioccolattini e dolci per i più buoni. In ogni
quartiere della città la Commissione di Bene-
ficenza Pubblica mantiene uno di questi asili
Kìmternali a cui tutte le madri povere possono
portare i loro bambini.
Un medico visita ogni settimana i piccoli
allievi, la Commissione Nazionale di Benefi-
cenza Pubblica * somministra a loro tutti i
medicamenti ; ciascuno dei bambini lia nel
suo cassetto, insieme ai vestiti, ai libri, ai
giuochi, anche Polio di fegato di merluzzo od
il ferro o altre droghe di cui ha bisogno.
^ Il dottor Scoseria è in trattative col Potere Esecutivo
onde proporre al Potere Legislativo di abolire le denomina-
zioni di carità e beneficenza pei servizii che disimpegna la
Commissione da lui presieduta : vuole si riconosca il dovere
dello Stato di assistere tutti gli abitanti in bisogno di aiuto
e che si denomini "Assistenza Pubblica,, l'azione che compio
la suddetta Commissione,
1
r
Benessere generale 171
Certo è che la Commissione Nazionale di
Beneficenza Pubblica spende molto in queste
istituzioni, ma, cosa rara, spende bene; essa
previene le malattie ed il delitto, rispar-
miando in ospedali, in carceri, ed alla società
in dolori ed in misfatti, quanto spende in ri-
medii opportuni. E la prova più patente che
spende bene è, che malgrado tante guerre e
rivoluzioni che hanno costato fiumi di sangue
e di denaro, il paese non ha quasi debiti.
Con felice simbiosi, la Eepubblica, mercè la
cooperazione entusiasta dei suoi abitanti, rie-
sce a raggiungere il maggior benessere gene-
rale colla massima economia sociale.
PARTE TERZA.
Nella Repubblica Argentina.
r'
Nella Repubblica Argentina.
Fino al 1801) il territorio su cui ora sven-
tola la bandiera della Eepubblica Argentina
apparteneva alla Spagna.
La Spagna però non si era mai curata molto
di questo territorio. Essa aveva nel Nuovo
Mondo tante e così ricche regioni da sfrut-
tare, che poco si occupava di questo ultimo
tratto dell'America, il quale non presentava
grande abbondanza di oro e di argento (le sole
ricchezze che gli Spagnuoli tenessero in pregio)
ed era abitato da tribù indie guerriere e
numerose, le quali si opponevano energica-
mente al dominio dei bianchi. Il loro governo
si limitò in fondo a una serie di proibizioni ;
proibizione di commerciare, proibizione di col-
tivare la vite, proibizione di immigrare o di
emigrare, proibizione persino di introdurre
178 NELLA RBPITBBLICA ABOKNTINA
coli, era giunta fino al Bio della Piata, e per
cinquant'auni ancora doveva riscaldarne il
cuore e la mente.
Per quanto caduta ed in guerra, la Spagna
tentò di lottare contro questa improvvisa de-
liberazione di Buenos Aires che minacciava
di privarla di un tratto d'una cosi imi)or-
tante colonia; e concentrò le sue forze in
Montevideo. Ma, come era facile immagi-
nare, i rivoluzionarli avevano mandato emis-
sarii in tutte le colonie del Perù, del Cile,
del Paraguay, che fecero eco alla rivolta
delle Provincie del vicereame del Bio della
Piata. La Spagna sì battè valorosamente, ma
come poteva essa, disfatta in patria, soste-
nere dà lontano il suo prestigio e vincere
una rivoluzione così estesa! La rivoluzione
trionfò rapidamente senza grande spargimento
di sangue. Ma se riesci facile alle colonie
spagnuole dell'America Meridionale lo scac-
ciar il dominatore, più difficile fu il costi-
tuirsi in Stati indipendenti. Le Bepubbliche
r del Perù, dell'Argentina, del Paraguay eran
^' regioni allora egualmente soggette alla Spa-
gna senza divisioni proprie, come le provine
del vicereame del Bio della Piata. Esse avre
La Repubblica 179
bero dovuto riunirsi tutte assieme in una
grande confederazione, come avevano fatto
gli Stati Uniti del Nord- America , e se la
guerra contro il dominatore fosse stata cosi
accanita come quella nord-americana, forse
l'avrebbero fatto. Ma la lotta fu troppo breve
per cementare i momentanei interessi co-
muni ; il desiderio della supremazia di ognuno
prevalse.
Queste diverse ex colonie partirono in lotte
atroci le une contro le altre, a cui si aggiun-
sero le gare fra città e città, fra capitali e Pro-
vincie, che devastarono il Sud-America fino
alla metà del secolo scorso. Le città, le Pro-
vincie dell'Argentina caddero in mano a ti-
ranni locali, legati col tiranno Bosas, il più
potente e terribile di tutti, che incarnò per
venti anni la contro-rivoluzione, e non fini-
rono di assettarsi che dopo il 1854, dopo cioè
la caduta del Bosas e la definitiva indipen-
denza di Montevideo. Costituitasi un poco la
nuova Bepubblica, essa si diede rapidamente
a modernizzarsi; Mitre, Sarmiento, Bivadavia,
Alberdi, gli eroi della rivoluzione, capirono
che l'avvenire della loro patria stava nel mi-
glioramento della sua cultura intellettuale,
180 NELLA REPUBBLICA ARGENTINA
che la Spagna aveva con cura soppressa. Sar-
miento istituì in ogni città, in ogni frazione
di città, biblioteche, società di cultura e scuole
elementari gratuite a spese dello Stato, e,
ciò che fu più importante, egli chiamò alla
direzione delle scuole superiori normali, il
vivaio perenne da cui escono le zelanti mae-
stre odierne, delle intelligenti direttrici nord-
americane che diedero una base libera e laica
ai nuovi stabilimenti di istruzione. Mitre tra-
dusse Dante, tradusse e fece tradurre i capo-
lavori letterarii e poetici inglesi, francesi ed
italiani, diffuse a migliaia in ogni centro ri-
viste e giornali, fondò la Nación, l'organo
più intellettuale dell'America Meridionale, e
chiamò a collaborare nel suo giornale le per-
sone più eminenti dell'Europa.
r
I.
Buenos Aires.
Dalla caduta degli Spagnuoli comincia una
nuova era per la Eepubblica Argentina,
nuova per le forme di governo, per le in-
dustrie, pei commerci, per la vita sociale.
Se c'è al mondo quindi un paese in cui
uomini, tradizioni sieno non solo nuove, ma
recentissime, questo è la Eepubblica Ar-
gentina.
Buenos Aires, la capitale dello Stato, per-
sonifica assai bene la modernità recente, la
giovinezza rigogliosa e spensierata della nuova
Argentina. Niente corrisponde meno di Bue-
OS Aires all'idea che noi ci facciamo di
ma città atìiericana, e niente invece la per-
onìfica meglio. Mente risponde di meno,
in RtJBK08 AIHBS
1
perchè noi eu tran do in un nuovo mondo,
ingenuamente ei immaginiamo di dover tro-
vare qualche cosa che segnali il fatto della
dìstanita^ magari i comlì degli Indi o le ca-
panne dei neri, mentre invece si è traspor-
tati in una città completamente moderna
ed europea. Niente invece personifica meglio
le città sud-americane, perchè, come Buenos
Aires, quasi tutte sono l'espressione della
modernità e dell' euroiieismo piii recente e
ben poche hanno qualche cosa dell'esotico e
dello strano che noi ci aspettiamo dopo venti
giorni di viaggio.
Grandi strade dirittCj allineate per chilo-
metri e chilometri, divise a quadre (isolati di
eguale lunghezza e larghezza) come una scac-
chiera : Umm elettrici che corrono veloci in
tutte le direzioni, carrozze, automobili, velo-
cìpedi, carretti, fanali elettrici che mandano
la sera tìotti di luce sui passanti, grandi edi-
li eli, teatri, scuole, ospedali, giardinetti con
aiuole inglesi, piazze ornate di fontane e di
monumenti, grandi affissi di Bitter-OampaTÌ,
di olio di fegato di merluzzo, réclames di
circhi, di cinematografi, ili romanzi di appei
dice come a Torino, a Genova, a Milano, bo
1
Nel cuore della città 183
teghe dalle vetrine magnìfiche come a Londra
ed a Parigi; ecco Buenos Aires.
Altro che corali di Indi o villaggi di negri I
nessuna traccia voi trovate non dico di cento,
ma di venti anni addietro. Ogni farmacia ha
i raggi Boentgen, ogni scuola l'apparato di
proiezioni, ogni caffè il fonografo, la pianola
e magari il cinematografo. Nelle case, nelle
piazze, nelle chiese voi trovate sempre Pul-
tima novità, niente altro che l'ultima novità.
Neanche nei ìxmlevards di Parigi voi vedete
esposte nelle vetrine tante novità quante
in Corrieìvtes, in Florida, in Suipac1ì4i, in
Artes^ le vie principali del centro di Buenos
Aires; fiori e frutti freschi di tutte le sta-
gioni, pesche estive, ciliegie primaverili, grap-
poli dorati di uva autunnale, aranci inver-
nali. Macchine di tutti i generi per spazzo-
lare, per lucidare, per cucire, per attaccare
i bottoni, per togliere la polvere; gioielli
fantastici, cappelli, vestiti, come ne trovi ap-
pena a Parigi. (I grandi sarti parigini prepa-
rano per l'estate dell'Argentina i modelli che
si porteranno l'inverno e viceversa). Perfino
il gas è già invecchiato per la giovane me-
tropoli americana j non ci sono più che lam-
tSl BUENOS AIRES
pade elcttriplit^, cucine elettriche, stufo elet-
triche, veutilatori elettrici. La febbre del
nuovo assume qui delle forme addìrittitra
fanta8tiche; le case si affittano a mese, si
eambia dì casa e di mobili come da noi si
eamlda di donna di servizio; gli alberghi,
le pensioni nuove sono piene di famiglie di
oittadìni ì quali giudicano troppo sedentaria
e monotona la vita casalinga. Ad ogni an-
golo di strada voi vedete un negozio di re-
mate»^ di incanti, dove si vende tutto, mo-
bìli, vestiti, gioielli; a pagarla dieci volte il
suo prezzOj voi non trovereste più. nelle case
signorili di Duenos Aires una lampada a
petrolio od una stufa a carbone. T modelli
che hanno più di qualche anno di vita spa-
riscono negli strati inferiori.
Centinaia di commercianti hanno fatto for-
tune colosFsiali, impegnandosi semplicemente
a vendere per conto di ricche famiglie i
gioielli, i mobili che esse desideravano eam-
biare ad ogni stagione. La passione del nuovo
si innesta, si intreccia alla passione del cam- *
Mamento che ha per l'Argentino una inconi-
mensnrabiìe attrattiva.
l fitti sono carissimi a Buenos Aires a
La febbre della novità 186
punto perchè nessuno vuole fabbricare in un
paese in cui non è sicuro di stare, appunto
perchè nessuno vuole legarsi, vuole fissarsi;
la fissità di luogo, di condizione, di esistenza
pare una anomalia per questo giovane popolo
e per la sua capitale.
Dappertutto voi percepite l'ansietà, la feb-
bre di fare, di disfare, di rifare, di tentare,
di provare.
Voi sentite che Buenos Aires non vuole
fermarsi a ciò che è, che il presente non è
il suo aspetto definitivo, che tutto è ancora
instabile e mutevole. Questa sensazione vi
penetra vagamente percorrendo le antiche
strade di Florida, di Corrkntes, di Artes^ in
cui si stanno abbattendo case ed innalzandone
altre, facendo, rifacendo lastricati, canali,
pozzi, fogne, ecc. : vi si aftaccia titubante nel
delizioso parco di Palermo (un gioiello la-
sciato dal tiranno Rosas), in cui voi restate
sorpresi di ritrovare le ultime novità del
Bois de Boulogne di Parigi, vi colijisce in-
delebilmente visitando i quartieri popolari
della città che sono la quintessenza di quanto
la febbre della fretta, del provvisorio, dell'in-
stabile, possano generare,
Ti
186 BUENOS AIRES
Non qui i grandi quartieri popolari che si
innalzano in Europa nelle nuove metropoli
industriali, non i vecchi palazzi medioevali
ridotti ad abitazioni dei poveri, come sì ve-
dono nelle vecchie città italiane, ma minu-
scoli ripari dove appena tre o quattro persone
possono stare distese, costrutti con latte di
petrolio grossolanamente cucite^ con casse
di legno sovrapposte, con terra battuta, con
tela, con paglia, ed in mezzo a cui pompeg-
giano come maestosi palazzi, dei vecchi va-
goni, dei vecchi carrozzoni di trmm che ser-
vono pei re dei sobborghi, vespai fittissimi
di insetti umani sparsi tutti come un branco
di pecore disordinatamente fra il fango e la
mota.
(Juando si esce in ferrovia da Bueuos AireÉ!i
per andare a Rosario, alla Piata, per chilo-
metri e chilometri voi camminate in mezzo
a questo strano accampamentOi E non sono
dieci, non sono cento le persone che vìvono
così in queste miserabili dimore, sono centi*
naia di migliaia.
Ma come mai, voi direte, gli operai che in
pjitropa gridano e protestano se non hanno
delle case-modello, si accontentano qui di
1
r
La ""Chacarìta^ 187
queste tende sconnesse? Come mai de^li
uomini che guadagnano molto, si acconten-
tano di vivere in questi strani ripari che ap-
pena difendono dalle intemperie, in cui non
è x)Ossibile di tenere, di avviare una famiglia,
dove una massaia non può esercitare neanche
il più. modesto suo scettro? Oli è che essi
abitano nel paese del provvisorio, che essi
respirano questa sensazione nell'aria ed am-
mantano i poveri abituri degli smaglianti co-
lori del benessere avvenire; essi vivranno
magari dieci anni dentro a quelle capanne
improvvisate, pagando somme che avrebbero
bastato a costruire una splendida palazzina,
ma sempre sperando, aspettando, immagi-
nandosi di cambiare da un momento all'altro.
Il cambiar paese, il cambiar mestiere, il cam-
biar fortuna è diventato a Buenos Aires una
tale abitudine, che nessuno concepisce come
quello che è possa restare.
L'unico quartiere restato antico, l'unico
avanzo della dominazione spagnuola che si
\xsk ancora a Buenos Aires, è la Chacarita^ il
188 BUENOS AIRES
regno dei morti. Immenso e sterminato come
il regno dei vivi a cui è annesso, esso sì
stende bianco, allegro, civettuolo, inondato
dal sole in fondo alla infinita via Eivadavia,
presso Flores, il sobborgo di Buenos Aires
ohe approvvigiona di fiori e di ortaggi Taf-
frettata metropoli. Eccoci finalmente nella
città antica, calma, serena, indolente, come
la dovevano sognare i buoni Andalusi che vi
dormono quasi da un secolo.
Non lugubri lapidi nere, non angioli ingi-
nocchiati, non Pietà o Dolori dalle ali grigie ;
è una vera città che si apre davanti a voi,
divisa da grandi strade, lungo le quali sono
allineate centinaia di minuscole, linde casette.
Ve ne sono di tutte le forme, bianche quasi
tutte, ad un sol piano, separate le uno dalle
altre da una striscia di giardino. Le porte
sono chiuse a chiavistello, ma attraverso alle
finestrelle adorne di tendine bianche, iuamì-
date, guarnite di merletti, di trine antiche
assai belle, si può spiare all'interno l'ingenua
religione. Parte modesta dei primi coloni.
Le casette sono piamente tenute come case
abitate ; vi sono dei tavolini preziosi ove
stanno esposti artistici monili e chiome do-
I
i
r
Pii ì-icwdi 189
rate, e ritratti, e quadretti, e fiori, ed in-
ginocchiatoi , ed altarini , e sedie di altri
tempi.
Sulle mura esterne, lunghe ed ingenue de-
scrizioni ricordano le virtù dei morti e l'amore
dei vivi che all'estinto eressero questa di-
mora eterna.
Quanti vivi ricordi della immensa metro-
poli si possono riandare in quei palimsesti !
Storie di guerre, storie di pace, soffio gene-
roso di romanticismo altruistico, gretto pre-
dominio del più forte, tutto è fissato indele-
bilmente nelle dimore dei morti.
- Una, per esempio, ci rammenta un fatto av-
venuto una ottantina di anni fa, quando in
tutto il mondo spirava ancora la brezza ror
mantica che fa lungamente pensare se noi
abbiamo progredito o regredito da allora.
Una giovane, ricca e bella signora, faceva
la traversata da Buenos Aires a Monte video
con una bambina di pochi anni. Una tremenda
tempesta la colse durante la traversata. Il
battello stava per affondare. Alcuni viaggia-
tori si impossessarono di una piccola barca
e si gettarono con essa in mare per scam-
pare dai flutti. Dal battello che lentamente
190 BUENOS AIRES
affondava, la madre disperatamente sporgeva
ai fortunati la bambina perchè la salvassero :
il perìcolo fa gli uomini crudeli, e nessuno
rispondeva al pietoso appello. Ma un giovane
di Monte video, rifugiato jiella barca, protende
le braccia, raccoglie da quelle della madre la
bauibina, hi pone al suo posto e si lascia ca-
dere nelle onde. La bambina fu salva, e fu
essa elle innalzò più tardi all'ignoto salvatore
e alla povera madre nel cimitero un monu-
mento che ne ricorda il fatto pietoso.
il romanticisiiio però non fu che un soffio ;
le altre iscrizioni narrano di fatti meno poetici,
per quanto egualmente pii. Le casette più an-
tiche portano epigrafi scritte in spagnuolo e
parlano di glorie militari; vi hanno anche
rari commercianti , professionisti quasi tutti
i ligi Bai. Nelle strade più recenti cominciano i
nomi italiani ; piccole casette modeste in prin-
cipio, altej pompose man mano che ci avvi-
ciniamo al secolo XIX.
JVXa non È la Cfmcarita il solo quartiere eso-
tico della città, ve ne è ancora un altro, la
1
La ^Quema de la hasurar,
191
Quema de la ìxisura, il luogo di incenerimento
dei detriti, che è pure assai pittoresco.
Come europea vissuta nel vecchio mondo,
dove tutto è goduto, tutto è curato, dove i
detriti sono veramente detriti inservibili, io
mi immaginavo la Quema de la hasura come
qualche cosa di nero, di orrendo, di sudicio,
qualche cosa come il Purgatorio dantesco.
Come esprimere la mia meraviglia nel tw-
varmi invece in mezzo ad una immensa pia-
nura tutta bianca su cui centinaia di colli-
nette diritte come i solchi di un camiH),
ondeggiano in tutte le direzioni, candide e
luccicanti al sole come un paesaggio invernalo
coperto di neve ? Pure così è la Qiienia de Ut
basura. A Flores, nei sobborghi, essa è gih
stata sostituita da un ordigno inglese eìw
tutto brucia e digerisce nel silenzio cupo dt-^l
crematoio moderno. Ma a Buenos Aires casa
è ancora all'antica, un immenso piano cioè
solcato da una lunga serie di colline di de*
triti brucianti eternamente all'aria libera. Un
mare di cenere ricopre egualmente l' immenso
piano e le collinette sovrastanti, mentre i raggi
del solevi fanno rilucere e brillare i mille fran-
tumi di latta di vetro mescolati alla hasura^
192 BUEirO» AIRRS
Al basso delle collinette, ceii tiri aia di iudì-
vidui, donue, uomini e bmnlùni, iiTiiiatì di un
lungo uncino, cercami i detriti vendibili in
mezzo alla cenere fuiiiantej al disotto del
fuoco eterno, e ne formano tanti niuccbL
È incredibile quante cose godibili ci sono an-
cora sotto quelle ceneri luccicanti: panni, ve-
stiti, scarpe, cappelli, bottiglie, scatole di pch
trolio, terraglie di cucina, ossa, vetri, stracci^
avanzi di legna, perii no di mobili.
Verso V una P immenso piazzale sembra una
di quelle aie di campagna in cui gli alti co-
voni di grano sono stati prei)arati aspettando
la macchina. Montagne dì pane giallastro, di
ossa rosicchiate, di latte luccicanti, di acarpe
ammuffite, di panni sdniseitij si vanno alzando
da ogni lato.
All' una precisa comincia la i>rocessione dei
compratori. Accanto alla Qmnm de la htsura
si è venuta formando una vera piccola città
industriale, che cerca di usufruire delle cose
che vi si rinvengono e di rimetterle in cir-
colazione. Lavanderie di ogni genere, fonderie
di metalli, magazzini di rottami si innalzano
presso alla Qitema alla quale vengono ogni
giorno i direttori a ritbrnirsi di materia prijntij
La città del piacere 193
insieme a qualche contadino, a qualche ope-
raio in cerca delle preziose latte di petrolio,
che sono, nella Eepubblica Argentina, la pa-
nacea universale ; volta a volta secchi, sedili,
casse, vasi da fiori, cesti, armadii e materiale
murario.
Ma pochi ancora potranno godere dello
strano spettacolo e, quel che è peggio, pochi
usufruire del prezioso materiale che ogni
giorno la ricca metropoli getta nelle sue
strade e che i grigi cercatori le ritornano
riattato. La Dea dell' igiene ha posto oramai
i suoi occhi sulla antica Qiienui.
2feanche il Dio del fuoco può placare la
terribile Dea moderna. Un sistema inglese
dagli alti camini, inodori, dovrà presto sosti-
tuire l'antica Quevia tradizionale in una silente
officina più conforme all'epoca moderna.
L'Argentino non ama le cose antiche, non
ama le tradizioni, ha orrore di vivere la vita
d'altri tempi. Egli adora Buenos Aires ap-
into per questo, che essa è una città asso-
ltamente moderna, è una città dove non ci
Ferrerò. America del Sud. 13
104 BCJKtfOS AIRES
Houo doveri tradizionali, neanche artistici,
dove ciascimo è libero di sé e delle proprie
azioni, dove ciascuno vive e lascia vivere il
vicino senza domandargli la fede di nascita,
di religione o di provenienza, perchè è la
città più allegra delle Repubbliche sud-ame-
ricane.
Buenos Aires possiede delle scuole elemen-
tari che sono veramente magnifiche, degli
OÉ^pedali nei quali la maggior modernità, ele-
ganza e ricchezza sono unite assieme, una
Università che è la più grande dell'Argen-
tina, un giardino zoologico che è uno dei
più comijleti che io abbia visitato, una Peni'
teìwmrm unica al mondo e un Open Door me-
raviglioso. Queste istituzioni sono molto im-
portanti, esse meritano un capitolo a parte,
ma sono nazionali, Buenos Aires resterebbe
la gran cuheza dell'Argentina, anche senza di
esse- Invano il Governo ha tentato di sfol-
lare la capital e j fondando a cento chilometri
di distanza un'altra città, la Piata fornita di
tutti i migliori istituti scientifici ed ospita-
lità! i, trasportandovi la sede del Governo della
l>rovincia. Gli stessi burocratici, gli stes
X>iofessori deportati forzatamente nella citi
r'
Il diriito al jìiacere
195
della istruzione severa, non vi risiedono, essi
o tengono due case, una a La Piata, una a
Buenos Aires, o vengono al mattino a Bue-
nos Aires per non ritornare alla Piata che
alla notte, quando sono terminati i teatri;
ciò è fatale.
L'Argentina è ricca; nella pam^pa sconfi-
nata il grano, il trifoglio, la vite, crescono
rigogliosi senza trovare l'ostacolo nemmeno
di un ciottolo, i boschi riboccano di legni
preziosi ; due immensi fiumi, il Paranà e PUru
guay, si prestano docilmente al trasporto delle
ricchezze dall'interno fino al mare; quasi tutti
coloro che sono venuti dieci anni fa in Ar-
gentina disperati, hanno trovato modo di
diventare ricchi. E tutta questa gente vuol
goàere, vuol godere colla intensità, colla
fretta di uno che ha molto sofferto, che teme
di non avere che pochissimi mesi per usu-
fruire della gioia che gli dà il minuto pre-
sente.
Le istituzioni, quindi, di cui il Porteno (na-
tivo) è più fiero, quelle che egli vi fa ve-
dere con maggior compiacenza e di cui i
ovinciali sentono maggiormente la man-
nza, sono i luoghi di divertimento. E i
196 BUENOS AIBfiS
Buenos- A irensi in fondo hanno ragione. Non
ci si rovescia su Buenos Aires dalle provincia,
non ci si ferina venendo dall' Europa con tanta
compiacenza i)erchè la città è fornita di scuole,
di ospedali e di università, ma perchè ci si
può godere la vita. Notate che il problema
non era cosi facile da risolvere. L'Argentina
e paese cosmopolita nel più vasto senso della
parola. I forestieri che dimorano a Buenos
Aires costituiscono una classe infinitamente
Ttiat^giore (cinque volte secondo i calcoli del
Iteci US nel IS08) a quella dei nativi; superiore
ancora e la proporzione delle persone che
hanno mutato classe sociale, rispetto a quelle
che da una o i)iù generazioni l'hanno conser-
vata. ( >ra non è possibile offrire a tutta que-
sta gente \ enuta dalle piìi differenti parti e
classi del mondo, dopo dure lotte per l'esi-
stenza, non fusa da legami di parentela, di
amicizia, di comuni ideali, che vive accanto
senza conoscersi, dei ritrovi mondani, delle
feste, dei Imlli che nel nuovo come nel vec-
chio mondo sono riservati esclusivamente ai
discendenti delle antiche famiglie domiciliate
^«^■lla stessa città da secoli.
-^^'^ria di novità, l'abitudine della variazior
1
r
Teatro dell'Opera 197
del resto, che caratterizza la febbrile vita di
Buenos Aires, fa sentire anche ai ricchi ed
ai nobili il bisogno di qualche cosa di diffe-
rente, di più variabile, di più emozionante
di quegli antichi passatempi che sono il ballo
e la conversazione. Il teatro: ecco lo spasso
ideale per gli uni e per gli altri, il ritrovo
senza impegni in cui nobili e plebei, forestieri
e non, possono vedersi, giudicarsi, stringere
relazione ; lo spettacolo sempre variato e va-
riabile atto a divertire ricchi e poveri e di-
strarli dalle preoccupazioni costanti della gior-
nata. I migliori attori del mondo, italiani,
francesi, inglesi e spagnuolì, si riversano nella
buona stagione su Buenos Aires, e tutte le
compagnie fanno fortuna, e tutti i teatri sono
sempre riboccanti di spettatori.
Ma fra tutti questi teatri ve ne ha uno
classico che concentra in sé tutte le qualità
di cui ho parlato e che è quindi il preferito
dai Portenos, quello dell'Opera, a cui ogni sera
accedono tutte le famiglie ricche ed eleganti
della capitale \ Se un europeo vuole avere
^ Qaest*anno si inaugura il Colón^ più vasto e più ricco
icora, ideato e costrutto dall'architetto torinese Vittorio
!eano.
r '•
11*8 BaENOS AIBES
uii^iilaa dei teatri di Buenos Aires, bisogna
che vad«a alFOpera in una serata di gala. La
cosa non è facile. Quando c'è spettacolo, la
tìia delle carrozze si prolunga per dei chilo-
metri nelle varie direzioni ; e quando, finita
l'opera, i vìgili che hanno il compito non
lieve di assicurare e regolare il servizio dei
veicoli, chiamano ordinatamente le vetture
come si fa pei clienti di un ambulatorio, vi
ò il caso di restar bloccati nell'atrio anche
per un'ora attendendo il proprio turno; l'at-
tesa non è per gli hahitms uno dei charmes
meno intensi. È là che ci si fa un'idea del-
l'importanza del Teatro, è là che le signore,
le (|uali non usuano andare nel /o^/er, possono
parlare liberamente le une colle altre, giudi-
carsi, vedersi, sbiiciare i giovanotti che fanno
ressa al l'usci tfi.
Ma lo spettacolo pia attraente è per un
europeo la visione della sala al completo.
Inimaginatc voi un gigantesco mazzo di fiori
Il cui ogni l>ianca camelia, ogni rosea rosa,
ogni gialla giunchiglia, ogni celeste miosotis
sia rappresentato da una splendida giovinoti"
fra i dic*iotto e i \ enti anni, vestita in gr
lusso, fresca, fremente di emozione e di gio
r
Nel regno della dmma 199
la cui leggera scollatura lasci intravedere, fra
lo splendore delle perle e delle trine, delle
rosee carni opulente, e avrete una pallida idea
della sala dell'Opera di Buenos Aires. Voi
ammirate qui tutti i tipi di bellezza femmi-
nile che la natura ha inventato e foggiato:
rosee e bionde figlie del Nord, brune spa-
gnuole, opulente romane, sottili ed eleganti
francesi, e tutte sono giovani, tutte fresche,
inondate di luce che scende a fiotti dal lam-
padario centrale, che sale dalla ribalta e dai
lampioni laterali. Se nella strada non ci sono
che uomini, qui l'elemento femminile i)rende
la sua rivincita ; l'Opera è il tempio con-
sacrato alla donna. Nelle basse poltrone, che
sostituiscono completamente la nostra platea,
nelle tre file di palchi a balcone che si so-
vrastano a scalinata lasciando veder intera
completamente la figura dell'uditore o meglio
dell' uditrice, su nelle tertullie alte riservate
alle signore, voi non vedete che donne, o
meglio, che giovanette. Le matrone mature, le
madri, gli uomini, i padri, i curiosi, i fratelli
restiti di nero, nascosti nell'interno dei pal-
chi, scompaiono coi loro funerei vestiti da-
vranti allo sfolgorìo delle signorine.
2<X) BUENOS AI&E&
Il teatro degli spettatori, o meglio delle spetr
tatrici, è spesso superiore a q nello del palco-
scenico e altrettanto variato. Se è vero infatti
che i frequentatori o meglio le frequen tatrici
sono sempre le stesse, è vero pure che nes-
suna signora oserebbe mai presentarsi due
volte nel suo palco collo stesso vestito, cosi il
teatro degli spettatori è contiuoamento rinno-
vato. Il palco all'Opera ed i relativi vestiti co-
stano un vero patrimonio..., ma l'Argentino è
ricco e non bada a spese. Clie cosa sono 20(K)0
pezos, 4()f>00 pezzi, quando si può con questi
godere una gioia così intensa, come quella
di essere per due mesi attore e spettatore
nello stesso tempo del teatro più bello del Sud-
America, dove calcano le scene le più eccelse
celebrità mondiali, dove si j)uù imparare di-
vertendosi, e divertirsi facendo degli affari ì
Sì, il teatro a Buenos Aires non ha solo
la funzione di divertire; ha anche, come nel-
l'antica Grecia, quella di istruire. Tutte le
signore che mi parlavano in italiano od in fran-
cese, mi dichiararono di averlo imparato sen-
tendo la Duse, o Ooquelin, o la Sarah Bern-
hardt. E il teatro recitato qui in tutte le lingut
non è soltanto la Berlitz Svìwol delle signor
r
Utilità dei teatri 201
americane, esso è pure la scuola superiore di
arte, di storia e geografia. In Argentina, a
quattordici o quindici anni una ragazza intel-
ligente delle classi superiori entra già nel
mondo ; a quindici o sedici si sposa, a venti
ha già un nugolo di figliuoli ; essa non ha più
quindi il tempo od il modo di coltivarsi se non
nel teatro ! La audizione continua delle opere
I e delle commedie con una mise-eììrschie molto
I accurata, permette loro di avere un'idea ap-
! prossimativa dei costumi, della letteratura
I dei differenti paesi, delle differenti epoche,
I dei modi di dire, di fare nella società, del
dernier cri della moda.
Una delle signore più colte che io abbia co-
nosciuto in Buenos Aires, mi diceva quando
dovevamo andar in provincia : « Certo là non
potrà trovare signore così colte come a Bue-
nos Aires, perchè, come possono perfezionarsi
! le ragazze uscite di collegio in un paese dove
non c'è teatro? »
E non solo vi ha a Buenos Aires nella sta-
gione invernale una trentina di teatri aperti
in cui si canta, si suona, si recita, si balla
in tutti i toni, in tutte le lingue, in tutti ì
costumi, ma vi ha tutte le forme di recreo
202 ntrsNos Atmm
ohe il mondo abbia inventato: circhi, sferi-
sterii, giuochi della jmlotu, concorsi ippici,
liere di cavalli, di automobili, lotterie, féerie^j
cafés-c'lututauts.
Uomini, donne, vecchi^ bambini, tutti de-
vono trovare a Buenos Aires il loro gioco
favorito, insieme ai giuochi sempre nuovi che
cambiano ogni anno. Vi sono pei bambini dei
saloni da fare invidia alle fato delle antiche
liabe, in cui si trovano riuniti, oltre alle so
lite giostre ed ai soliti aubnali automatici
che vi porgono ova, cioccolattì e sorprese, e
il cinematografo ed il fonografo ed i burat-
tini, e fotografi che vi fanno la caricatura e
giuochi di specchi e balletti improvvisi.
Un'altra delle grandi attrattive dì Buenos
Aires sono i negozii» Niente si può jjensare,
immaginare al mondo di vendibile, che non
sia esposto nelle vetrine dei negozìi di Buenos
Aires. Vi sono per le signore, dei negozìi che
sono delle vere esposizioni da fare andare in
visibilio le più eh»i:anti dame europee; del
misteriosi InstiUits dr bmutrj in cui la signora
più vecchia, rugosa (mI ingiallita, provincia]
mente vestita, può escire dopo qualche or;
trasformata interamente dai piedi alla testa
r
""InsHttds de beante „ 'J03
Questa degli Instituts de heautéh^ raggiunto
ormai, per il numero e l'estensione, l'impor-
tanza quasi del Teatro. Sarà una trentina di
anni che Moussion, un parigino patentato
nell'arte della bellezza femminile alVImtitHf
de la Beante di Parigi, aprì a Buenos Aire.s,
insieme alla moglie che era maestra nell'arti^
delle piume e dei cappelli, un Imtitut dr
beante, in cui, all'istruzione sul modo di ac-
crescere la propria bellezza, si annetteva l'istrii-
zione* e il modo di vestirsi e di ornare hi
persona.
HJ Imtitut ebbe un enorme successo, gli imi-
tatori si moltiplicarono rapidamente ; rapida-
mente VlnstittU crebbe di importanza e di
estensione ed occupa oggi un grande palazzo
in una delle vie più frequentate della città.
I primi due riparti aperti, quello dei capelli,
dei chignonSj delle parrucche, e quello dei cap-
pelli restano ancora oggi i più importanti. Alla
fabbrica dei capelli lavorano un centinai*?
di operai ed artisti, in gran parte francesi v.
napoletani. Mai io avrei immaginato che per
fare dei capelli artificiali occorresse tanta cura,
tanta destrezza, tanta scienza. Vi ha nell'Isti-
tuto una camera apposta, illuminata inten-
2 H BUENOS À1R£^
samruti* come un bagno di luce, per fare la
scelta dei capelli, la cui identità con quelli
del vivo si ottiene colla mescolanza di infi-
nità di capelli di colori, di tinezza, di tinte
ditterenti. A questo riparto ben presfco ne
venne aggiunto un altro, quello della cura
d(41a cute, che ha ora altrettìinta voga quanto
il primo. È adibito a questo ri]iarto un vero la-
boratorio scientifico, con macchine elettriche,
motori a gaz, fiale di tutti i generi j segreti rti
tutte le specie. 8i fa qui il massaggio della
cute manuale ed elettrico, si ordinano gli un-
guenti, gli spiriti necessari! a tutte le diverse
abluzioni e cure utili, in tutte le circostanze
della vita.
A sua volta il riparto cappelli si è allar-
gato alla fabbricazione di tutti gli indumenti
da signora, vestiti, biancheria, scarpe, fiori ,
ventagli, monili.
Buenos Aires, la capitale dell'Argentina,
non adempirebbe alla funzione a cui l' hanno
eletta i suoi abitanti, se non fosse il centro
dell'allegria e degli spassi. Però Buenos Aires
i
Liete accoglienze 505
non adempie solo a questo ufficio. Ilo ac-
cennato che Buenos Aires ha dei magnifici
istituti scientifici, delle organizzazioni mani
comiali e penitenziarie uniche al mondo. Essr
sono nazionali, non cittadine, è vero, ma non
è men vero che esse sono fiorite a Buenos
Aires ed a Buenos Aires soltanto; ciò non
dipende dal caso. Buenos Aires è per gli Ar
gentini in genere la città del i)iacere, ma essji
è per la nazione in formazione, il crogiuolo
in cui le forze vive si fondono e si uniscono.
La sua noncuranza nello stabilire leggi, nt*I
rispettare gli antichi usi, la sua passione pei
nuovo, il suo amore per la gioia finiscono per
indurre una larga benevolenza nei suoi abi-
tanti, e questa incoraggia le forti intelligenzi^
ad esplicarsi in istituzioni meravigliose, di cui
parlerò nel capitolo che segue.
La riconoscenza vuole che io debba ricor-
dare a questo proposito la prova recente per-
sonale che avemmo di questa tendenza ad
incoraggiare ogni buona idea nuova, nelPac-
eoglienza fatta a mio marito.
Emilio Mitre, il degno erede di Bartolomeo
Mitre, direttore di quella Nación di cui par
lammo più sopra, avendo assistito a Parigi
$0é BUBK08 URSS
I
alle coufereuze tenute da mio marito al Col-
It^gìo di Francia, ebbe l'idea di fare qualche
eoHa di simile a Buenos Aires, dove nessun
europeo era stato ancora invitato ufficial-
mente a tenere una serie di conferenze scien-
ti ti t*lie.
Lanciata l'idea, vi fu, pare, gran subbuglio
a questo proposito a Buenos Aires, sì che
qua Udo il Cordova toccò il porto, non noi
soli eravamo trepidanti ; quelli f^tessi che ci
avevano invitati e che avevano organizzate
le conferenze, le feste, i ricevimenti uflìciali,
erano inquieti al pari di noi. Come avrebbe
accolto l'Argentina questo scrittore che ve-
niva a parlare di cose passate ai frettolosi
Argentini assetati del presente ? t'ome avrebbe
ascoltato, in teatro, ove si è usi andare per
divertirsi, delle letture storiche in lingua
straniera? Fu la collettività che, come in
tante altre questioni, ignara delle ubbie con-
veiiztonali, risolse il problema. L'Argentino
è dì indole generosa, ospitale, entusiasta.
Uno storico veniva a parlare di lionia, di
quella Roma che era pur stata la loro madre
comune, veniva dopo aver riportato gli allori
di Parigi, veniva invitato dal liglio del loro
r
Il nostro arrivo a Buenos Aires 207
eroe, e ciò bastava per renderli orgogliosi o
felici. Quando al mattino noi ci svegliammo
nel porto di Buenos Aires, dall'alto del Cor-
dova cominciammo a veder lontano in mezzo
al tumulto del porto una nera folla agitata
che ondeggiava verso di noi. Poco doj^o, una
Commissione composta di professori, ministri
e deputati e notabilità del paese, fra i quali
mi è caro ricordare il prof. Agostino Alvarez,
il prof. Giovanni Ambrosetti, il prof. An-
tonio Pinheiro e Luis Mitre, che ci furono
guide preziose ed amici carissimi durante il
nostro soggiorno, vennero colle rispettive si-
gnore a darci a bordo del Cordova il saluto
della nuova America. Erano buoni pronostici.
Ma la realtà li superò ancora. Brano state
chiuse in nostro onore le scuole elementari e
superiori; tutti gli scolari ed i professori del
Collegio Nadoìuil e tutti gli studenti dell'Uni-
versità si erano messi in corteo per venirci
incontro.
Il corteo era così imponente, che fummo ob-
bligati a passare per le vie più larghe, per
non far nascere subbugli.
Quando il corteo arrivò alla piazza, comin-
ciarono i discorsi. Ve ne furono degli stu-
208 BUENOS AIRI8
denti, dei professori, dei giornalisti. L'entu-
siasmo si mantenne alla stessa altezza durante
tatto il nostro soggiorno. Con questa ioii>o-
nente dimostrazione, Buenos Aires aiFermava
ancora una volta che è ornai in grado di aj)-
prezzare e valutare la cultura intellettuale e
scientifica, come fu capace di assimilare ra-
I)idamente la cultura pratica, fonte della sua
ricchezza attuale.
J
r^
II.
Istituzioni BuenoS'^Airensi.
Scuole.
Abbiamo già detto come il Sarmiento, nomi-
nato Presidente della Eepubblica nel 1864,
persuaso che l'istruzione è il nerbo del pro-
gresso di un popolo, coprì la Eepubblica di
istituti d'istruzione di ogni specie, bibliote-
che, scuole elementari normali, professionali
e superiori, e statuì per legge che il Governo
Federale dovesse pagare in ogni capitale di
provincia una scuola normale completa che
fosse modello e stimolo a quelle locali. Que-
sta legge fu applicata con grande rigore;
vi è ormai nella Repubblica un centinaio
li scuole governative e provinciali capaci di
struire tutti quelli che vogliono frequen-
barle, capaci di competere con quelle di Bue-
Ferrerò. America del Sud, 14
210 ISTITUZIONI BUENOS-AIBENSI
nos Aires; nelle quali per moltiplicare la ca-
pacità, a mano a mano che aumentano gli
abitanti, si stabilirono nei quartieri più. po-
polosi due turni di allievi, uno dalle 8 alle
12 e uno dall'una alle 5.
Xegli edifici come nell'insegnamento, l'ul-
timo Dio del giorno, il Dio dell'igiene, e
l'ultima Dea dell'America, la Dea della pra-
ticità, vi dominano indiscussi. Splendidi pa-
lazzi con ampi corridoi, guerniti di fiori
come una serra, palestre coperte e palestre
aperte per gli esercizii fisici, giardini, orti-
celli e frutteti per le prime nozioni di agri-
coltura, cortili spaziosi per separare le varie
aule, rendono queste scuole modelli del ge-
nere. Luce, spazio, aria si infiltrano per ogni
dove ; metà delle aule sono sempre vuote per
dar agio, ogni mezz'ora, ogni ora, secondo la
materia, agli scolaretti di cambiare di classe
e di aria.
11 programma è dei più variati e com-
l)leti: canto, ginnastica, disegno, musica, la-
voro manuale, ballo, cucina, cucito, chimica,
fisica, aritmetica, storia, geografia, calligrafia,
grammatica, letteratura, recitazione, botanic
Quasi ogni insegnamento ha le sue maest
Svuole elementari 211
e le sue direttrici, le quali si rompono la te-
sta, si spolmonauo perchè i bambini possano
imparare giocando, senza sforzi, senza accor-
gersi quasi di imparare. I bambini non hanno
che a ritenere ciò che cade sotto i loro sensi,
specie sotto i loro occhi. Per insegnare la
geografia, la maestra modella, seduta stante,
colla sabbia e la terra, se è in giardino, con
delle forme apposite, se è in scuola, il paese,
la regione di cui gli alunni devono ritenere
i contorni; le proiezioni completano in se-
guito il quadro nei minuti particolari. In
egual modo si insegnano i fenomeni fisici, le
eruzioni vulcaniche, il terremoto, la pioggia,
i movimenti terrestri, ecc. Per insegnar le
addizioni, le sottrazioni, i pesi e le unità, ecc.,
ciascuna bambina ha un vero peso con sac-
chetti, con palline che aggiunge, toglie, mol-
tiplica, divide. Ogni scuola è fornita di due
o più musei, di parecchi apparati di proie-
zioni, di un gabinetto di chimica, di fisica, di
scuole di lavoro manuale, di sala da disegno,
e spesso di una biblioteca scolastica, di una
uola di cucina con cucina completa. Nella
iuola Sarmiento i bambini off'ersero al ne-
ro Leo un pranzo completo cucinato da loro.
212 ISTITU2I0NI BUEN08-AIRBKSI
1
SU tavole imbandite e infiorate da loro coi
liori del giardinetto scolastico. Con questi
metodi i bambini fanno in verità dei prodigi,
e abbiamo visto noi degli scolaretti di sei o
setto anni cantare come piccoli cantori, trac-
ciare disegni, lavori in terracotta come pic-
coli operai, ballare, recitare come piccoli at-
tori, fare a memoria dei calcoli complicati
e dimostrarsi edotti di una quantità di det-
tagli di botanica, di fisica, di chimica che
mai si avrebbe immaginato potessero capire
nel loro cervello. Collo stesso metodo con-
tinuano le scuole normali superiori, per cui
le bambine passano dallo stato di allieve a
quello di maestre per gradi, insensibilmente.
Un solo appunto si può fare a queste scuole,
ed è che a furia di abolire ogni sforzo del
bambino, perfino quello degli esercizii mne-
monici, disavvezzano dallo sforzo, disavvez-
zano dall' immaginare, dall'astrarre, dal con-
cepire; direi quasi che a furia di far studiare
divertendo, disabituano dallo studiare.
Delle Facoltà universitarie di Buenos Airv
non ho visitate che quella di Medicina e
Scuole superiori 213
Filosofia. La Facoltà di Medicina è molto
bene impiantata; in un edificio nuovo dedi-
cato ai laboratorii sperimentali, vi sono le
casette per le esperienze sugli animali, cemen-
tate, con riscaldamento a termosifone, aule
splendide bene arredate per gli insegnamenti
teorici, laboratorii perfezionati per gli inse-
gnamenti pratici. Gli studenti sono ammessi
negli ospedali sino dai primi anni, e possono
anche addestrarsi nella chirurgia prima di
laurearsi; specializzarsi nel massaggio, nella
dentisteria, nelle cure dei bambini, ecc., pei
quali studii sono stabiliti corsi appositi.
La Facoltà di Filosofia è più recente ; conta
appena due anni di vita e non ha sede pro-
pria. I corsi si fanno dopo le 5 di sera nelle
aule degli altri insegnamenti.
Il prof. Ambrosetti, oriundo italiano, ge-
niale e appassionato professore di Archeo-
logia argentina, si è scavato nel sottosuolo
dell' Università uno splendido museo dove
stanno raccolti, secondo le diverse epoche,
gli avanzi delle civiltà indiane, che furono
già fiorentissime in alcuni punti dell' Argen-
ina, verso Jujuy. Egli sì è fabbricato aule
un laboratorio per studiare gli oggetti
214 ISTITUZIONI BUEN08-AIRENSI
estratti, a cui sono ammessi con gran vantag-
gio anche gli studenti. Se gli altri j)rofe.ssori
si metteranno con eguale impegno, potranno
presto avere anch'essi una sede propria.
Delle scuole superiori le più originali e
pratiche però mi paiono le Scuole professio-
nali femminili.
Esse furono istituite dieci o dodici anni fn
da due sorelle Eossen de Mitre (nipoti del-
l'illustre generale), ed hanno ora un'intìnità di
filiali, che spargono in tutta l'Argentina ini-
mensi beneficii, dando alle ragazze del iiojwlo
il mezzo di guadagnare la vita in modo con-
facente alla loro indole e tradizione, ad alle
giovanette agiate il modo di imparare lo arti
che fecero tanto onore alle loro pro.ive e che
vanno ora dimenticandosi.
Niente di pomposo nell'edificio, una casetta
bassa come tutte le altre, con un lindo patio
nel mezzo che dà aria e luce alle aule col-
locate attorno ad esso.
I laboratorii non sono sontuosi, delle ned le,
dei tavoli; nella fabbrica di fiori, una stufetta
a gaz per scaldare i ferretti che devono pie-
gar i petali, i sepali, le foglie; nel laboratc
rio di cucito, da calzatura, di guanto, le m
:i
Scuole professionali 21"»
lite macchine da cucire, a mano e a piede.
L'attenzione è qui richiamata non da macchine
esterne, ma dall'abbondanza e dalla finitezza
del lavoro eseguito, dall'agilità delle ragazze
che vedete lavorare con una sicurezza e ra-
pidità che sembra meccanica. La genialità
delle fondatrici ha evitato a queste scuole
i difetti più consueti delle scuole profes-
sionali, contro i quali cozza sempre inelutta-
bile l'onda della intraprendenza pubblica e
privata ; il costo della materia prima e la
poco praticità dell' insegnamento ; la diffi-
coltà cioè di conciliare insieme la perfezione
del lavoro colla rapidità dell'esecuzione, l'in-
segnamento scolastico coU'idea del come, dove,
a che prezzo l'allieva potrà occuparsi al-
l'uscita dalla scuola.
A parare a questi inconvenienti, la signora
Laura Eossen de Mitre, ora de Mendoza,
che ne fu l'iniziatrice, trovò un mezzo altret-
tanto semplice che geniale, che le maestre fos-
sero pagate col lavoro delle allieve, e che il fondo
destinato alla scuola potesse andar tutto a una
specie di coltura generale, che potesse tras-
)rmare le allieve in operaie scelte e colte
uali son richieste nei laboratorii moderni.
21 (> ISTITrZIOKl BUEKOS-AIRENSI
La scuola fornisce qui i locali e le mac-
chine necessarie alle differenti arti, le lezioni
di italiano, francese, aritmetica, contabilità,
disegno, nelle quali tutte le allieve sono
tenute ad esercitarsi due ore ogni giorno.
Nelle altre ore le ragazze stanno sotto la di-
rezione di una maestra d'arte, che è scelta
dalla direttrice, ma che è padrona e arbitra
delle sue allieve, dall'opera delle quali essa
è pagata, poiché essa ha l'obbligo ed il diritto
di fornire alle allieve il lavoro che essa trae
dai negozii e che dai negozianti le vien pa-
gato alla consegna. La maestra non può far
lavorare le alunne che quattro ore ogni giorno,
ma essa ha tutto l'interesse di insegnare a
far bene, e a fare in fretta, come si richiede
nella vita pratica, perchè essa tanto più gua-
dagna, quanto più rapidamente e meglio im-
parano le allieve sue.
Questo nei primi due anni; per gli ultimi
due anni — ad instradare sempre più le pic-
cole operaie, nel modo di cercarsi commissioni
— esse vengono stimolate a procurarselo di-
rettamente ; il che riesce tanto più facile per-
chè i fornitori, garantiti come sono dell'esat-
tezzs\f del lavoro, dalla responsabilità insieme
Scuole private 217
della maestra e della scuola, prediligono que-
ste allieve apprendiste, che pagano diretta-
mente come operaie esterne.
Questa felice combinazione, che interessa e
stimola maestra ed allieva nel comune sforzo
di lavorare ed imparare, ha avuto ottimi ri-
sultati economici e sociali. I mestieri inse-
gnati sono i più variati, e come vedete dal-
l'idea che li regge, sono i più variabili, a se-
conda della domanda del mercato, con cui
essi sono continuamente a contatto. Nella
scuola che io ho visitato, trovai i laboratori
di cucito, di ricamo in bianco, di ricamo in
colore, di incastro, di merletti o ricami, di sti-
ratura, di cucitura delle scarpe, di fabbrica
dei guanti, di ricamo in oro, e si stava co-
struendo una cucina, che in altre scuole è
già in funzione con ottimi risultati.
Queste scuole elementari, professionali o
normali, completamente gratuite, sono aperte
a tutti, servono però solo per il popolo e per
la piccola borghesia; le alte classi, i nobili,
ì discendenti di antiche famiglie, gli estancìeroSj
218 ISTITUZIONI BUENOS-AIRBNSI
i ricchi mandano i loro figli nei collegi te-
nuti dalle monache o dai preti.
Vi hanno in Buenos Aires per le bam-
bine: il collegio del Corazón de Maria, del
Sagrado Corazón, ds la Niiestra Senora del Bo-
sarU), de la Misericordia, de Nuestra Senora
del Carmen, de Nuestra Senora de Liijan, de
Niiestra Senora de Pompei, de la Iniaculata
Conceptión, de Maria auxiliadora, de la Mater
de Misericordia, de Nuestra Senora de Lourdes,
de Nuestra Senora de las Mercedes, de Nuestra
Sefwra del Rosario, de Santa Lucia, de Santa
Filomena, de Santa Matilde, de Santa Rosa, de
la Àmimiación, de la Provid^encia, de la Sagrada
Familia, de la Santa Union, de la Hermaìias Ca-
pucliiìms, e altri minori. I più importanti di
questi collegi hanno inoltre delle filiali in
differenti punti della città, dove accettano le
bambine in semi-internato, dal mattino, cioè,
fino alla sera.
Altrettanto numerosi sono i collegi maschili
cattolici: quello di San Salvador, il più ele-
gante ed il più numeroso, il Collegio del Car-
men, de la Sedie, de los Padres Lazaristas, de San
Francisco, del Redentor, de Don Juan de &uar-
ray, de José de San Martin, de Sa/n Antonio, de
1
LHnfluenza del clero 219
San Estanislao, de San Estanislao de Koslca, de
San Luis, de San Miguel, de San Paulo, de San
Yicente de Paola, oltre il Collegio gratuito di
Don Bosco, il Collegio gratuito cattolico Belgrano,
il Collegio cattolico Sud" Ante ricanoj il Collegio
cattolico internazionale, ecc.
Questi collegi maschili e femminili sono
installati di solito, come le scuole pubbliche,
in splendidi palazzi, corredati di gabinetti, di
musei, di apparati di proiezione, ecc. ; l'istru-
zione che vi si impartisce, mi si è detto esser
però inferiore a quella delle scuole pubbliche.
Tutti lo dicono, tutti lo ripetono, i parenti
che ci mandano i figli se ne lagnavano con
noi ; malgrado ciò tutti ve li mandano ; queste
scuole sono piene, ogni giorno se ne aprono
delle nuove, e le vecchie riboccano di allievi
e devono mettere succursali e filiali in ogni
luogo.
Questo non è dovuto al caso e neppure ad
uno spirito in special modo clericale della
nuova Repubblica, la cui società cosmopolita
va rinnovandosi ogni giorno cogli emigranti
di tutte le nazioni. Il segreto di queste scuole
dei preti e delle monache sta in ciò che essi
soli insegnano con grande cura una materia
2*20 ISTITUZIONI BrKKOS-AIBEX»!
che non si trova nel programma delle scuole
pubbliche ed alla quale, a ragione, i padri
annettono grande importanza: l'educazione
sociale dei giovanetti. Nelle scuole dei preti
o delle monache i bambini possono imparare
come ci si deve comportare nella vita, come
si deve vestirsi, come salutare, come ballare,
come e quando cambiare di abiti, come man-
giare per bene, come ricevere gli inferiori,
i sui)eriori ; in molti istituti ci sono delle fe-
ste frequenti, delle recitazioni, delle visite
quasi periodiche ufficiali ed ufficiose di auto-
rità, di parenti, per insegnare con queste e
per queste come ci si deve comportare in so-
cietà, e ciò piace assai ai parenti.
L'educazione è lasciata in Europa, come
in America, completamente a carico delle
famiglie, e nessuno pensa, secondo me a torto,
di farne un insegnamento pubblico. In Eu-
ropa però, i cambiamenti di situazione sociale
sono diflicili, l'innesto di un popolo in seno
ad un altro è assai limitato, l'educazione
famigliare può bastare nella maggior parte
dei casi. Ma in America, dove tanta gente
viene da diff'erenti paesi, in cui la morale
e le convenzioni sociali sono dissimili, dove
Necessità di una educazione di Siato 221
sopratutto vi ha tanta gente che ha cambiato
o che spera di cambiare posizione sociale e
che deve dare ai proprii figli delle regole
che non conosce, affinchè essi possano pene-
trare nella classe superiore a cui la ricchezza
acquistata permette loro di aspirare, l'educa-
zione pubblica è altrettanto necessaria come
P istruzione. Sinché lo Stato non provvedere
nelle sue scuole a questa parte delPeducazione,
non si può dare torto alle persone liberali, ai
Massoni stessi, ai capi del partito anticleri-
cale se essi pure mandano i loro figli a scuola
dalle monache e dai preti, a rischio forse di
vederli più tardi militare nel campo opposto,
pur di far loro acquistare i modi necessarii a
vivere nelle classi alte della società a cui
essi sono destinati.
L' influenza del clero non è ora ancor molto
grande, ma se son veri alcuni fatti che ci hanno
raccontato, pare che sia più grande di venti
anni or sono e che stia per aumentare an-
cora. Oi dissero che sotto la sua influenza sono
cadute le duecento e più biblioteche che con
provvido sagace provvedimento il Sarmìento
aveva sparso in tutta la Eepubblica ; che sotto
la sua influenza in molte città si fanno e si
f
iSi ISTITUZIuKI BUE1I0S-AIBKN8I
iti sfanno i professori; o che il confessore co-
mincia pian piano a diventar l'arbitro delle
famiglie consigliando i libri che si possono
leggere, le commedie e gli attori che si pos-
sono sentire, le scuole a cui i figli si possono
mandare. Ci dissero anche che per V influsso
del partito clericale, furono congedati in al-
cune Provincie insegnanti alle scuole normali
perchè liberi pensatori.
Io non so se tutto ciò sia vero, ma certo
è cÀie ([uesto monopolio della educazione so-
ciale lasciata interamente in balìa del clero
ha per conseguenza necessaria che la sua
morale deve diventare la morale ufficiale.
« Penitenciaria Nacional »
E «Open Door».
La Peniteìiciaria Nacioìial, in cui sono rac-
colti i condannati della provincia di Buenos
^Vires, è una delle pifi belle e complete isti-
tuzioni della Repubblica, in cui tutte le qua-
lità degli Argentini, la passione della novità,
del bello, del grandioso, la generosità, P in-
dulgenza, sono armonicamente fuse in modo
La "^Feniienciaìia Nacional„ 2^3
(la trasformare questo luogo di pena che non
è un ergastolo, né una prigione, in una vera
casa di redenzione, fisica, psichica, intellet-
tuale e morale, quale la nuova scuola l'ha
concepita e quale in Italia certamente i con-
temporanei non vedranno mai.
Nulla nell'aspetto esterno, accenna alla fi*
gura tetra e fosca delle carceri nostre. Una
larga palazzina tutta bianca, si apre per uuh
larga scalinata sulla strada. Non vi sono sol-
dati al difuori, non garritte di sentinelle,
nessun apparato di forza, tanto che io, abi-
tuata all'idea dei nostri ergastoli, non vo-
levo credere al cocchiere quando mi fermò
dinanzi all'elegante edificio e lo pregai di at-
tendere, per assicurarmene.
Attraversato un ampio vestibolo, si entra
in un vasto recinto ombreggiato, i cui basni
muricciuoli spariscono sotto i fiori e la ver-
dura. Là, mi dicono, vi sono dei soldati, due
o quattro, non so ; io non li ho visti, perchè
i soldati servono non tanto per sorvegliare i
detenuti, quanto per sorvegliare i carichi e
gli scarichi che si succedono ininterrotti in
questa vasta azienda, che è insieme uno dei
più vasti opifici della Repubblica. Nel recinto
ì
224 ISTITUZIONI BUENOS-AIKENSl
sbocca un corridoio, dove stanno allineate
tanto celle, tutte aperte, tutte bianche, ri-
scliiarate ciascuna da una flnestrina, di giorno,
da una lampada elettrica la notte, e fornite
di biblioteca con libri, di un tavolino con
carta, penna e calamaio, di seggiola e di iva-
ter closet ultimo modello, e di acqua potabile.
I corridoi, rallegrati nel mezzo da verdi
palmizii, convergono tutti ad uno stanzone
centrale di vetro, donde il sottocapo può sor-
vegliare tutti i raggi del suo dominio. Al
fondo di ogni corridoio sta un opificio: opi-
ficio di stamperia, di litografia, di calzoleria,
di metallurgia, di fonderia ; e fra un corridoio
e l'altro, dei larghi pezzi di terreno coltivati
ad orto, a frutteto, a giardino. Gli opiflcii
contano fra i migliori della Repubblica. Nella
stamperia si stampano molte riviste settima-
nali e illustrate, scientifiche e letterarie. Nella
calzoleria si fanno le scarpe le più. fine ed
eleganti; nella fonderia e nella officina si
fabbricano macchine industriali ed agricole,
utensili, caldaie, torni; nello stabilimento
è stato fatto l'impianto della cucina a va-
pore che troneggia in un ampio apposito fai
bricato costruito dai detenuti stessi.
1
r-
Istruzione ed educazione dei detenuti 225
Il lavoro nel Penitenziario è obbligatorio.
Appena entrati, i condannati vengono tutti
iniziati ad un'arte, quella che preferiscono,
quella in cui vengono giudicati più atti dai
maestri d'arte, badando solo a che i truffa-
tori non siano messi nella litografia, per ra-
gioni facili a capirsi. Il carcerato vien retri-
buito regolarmente a seconda della abilità
sua, presso a poco ai prezzi dell'opificio li-
bero. I denari guadagnati sono messi a li-
bretto e consegnati all' uscita 'insieme a un
posto. La fama degli operai della Penitenciaria
è ormai così stabilita, che vi sono sempre gia-
centi all'amministrazione molte più richieste
di lavoranti di quanti operai la Penitenciaria
possa dare, poiché i detenuti non solo impa-
rano qui l'arte, ma ricevono una buona e so-
lida istruzione generale.
Alle 5, finito il lavoro, tutti gli operai,
dopo un pasto sostanzioso, sono riuniti in
nove classi, sei elementari e tre superiori,
a seconda della loro coltura ed intelligenza.
Essi imparano così a leggere e a scrivere
dapprima, e più tardi la matematica, la geo-
grafia, la storia, le lingue, il disegno, che
erte sempre sopra gli oggetti della loro arte.
Fbbrbao. America del Sud, 15
i
d*26 ISTITUZIONI BOENOS-AIKÉNSl
Finita la scuola, tutti i detenuti possono
passare alla biblioteca a depositare o a pren-
dere i libri che vogliono per la notte. La
l>ibliot(^cn. è fornita ampiamente dì tutti i
migliori libri scientifici e letterarii, recenti e
fondamentali, che si pubblicano in tutte le
lingue. Una volta alla settimana ci sono con-
f^n^enze fn tte qualche volta dagli allievi stessi,
qualche volta dai maestri, a cui assistono, ol-
tre che i detenuti, anche il direttore o il sotto-
direttore. Alla domenica vi ha la messa che
è libera, per chi ne faccia espressa domanda.
Ma non solo il signor Bailve ha curato il
lavoro a l' istruzione dei suoi amministrati,
ma ha cercato anche di sollevarne il morale,
preraianiloli dei loro buoni comportamenti.
Nel MlnOj che a ciascuno vien formato alla
entrata, dove è raccolto per sommi capi il
processo, la condanna, gli antecedenti del de-
tenuto, Ih sua fotografia, i suoi caratteri fisici
e psichici, è segnata ogni sei mesi la con-
dotta, e ógni volta che le compiano, le buone
azioni. Uno, per esempio, aveva segnato nel
conto delle buone azioni la generosità con
cui alla notizia del terremoto del Cile rispo
o ti rendo tutto il suo peculio per quei disg]
Premii ed incoraggiamenti ai detenuti 297
ziati e si fece iniziatore spontaneo di una
colletta per essi. La buona condotta, la ec-
cellente, la ottima, danno ciascuna diritto a
vari privilegi. Il primo è quello di poter ri-
cevere la famiglia più volte la settimana^
invece che una volta al mese, e di rice-
verla in camera anziché attraverso alla grata
del parlatorio. Un grado superiore di buona
condotta dà diritto a portare i baffi, e a fare
gli esercizii ginnastici una volta la settimana
nell'ampio giardino della Penitenciaria. Il grado
supremo dà diritto a non avere piti il numero
regnato sulla casacca, sul berretto e sullu
cella ; ad esser chiamati per nome e trattati
come uomini normali. Varii cordoni signifi-
cano esternamente il grado di bontà che 1
detenuti hanno raggiunto, grado che sta scritto
anche sulla cella di ognuno. Supremo poi
riconoscimento della loro buona condotta, v
Paccorciamento della pena. Non esiste ancora
veramente qui la libertà condizionale, che
permetta di accorciare legittimamente la pena ;
ma V intelligenza del signor Ball ve ha saputo
parare alle difficoltà : approfittando del fatto
le il Presidente della Repubblica può gra-
are un condannato, quando lo creda degno,
228 ISTITUZIONI BUEN0S-AIRBN8I
offli lo induce a graziare quelli che gli sem-
brano guariti di ogni tendenza antisociale e
pronti per ritornare nella società utili a sé
e agli altri.
Questo istituto, rinnovato, come dissi, da
soli pochi anni, non può fornire ancora dei
dati statistici sulla sua funzione sociale, in
modo che si possa dire : essi sono redenti ;
ma il fatto è che questi detenuti, attenti
come voi li vedete, ciascuno al proprio lavoro,
eccitati da questi premii, tranquillati da que-
sta vita regolare, e quasi direi famigliare, di
cui spesso non avevano mai goduto in ante-
cedenza, acquistano un'aria serena, normale,
virile, quale non ho mai visto nelle carceri
del regno d'Italia. Il lavoro, l'istruzione, la
coltura, indirizzando le loro menti ed i loro
cuori ad oggetti alti e nobili, fan perdere alla
loro fisionomia quei caratteri di ferocità ve-
lenosa che hanno da noi, come fanno perdere
alla loro mente ed al loro cuore l'abitudine
dell'ozio, della vendetta, dell'orgia. Certo è
che tutti quelli che entrano qui delinquenti
d'occasione o di passione, e sono molti, per-
chè si tratta di un paese d'immigrazione, n
escono redenti; e che i delinquenti, d'abitu
Una conferenza in prigione 220
dine o di nascita, acquistano colPabito del
lavoro il modo di esser utili alla società. Ab-
biamo assistito noi ad una splendida confe-
renza con proiezioni sull'America precolom-
biana, tenuta in un grande apposito salone
da un detenuto, entrato ott'anni fa per uxo-
ricidio (pare in un raptus epilettico), anal-
fabeta, senza mestiere, che è ora il più abile
litografo dello stabilimento, e che guadagna
col suo lavoro venti o trenta franchi al giorno,
i quali vanno ad ingrossare il peculio che
troverà alla sua uscita.
Alla prigione è annesso un ufficio di poli-
zia scientifica diretto dal prof. Ingenieros, in
cui i nuovi arrivati vengono studiati, fisica-
mente e moralmente, dove vengono indagati
gli antecedenti ereditarli, e dove vien formu-
lato il libretto di cui parlai, su cui, come
dissi, vien poi annotata la loro condotta per
tutta la durata della pena.
Mentre percorrevamo le vaste sale e gli
operai alzavano verso di noi gli occhi pieni
di compiacenza per la nostra ammirazione, e
""ì rispetto pel dottor Ball ve, il loro direttore,
3ro padre spirituale, egli ci facea osservare
m quanta cura aveva osservato tutti i pre-
2dlì ISTITUZIONI BCE-XOS-AIBKXSI
eettì che mio padre aveva dettato nei suoi
libri, e im nodo mi veniva alla gola, all'idea
che egli fosse così lontano e non i)Otesse
venire, ehe egli dovesse continuare a vivere
in un paese che gli è sempre così ingrato.
rn'iiltni istituzione di Buenos Aires, che
uanita iiua minuta descrizione, è VOpen Door^
Manicomio a porte aperte^ diretto dal profes-
sor Cabred — il quale sta ora per fondarne
un altro h Cordova. — Sorto ad imitazione,
come dice il nome, di simili istituzioni in-
glesi, esso ha preso qui uno sviluppo, una per-
fezione grandissima.
Anche qui la cooperazione fra ospitati e
ospitanti è stata portata a un grado estremo
dì perfezione, che permette, con un costo mi-
nimo per la società, di dare agli uni e agli al-
tri il massi DIO di gioia e di utilità possibile.
Lrn'ininienf>a pianura è stata destinata a
questi disgraziati. I malati hanno costrutto
nu vero villiiggi^ nel quale possono de"*'-
car,^i a q nella qualunque arte che preferisca .
O'ò unii fabbrica di mattoni nelP interno de )
Un villaggio di pazzi 231
Stabilimento con cui si fabbricano le case:
laboratorii da falegname, da meccanico, da
intrecciatore di vimini, ecc. La maggior parte
dei ricoverati è indirizzata al lavoro dei campì,
o meglio alle industrie agricole più elevate: or-
ticultura, giardinaggio, che permette di utiliz-
zare i malati in un lavoro tranquillo e continuo,
senza troppo disseminarli. C'è un giardino con
serra tenuto come un giardino botanico, i cui
fiori vanno ad adornare e rallegrare le casette
dei malati. C'è nel villaggio un allevamento di
maiali che ha reso quest'anno al manicomio più
di 100000 pezzi, e in cui i maialetti, con un in-
gegnoso sistema trovato dai pazzi stessi, si
mantengono rosei e puliti come" al momento
in cui vedono la luce. O'è una vaccheria in cui
si fabbrica burro e formaggio ottimo, un alle-
vamento di polli che provvede di uova e polli
la colonia, e che è anch'esso uno dei forti
redditi del manicomio. O'è un orto in cui si
coltiva ogni genere di frutta e di erbaggi, un
allevamentp di pecore, con relativa tosatura.
I malati ricevono come operai esterni una
rimunerazione che va a un libretto che pos-
sono ritirare all'uscita e possono lasciare in
eredità ai parenti o spendere in una specie
232 ISTITUZIONI BCJENOB-AIBENSI
(li veiiditorio annesso a ciascun edificio in
cui c'è una specie di caffè, o meglio di ri-
trovo diurno e notturno, perchè il caffè e il
vino son proibiti.
Coi redditi délVOpen Door stesso, non solo
i inalati bouo mantenuti, ma continuamente
dai malati .stessi vengon fabbricati nuovi vil-
lini per completare il piano del villaggio ge-
niuluienttì ideato dal Cabred.
I villini — tutti differenti, separati gli uni
da^li altri da vasti giardini — hanno cia-
scuno camere da pranzo multiple, a piccoli
tavolini, dove i malati possono raggrupparsi
a quattro o cinque; e saloni con fonografi,
cinematografi, teatrini, biblioteca, giornali.
Una palazzina centrale è destinata alla cu-
cina, elle è insieme cucina e magazzeno per
la colonia, che ormai conta più di 4000 pazzi.
Tutto ciò elle può far piacevole e comoda
la vita, esiste in questo manicomio che nes-
sun muro rinserra e in cui i parenti possono
venire lilieramente a trovar i loro cari; mal-
grado ciò, nessun omicidio ebbe ancora a rat-
tristarne i fondatori nei dieci anni da che fun-
zioim. Parocchi milioni certamente furono
ape^i da principio dai Governo per fondare
Il Oiardino Zoologico 'i-^-J
questo manicomio, ma ora esso funziona da
sé, e si ingrandisce per forza propria, senssa
bisogno di altro aiuto.
Il Giardino Zoologico.
Altra istituzione di ben diverso genere, ma
egualmente bene organizzata, a Buenos Ai-
res, è il Giardino Zoologico, fondato ancora
per iniziativa di Sarmiento, e che, per la cura
con cui è mantenuto, è destinato a diventare
uno dei centri scientifici più importanti della
Repubblica Argentina, un modello del come la
scienza e l'industria, la praticità e la teoria
possano, fuse assieme, dare alla comunità un
divertimento prezioso, un luogo di studii im-
portantissimo, senza alcun sacrificio della co-
munita.
Presso il quartiere di Palermo, il più elegante
e più poetico della capitale, in fondo alVavenida
Alvear, il centro generale dell'aristocrazia bue-
nos-airense, dagli eleganti palazzotti circondati
4a antichi parchi ombrosi, si apre il Giardino
Zoologico, che copre di per sé uno spazio più
grande che una delle nostre piccole città.
f
9SÌ ISTITUZIONI BUENOS-AIBEN8I
Quando Sariuiento, uno dei più grandi be-
nemeriti iìella libertà e del progresso che
t^bb© la lìepiibblica, lo destinò a giardino zoo-
logico ora questo un terreno abbandonato,
insaLitbre e paludoso. Esso è ora uno dei luo-
ghi più salubri della città, dove si riversa
la domenica tutta la popolazione di Buenos
Aires. Le acque furono incanalate in tre splen-
didi laghetti, Azanty Darwin e Burniensteiìi, in
cui Hi bagnano pesci, uccelli e mammiferi
mario] o lacustri di ogni specie; esse furono
attorniate da folte piantagioni sotto alla cui
ombra corrono tutti gli animali pacifici della
creazione, giraffe, cammelli, cerbiatti, ecc., che
possono essere lasciati liberi in mezzo agli
uomini.
Per gli animali terrestri il direttore Ole-
mente Ouelli, un italiano, abruzzese cre-
do, ha fatto fare grandi palazzi che riprodu-
cono lo stile del paese di origine degli animali,
o ìmDicuse j^abbie di ferro che si slanciano
leggiere *mI agili nell'aria come torri Eiffel, e
dentro alle quali, roccie e laghetti e piante
riproducono approssimativamente le terre e
le piante dei paesi forzatamente abbandona
dalle bestie rinchiusevi. All'esterno, una cari
Un amico delle belve 235
geogratìca segna in nero le località dove l'a-
nimale viveva, i cibi di cui si nutre.
Ma non è né la varietà degli animali, né la
loro abitazione, che é speciale nel Giardino di
Buenos Aires, quanto la cura con cui gli ani-
mali sono tenuti. Il direttore del Giardino
non è solo un maestro, un padrone per le sue
bestie, é un padre, un medico, un amico. Mai
io ho sentito parlare con più semplicità, pro-
fondità ed amore dei proprii amministrati
come dal dottor Onelli. Egli li conosce ad
uno ad uno, sa le loro predisposizioni, i loro
odii; egli ha allevati molti dei suoi animali,
tigri, leoni, iene, pantere in casa sua.
Avendo osservato che gli animali intristi-
scono nella solitudine, quando un animale
non ha compagni naturali della propria razza,
egli cerca a loro un amico, ordinariamente
il cane, il più buono di tutti, che mette nella
gabbia del solitario perchè abbia con chi giuo-
care, e cosi ne cura gli accopi)iamenti e la ri-
produzione.
Egli applica ai suoi malati i portati più
moderni della medicina e della veterinaria,
doccie fredde, massaggio, frizioni, bagni di
zolfo, fosfati, chinino, latte, come se fossero
ISTITfZlOKI BVKSOH'AIKKSSI
1
uomini. Egli ha fatto mettere neUa gabbia
degli orsi una doccia permanente, perchè non
sottrano del caldo. Ogni giorno egli esamina
nel suo laboratorio il ricambio degli animali
più delicati per sapere se il cibo che egU ha
dato a loro è stato ben digerito, in modo da
constatare la malattia di ognuno, e curarli e
guarirli prima che appaiano i segni esterni.
Egli è riuscito, per mezzo di divisioni sa-
pienti che possono avvicinare in certi mo-
menti i due sessi e poi dividerli, ottenere la
riproduzione di quasi tutti i suoi ospiti, ele-
fanti, tigri, leoni, cervi, cammelli, giraffe,
scimmie, eseguirne la gravidanza, il puerperio,'
l'allattamento, raccogliendo un cumulo di os-
servazioni preziose nella Rivista del Giardino
Zoologico, che egli pubblica ogni mese.
Jl meraviglioso è poi che il Giardino Zoo-
logico è organizzato in modo che sia il pub-
blico stesso che ne usufruisce, quello che paga
Ogni anno il Giardino pubblica una splendida
Ouulu del Giardim gratuita per i visitatori
le CUI numerose réolanm pagano non solo k
stampa della Guida, ma rendono migliaia di
lire al Giardino.
Ogni gabbia porta il nome del donatore
j
Il Oiardino Zoologico
dell'animale e i giornali pubblicano ogni dì
gli animali che si vogliono acquistare. Alla
domenica tutto Buenos Aires si riversa nel
suo Giardino, pagando 20 centavos a testa.
Così facendo, POnelli continua a comperare
ogni anno bestie nuove, le mantiene ma-
gnificamente, e può non solo coprire co-
gli introiti le spese, ma dar un tanto alla
Municipalità di Buenos Aires, a cui appar-
tiene il Giardino, e che, lieta del risultato,
stava facendone costruir un altro, quando par-
timmo, in un altro angolo della città, ora as-
sai malsano.
Questo Giardino, dunque, come la Peniteu-
ciaria Nacional, come la Scuola Professionale,
come VOpen Door, ha raggiunto il più alto
grado di perfezione a cui un'opera di comuno
interesse possa aspirare : quella di portare il
massimo dei beneficii agli interessati col mi-
nimo degli oneri alla comunità. Queste isti-
tuzioni sono un indice prezioso della libera-
lità del popolo buenos-airense che permette
alle proprie personalità di espandersi e di
operare pel bene della Repubblica senza creare
d esse inciampi di alcun genere.
Sul Paranà.
T! Rio della Plafca, foniiato dal confluire del
Ilio Paranà e delT Uruguay, è immenso in lar-
f^liezza, ma non ò lungo ehe pochi chilometri
e, meglio di un RiOj lo sì potrebbe dire la foce
di dne grandi fiumi- Sono il Paranà e PUru-
gnay i suoi grandi affluenti che costituiscono
le arterie più importanti dell'Argentina, del
Paraguay e della Eepnblilica Orientale. Sulle
loro sponde stanno le ritta più. importanti
delle tre Republilìclie, le quali per essi hanno
modo dì comunicare facilmente colP Europa.
Il Paranà, largo, giallo, quieto, profondo,
scorrente trasversalmente alla Repubblica
Argentina, pare invero un canale scavato
a-rtitìeialmente per trasportare le merci dal
PArgeutina al mare. Disgraziatamente h
1
\
MonopoUi e dogane 23S
dogane ergono anche qui, come nel nostro
Mediterraneo, terribili ostacoli contro ogiù
comodo sfruttamento delle naturali vie di co*
municazione, e gli alti prezzi dei noli com-
piono Popera nefasta. Il commercio fluviale
sul Paranà è ora esclusivo monopolio della
Compagnia Mianovitz, che, naturalmente come |
tutti gli utenti dei monopoli!, ha fissato dei
prezzi per le merci così proibitivi, che gli al>i-
tanti di Buenos Aires trovano più conve-
niente provvedersi di legname e di arancie
al di là dell'Oceano, in Ispagna e in Italia,
che non nel vicino Paraguay, dove sarebbero
I a maggior buon mercato.
' I battelli della compagnia Mianovitz sono
quasi esclusivamente adibiti agli Argentini,
che vanno o vengono sul Paranà. Perciò iui-
j barcandosi sul Paris abbiamo modo di vederli
! intimamente.
Siamo in pieno inverno ed il Paris è pieno
I di famiglie ricche che vanno a svernare ad
Asunción, dove regna una primavera eterna.
Vi sono molte donne malate, molti bambini,
Qualche vecchio, pochi perchè i vecchi sodo
lolto rari in tutta l'America.
Vi è una famiglia argentina tipica, madre,
940 SUL paranI
padre e dodici figli, tutti appaiati coinè ge-
melli, due lattanti con due balie, due bam-
binette con una boìim calabrese, due ragaz-
zette con una istitutrice tedesca, due giova-
netti con un istitutore argentino, due signorine
colla mm inglese, due giovanotti che fumano
tutto quanto il giorno e fan la corte alle
rade signorine di bordo, il padre e la madre
col loro maggiordomo. La famiglia occupa,
coi suoi addetti, quasi tutte le cabine, che
danno nel salone centrale, diventato il suo
accampamento generale. Gli uomini però si
ritirano volentieri nella camera da pranzo,
dove si giuoca. Il giuoco è il gran vizio degli
Argentini; a Buenos Aires tutti i tabaccai,
tutti i librai, quasi tutti i negozii vendono ì
numeri della lotteria nazionale, una specie di
lotto che il Governo, con felice idea, ha desti-
nato al mantenimento degli ospedali; ogni
quartiere ha una pista per le corse dei ca-
valli, delle biciclette, degli automobili, che
non sono in fondo che pretesti al giuoco- Si
giuoca nelle case, nei caffè, nelle piazze, in
campagna, in treno. I contadini giuocano i
loro risparmi!, giuocano la loro casa, perfine
qualche volta la loro camicia.
U gioco a bordo del ^ Paris,. 241
Il poi)olo si diverte ancora al modo indiano,
mettendo una i)osta su un astragalo di mucca
che getta per terra, una specie del nostro
papa o pila. Far ciò è proibito, ma di solito
attorno ai giuocatori si forma immediata-
mente un così fitto aggruppamento di popo-
lani, che quando vengono i vigili, essi hanno
tutto il tempo di fuggire inosservati.
Naturalmente sul battello si giuoca a tutto
spiano. A mezzanotte a bordo si spengono i
lumi ; ma mentre le cabine sono avvolte nel*
Poscurità, la sala da gioco è radiante di luce
ed è il sole, che penetrando al mattino per le
finestrelle, dà il segnale ai giuocatori, curvi
sin dalla sera precedente sulle carte, che è
ora di andare a dormire.
Al mattino il battello par semideserto, e
noi possiamo godere da soli il comodo ponte
che, largo, spazioso ed aperto, si stende al
disopra delle cabine lasciandoci dominare per-
fettamente il paesaggio, che il sole fiammeg-
:iante ci permette di gustare completamente.
>a una parte, dall'altra, dei campi sterminati
Ferrerò. America del Sud. 16
342 SaL PABANÀ
1
di yerba praba (erba forte)^ una specie di paglia
ohe cresce nei terreni paludosi con cui si co-
prono i raìwhos, rompono col loro tono giallo
le torbide acque tranquille del Rio. Una bassa
isoletta solleva ogni tanto il dorso pacifico
appena turbato da qualche cespuglio, l^es-
sun'altra elevazione rompe il piano infinito;
le sponde degradano nel fiume come le no-
stre spiaggie sulle acque del mare. Questo è il
grande pericolo del Paranà ; quando le piog-
gie sono molto prolungate, il fiume, che non
ha sponde, invade il piano e le città; quando
c'è siccità, il fondo si abbassa così rapida-
mente da arenare e tener prigionieri i basti-
menti fino ad una prossima pioggia. Anche
il nostro battello, per quanto costrutto a po-
sta con scafo bassissimo, deve seguire, per
non arenarsi, le linee sinuose che la varia-
zione del fondo disegna sulla sua superficie.
La sponda orientale del Paranà è quasi
deserta; certamente i negozianti di Cadice e
di Siviglia, che avevano il monopolio del
commercio coli' America Meridionale pel Perù
e che tanto ostacolarono lo sviluppo di Bue-
nos Aires, non avevano piacere che si pop
lasserò le rive del Paranà. Sulla costa occ
Le sponde del Paranà 243
dentale, però, i paesi e le città, creati negli
ultimi anni, Campana, Nicolas, Villa Consti-
tución, Bosario, biancheggiano colla loro alta
chiesetta ed il porto lussuoso, fonte della loro
vita. Alcuni di questi paesi non sono ancora
che dei grandi villaggi in mezzo a cui tro-
neggia il nuovo porto in marmo ed acciaio,
come una promessa di prossimo avvenire ; altri
non hanno addirittura che il porto, e la po-
polazione sta ancora accampata, come nei
quartieri popolari di Buenos Aires, in minu-
scoli ranchos di paglia, di mota, di latta ; altri
sono ormai cittadine con tutto il movimento
e la vita dei moderni centri industriali con
fabbriche, palazzi, magazzini.
Bosario, una delle più giovani città che si
sieno stabilite sul fiume (non data da più di
cinquant'anni), è ormai una capitale, che in
certe cose può competere con Buenos Aires.
Bosario, Paranà, Santa Pè.
Pino al 1850 Bosario non era che un minu-
jcolo villaggio in cui i barcaiuoli scaricavano
e loro merci, approfittando di un comodo
3orto naturale. Durante le guerre intestine
i
^44 SUL PARANÀ
fra Buenos Aires e le provincie, il Governo
della Confederazione stabilito a Paranà, per
rappresaglia contro Buenos Aires, esentò dai
diritti di dogana i bastimenti che venendo
dall'Europa risalivano il fiume fino a Eo-
Biirio. Le navi dovevano fare qualche ora di
viaggio di più, ma avevano qui un porto co-
modo per sbarcare le merci direttamente a
terra, mentre a Buenos Aires dovevano tras-
1 lordare su barche in mezzo al mare. Questo
vantaggio era talmente grande, che per quanto
la Repubblica unificata le abbia tolto ogni
privilegio. Rosario seguitò nondimeno ad au-
mentare rapidamente ed è diventata ora il
centro di una regione agricola ed industriale
di primo ordine.
Ormai Rosario è per l'Argentina quello che
V Milano per l'Italia, Francoforte per la Ger-
mania, San Paolo per il Brasile, il centro co-
smopolita degli uomini e degli affari, la
città industriale, la città commerciale. A
I Rosario ci sono i più grandi mulini della
Repubblica, le più grandi raffinerie di zuc-
curo ; il suo porto è sempre pieno di bast'
nienti che vengono dall' Europa e dal Pf
rana, importando tutte le merci che si d
1
Rosario. Porti antichi e nuovi 245
ramano all'interno delle Provincie, e che par-
tono esportandone grano, fieno, cuoio e carni
per V Europa e per il Brasile. Scuole, banche,
tranis, teatri, cinematografi, telefono, caff'è,
giardini, nulla manca agli spassi, ai biso-
gni, ai comodi di una grande città moderna.
Cosmopolita come Buenos Aires, come essa,
Eosario ha unUntensa vita pubblica. La città
era — quando noi la visitammo — in grande
fermento per la quistione del porto. Eosario
ha un porto naturale come quello di Anversa,
disegnato cioè dal letto del fiume, che feli-
cemente acquista grande profondità vicino
alle sue alte harranoas. Eosario però non
aveva porto artificiale, non silos nord-ameri-
cani: per caricare il grano si usava un co-
modo e semi)lice congegno formato da una
serie di tubi in legno, spostabili, che, mossi
dalla sola forza della gravità, vuotavano il
grano nel ventre del bastimento. V'erano
lungo le rive della città, dove il battello si
fermava, delle centinaia di questi tubi. I con-
tadini stessi, che portavano il grano dalle co-
lonie, li facevano manovrare ; il caricamento
era quindi di un costo minimo. Pare, però, a
quel che alcuni ci hanno detto, che questo
246 SUL PARANÀ
sistema avesse F inconveniente di diminuire
sempre più le sponde del fiume e di aumen-
tarne il fondo.
Non so se per questa ragione, o semplice-
mente per passione delle novità, gli antichi
congegni sieno stati soppressi; certo è che
anche nei paesi più piccoli, a Villa Oonstitu-
ción, a Nicolas, a Paranà, a Santa Fé, a Ro-
sario, essi sono stati sostituiti da eleganti,
altissimi silos in ferro e cemento armato, e
che da ogni parte si stanno costruendo dei
porti in marmo ed in pietra come nelle più
antiche e ricche città del Mediterraneo. Ciò
non ha potuto avvenire senza crivellare le
città di dazii e di imposte fortissime, e gra-
vare più ancora i proprietarii del grano, i con-
tadini, i quali una volta potevano quasi gra-
tuitamente caricare la propria merce nei bat-
telli, e che devono ora affidarli ad impresarii
pagati. La questione dei porti è quindi una
questione spinosa che ha messo giustamente
a subbuglio tutte le città lungo il fiume.
1
La città di Pavana 24tl
Paranà, auticamente Bajada (sbarco), è una
delle città più antiche della provincia di En-
trerrios, di cui è la capitale. Posta su una
harrmica, un rialzo della sponda del fiume,
essa è una delle più graziose città bagnate
dal Rio omonimo. Non so quanto la barraìica
sia alta, certo poche diecine di metri, ma in
mezzo alla infinita pianura, basta a dar l'illu-
sione che la città posi su un'alta montagna.
Dal grande piazzale dove si erge la chiesa
ed il palazzo del Governo, dal parco che vi
è presso, si ha l' illusione di esser a Brunate
sul lago di Como. Il Paranà si allarga ivi
come un lago. I lunghi banchi di sabbia, che
lo limitano, sui più antichi dei quali qual-
che albero spoglio specchia melanconicamente
i suoi rami nelle placide onde luccicanti, au-
mentano l'illusione dell'ampiezza. Tutto vi è
tranquillo come in una laguna : sottili canotti,
leggere barchette a vela scivolano mollemente
sulle acque chete, mentre sulle ripe verdi, sot-
ili palme, e cespugli di rose, e geranii rosseg-
^ianti danno una nota vivace al paesaggio.
248 SUL PABAVÀ
Dal 18,12 al 1861, darante la lotta fra Bue-
nos Aires e le proTÌncie, Paranà fa capitale
della Confederazione Argentina.
Sotto il generale Urquiza, quando esso
dominò le Provincie argentine legate con-
tro Buenos Aires, Paranà divenne la rocca
forte del liberalismo, anzi dell'anticlericali-
smo argentino. Era proibito nella provincia
l'introduzione di qualunque Congregazione,
proibito agli abitanti di prendere l'abito mo-
nacale, ostacolata ogni manifestazione reli-
giosa ; ed è Paranà che Sarmiento scelse per
fondarvi la prima scuola normale dell'Ar-
gentina, quella da cui uscirono i più grandi
personaggi della Eepubblica nel suo secolo
d'oro.
Gli Italiani vi sono numerosi nella città
e nella provincia, ma sono poco fusi con i
nazionali. È questo un fenomeno che rimon-
tando il fiume si osserva per la prima volta,
ma che si va sempre più accentuando man
mano che ci interniamo nell'Argentina. A
Buenos Aires non è raro trovare delle persone
che abbiano nel loro sangue la miscela di tre
o quattro nazionalità differenti. A Bosario
difficile distìnguere una famiglia italiana d
1
I "" forestieri „ 249
una argentina; tanto complicati e intricati
sono i rapporti di parentela che uniscono le
une alle altre, ma questa fusione diminui-
sce verso l'interno. Le signore che formavano
il Comitato femminile venuto ad incontrarci
a Paranà, erano tutte dello stesso ceto, in
egual numero italiane ed argentine, ma nes-
suna delle italiane conosceva le signore ar-
gentine con cui si trovava momentaneamente
a contatto.
Noi abbiamo assistito ad una festa che il
Governatore diede in nostro onore e noi po-
temmo ammirare l'eleganza, il numero e l'al-
legria della società di Paranà, che nulla
aveva da invidiare a quella dell^ capitale;
ma i pochi Italiani presenti vi assistevano
per la prima volta. La ragione deve ricercarsi
forse nel fatto che in queste città più piccole,
da un lato l'aristocrazia locale è ancora ab- ^i
bastanza ricca e numerosa da non sentire il
bisogno di elementi esteriori, e dall'altra i
forestieri si credono stabiliti così provvisoria-
mente anche quando vi permangono da de-
cennii, che non si sforzano di penetrare in
mezzo ai nativi. La conclusione è però che
gli Italiani anche ricchi conducono in pro-
zia
7^1
I
i
■.■^
260 SUL PABANÀ
vincia una vita ritiratissima e che, non avendo
neppure la risorsa del teatro, si annoiano,
si irritano, ritornano in patria dove dopo
tanti anni si trovano più spaesati che nella
patria adottiva, vere anime in pena che non
sanno più dove posare.... La fusione coi na-
tivi potrebbe fare un gran bene, e Fopera
non sarebbe difficile se i nostri rappresentanti,
e gli Italiani più ricchi e colti che hanno dimo-
rato in una città qualche anno, cercassero di
iniziarne i rapporti. Messa casualmente a con-
tatto dalla nostra presenza, ciascuna signora
fu meravigliata infatti nel trovare la signora
dell'altra nazionalità assai più simpatica ed
attraente di quanto si aspettava, e lieta della
scoperta, si riprometteva di continuare l'ami-
cizia appena incominciata, segno che la di-
visione riposa più sulla mancanza casuale dì
contatti che su qualche ragione profonda,
insormontabile.
Nelle campagne che attorniano Paranà vi
è anche qualche colonia russa che si go-
verna indipendentemente, ogni anno ripar-
tendo le terre fra gli abitanti, come nel
Mir russo, vivendo in piena comunità come
in patria. I llassi si mescolano molto poco
1
Santa Fé 261
agli altri abitanti, e non ne pigliano in alcun
modo le abitudini. Si vedono girare per le
stazioni solitarii come esiliati, cogli occhi ce-
lesti, lo sguardo sperduto, avviluppati nelle
loro penicele, o volare attraverso i campi,
nelle loro leggiere troike^ Punico stromento
che i nativi hanno da loro adottato.
Santa Fé scelta in principio del XVII se-
colo dai Gesuiti a centro delle loro Missioni,
fondata sulle rive non del Paranà ma di un
braccio del Paranà, ove non possono fermarsi
i grandi bastimenti, è una delle più antiche
città della Repubblica, ed è la capitale della
ricca provincia omonima.
i^ A pochi chilometri da Paranà, la rocca
forte delle tradizioni liberali. Santa Fé, è in
pieno contrasto colla città che la fronteggia
a pochi chilometri di distanza sulle harrancas
del fiume.
Si è cercato recentemente di modernizzare
questa capitale erigendovi uno splendido tea-
tro, una bellissima scuola municipale, alber-
ghi, giardini^ ediflcii pubblici moderni, ma
2.')3 SUL PARANÀ
1
tutto ciò non ha tolto a Santa Pè l'aria ca-
ratteristica delle città fondate dai Gesuiti,
non ha potuto impedire che a pochi chilome-
tri da Paranà che Sarmiento scelse a fondare
la sua prima scuola normale, questa scuola
stessa, che per Statuto il Governo Federale
mantiene a sue spese in ogni capoluogo di
provìncia, abbia trovato qui le più gravi diffi-
coltà ad insediarsi, e che continuino a in-
nalzarsi chiese e conventi.
Come quasi tutte le città fondate dai Ge-
suiti, Santa Fé è posta in una località piena
di poesia e adorna di bei monumenti antichi.
Notevole fra gli altri, nella sua piazza del
Cabildho, il palazzo del Governo e il pa-
lazzo della Facoltà di Legge, costrutti in stile
veneziano, colle finestre moresche ogivali,
le torrette ed i terrazzini molto graziosi, e a
pochi passi dalla città l'antica Chiesa coloniale,
unica forse nel suo genere, una grande sala
rettangolare spoglia, che ricorda assai le ba-
siliche romane, senza cappelle nell' interno,
senza affreschi colorati, ma tutta di legno
intarsiato e scolpito ; attraverso al soffitto
ora imbiancato, si intravvedono ancora i pali
di qmhraclio intagliati come nel pavimento^
In campagna 2*^*3
nelle pareti ; da questa pendono regolarmente,
a segnare le nostre navate, dei quadri puri^
di legno scolpito e grossolanamente colorati.
Più importanti forse ancora che le citta
nelle Provincie bagnate dal Paranà, sono \v
campagne. « L'Argentina è un mostro con
un enorme capo ed un esile corpo », voi vi
sentirete dire migliaia e migliaia di volt^
percorrendo la Repubblica Argentina.
Quando si pensa infatti che Buenos Aìv\}h
da sola racchiude un quarto degli abitanti
che popolano l'immenso suo territorio, voi vi
convincerete subito che il paragone non ^
fuor di proposito. Si direbbe che Buenos Aires
è il fondo di una valle a cui fatalmente con-
fluiscono tutte le forze e gli uomini dell'Ar-
gentina. In nessun paese d' Europa, le strade,
le case, le botteghe sono così affollate comr
a Buenos Aires; in nessun paese le terre sono
così solitarie come nella pianura argentina*
Questo è fatale, del resto, in un paese che
manca completamente di strade.
Il problema della viabilità è uno dei più
urgenti, complicati e difficili di tutta l'Ame-
254 SUL VARANÀ
h.
rica del Sud, ma dell'Argentina in specie, in cui
la difficoltà è accresciuta dalla mancanza di
materia prima con cui lastricare queste future
strade, perchè la pietra e la sabbia vengono
in Argentina dal mare, dalle cave di Monte-
video. Bisognerebbe quindi ricorrere alla fab-
bricazione dei mattoni, ottimi sostitutivi delle
pietre, ma la scarsezza della mano d'opera
ne rende difficile la fabbricazione. A Buenos
Aires, molto prima che finisca l' immensa
metropoli, finiscono le strade; là dove si
addensano i quartieri degli operai, la Quema
de la basura, presso la Boca (il porto vecchio),
presso i mattatoi, le strade non sono più che
tracciate, le casette o meglio i ripari del popolo,
sono collocati disordinatamente nel campo, fra
la mota e la polvere. Nelle città minori, solo
le strade principali sono lastricate e ghiaiate ;
le altre sono arterie appena tracciate, lungo
le quali stanno delle case. In provìncia, uscire
a piedi è impossibile sempre; se il tempo è
cattivo, per la mota che arriva al ginocchio ;
se è buono, per la polvere che vi sale fino
agli occhi. Questa mancanza di strade fa sì
che, se piove, in tutta, quasi oso dire, l'Argen-
tina, la vita è sospesa, le scuole sono deserte,
La questione delle strade. I cavalli 255
i teatri chiusi, perfino gli affari, le remates, gli ^l
incanti vengono rimandati, anche se si tratta ' , ji
di terre o di case, anche quando un apposito ■; ^
poscritto avvisa gli accorrenti che l' incanto |
avrà luogo in un edificio coperto. L'Argentino -'4
ha risolto il problema della viabilità riducendo |
al minimo la locomozione pedestre. In oam- ^|
pagna, in città, voi vedete diflìcilmente un ^
argentino a piedi. Si dice che al tempo de- |
gli Spagnuoli, i gmichos morissero perfino a
cavallo. Gli Argentini moderni muoiono certo
nel loro letto, ma vivono sempre a cavallo.
Nelle scuole dei villaggi voi vedete dieci o do-
dici cavalli aspettare nel cortile gli scolaretti;
alle stazioni voi vedete sempre i contadini an-
dare, venire, incrociarsi a cavallo. L'Argentino
ha saputo non solo domare il suo corsiero, ma
piegarlo ad essergli un docile servitore; è il
cavallo che pigia la terra per edificare la casa
o i mattoni; è il cavallo che ara, che se-
mina ; è il cavallo che trasporta il raccolto. Il
cavallo ha reso enormi servigi agli abitanti
della pampa; ma da solo non può bastare
a tutti i bisogni di una società moderna e
civile, e sopratutto supplire alla mancanza
quasi assoluta di strade, che ha ritardato as-
256 SUL PAILAHÀ
1
sai lo svolgimento agricolo e commerciale
dell'Argentina.
« In questo paese, se si pianta nn bastone,
mi diceva un estaìwiero nei pressi di Kosario,
fra due anni ne trovo un campo/ tanto la
terra è buona; ma che vale se, quando il grano
è maturo, la spesa di tagliarlo e di traspor-
tarlo fino al bastimento è così forte che mi
mangia tutto il reddito!»
I trasporti si fanno tutti in carri. Sono
carri altissimi, portati da due immense ruote,
ciascuna di più di un metro di raggio, di-
pinti con strani ornati dai vivaci colori, ti-
rati da cinque o sei paia di robusti cavalli
attaccati al carro per lunghe cinghie di cuoio
ricoperte di piastre d'argento. Davanti al
carro, dove da noi starebbe il carrettiere
(che qui invece cavalca sempre di lato su
un'altra giumenta), stanno dei grandi scudi
fatti di fettuccie di cuoio bianco e nero va-
riamente intrecciate, da cui pendono campa-
nelli di ferro o di perline luccicanti, ultimi
avanzi della felice fusione dell'arte indigena
coll'arte europea.
Questi carri, specie di torri guernite, se ne
vanno lentamente sui campi, sui prati, sulle
I carri nazionali 257
•^
acque attraversando le pampas, non altrimenti
che quelli degli antichi indigeni. Essi si diri-
gono alla pili vicina stazione ferroviaria, o
meglio al più vicino porto, dove appositi trans-
atlantici europei fanno un ottimo servizio
di trasporto.
Le ferrovie e l'utilizzazione del fiume hanno
fatto enormemente progredire in questi ul-
timi tempi la cultura dei campi.
Una volta lo sfruttamento agricolo delP Ar-
gentina era limitato al bestiame; la merce
che si trasporta da sé, il poco grano che l'Ar-
gentino consumava, gli veniva dal Cile, dal 4
Perù, dall'Europa ; la vite vi era quasi scono-
sciuta. Quasi tutte le forme della cultura
europea si sono ora acclimatate sul suolo
argentino. Nella provincia di Santa Fé si è
introdotta la coltivazione del lìiaiz e del grano, |
a Cordova délValfalfa, a Mendoza della vite,
a Tucuman della canna di zucchero, a Buenos
Aires si é assai perfezionato l'allevamento
del bestiame. %
A seconda della cultura, ogni tenuta prende |
un nome differente ; si chiama estancia la te- i
nuta in cui si allevano buoi, vacche ed ar- ■:^
menti; cahana quella in cui si tengono ani- >^
Ferrerò. America del Sud. 17 4
:l
2r>8 SUL PARANÀ
mali fini, cavalli o tori di riproduzione o da
corsa; ìedìnria la estanda in cui si tengono
vaccine da latte; eìvgefw la tenuta in cui sì
coltiva la canna e se ne estrae lo zuccaro;
ehacra o colonia la tenuta dove si coltiva il
«rrano od il maiz.
« Chacra ».
La chdcra o coloìiia è una proprietà di so-
lito immensa, qualche volta centinaia di chi-
lometri quadrati, divisa ad appezzamenti di
parecchi chilometri ciascuno. Questi appez-
zamenti sono affidati ciascuno ad un colono
o ad una famiglia di coloni. Il padrone è
quasi sempre lontano, spesso in Europa, e
quasi mai si cura del proprio terreno di cui
non sa altro che.... quanto gli deve rendere;
egli affitta la terra e nulla altro. Il colono
deve quindi possedere le sue bestie, i suoi
strumenti di lavoro ed un certo capitale in
fili di ferro senza cui in Argentina non si
fa niente. I coloni, pagando l'affitto conve-
nuto in merce od in denaro, possono colti
vare il terreno a loro affidato assolutament
Costruzione d*un ^ rancho „ 2B!l
come vogliono; x>ossono piantarvi o radervi
gli alberi, seminarvi orzo, grano, vite, come
a loro meglio aggrada. Il colono è nella sua
chacra, come Robinson nella sua isola, pa-
drone e despota, sì, ma obbligato a provvedere
da sé a tutti i bisogni della propria vita, a
cercarsi l'acqua nel profondo della terra o nel
cavo delle foglie, a cuocersi il pane, a ucci-
dere la bestia da cui trarrà la carne, a for-
marsi l'orto, il frutteto, se vuol variare il
cibo, a fabbricare la sua casa, se vuol stare
al coperto. Il fabbricar una casa è però qui
lavoro di pochi giorni.
Col filo di ferro il colono fa una leggera
aerea intelaiatura quadrata ; su essa appoggia
della paglia, quella paja proba che cresce sui
bordi del fiume Paranà e che è assai resi-
stente, la intonaca con terra bagnata, ed il
rancho è fatto. Se ha delle vecchie porte, vi
lascia una larga apertura a cui adatta la
porta; se no, lascia un foro che copre con
fasci di paglia quando vuole chiudervisi den-
tro. Qualcuno fabbrica dei ranclws complicati
a varie camere. La maggior parte però pre-
ferisce fabbricar molti ranclws ] al difuori,
queste case sembrano vere topaie, nidi «li
_ i
260 SUL PABANÀ
bestie, anzi che di uomini; ma all'interno
dicono che ci si stia abbastanza bene, es-
sendo la terra un ottimo riparo dal caldo
(5 dal freddo. Certamente però questa specie
di casa non si presta molto alle industrie do-
mestiche, che si riducono qui a far seccare la
carne al sole o a farla cuocere nel campo su
alti fuochi di paglia.
Il modo di coltivazione usato nelle colonie
è molto semplice, il cavallo assume tutte le
parti più faticose. Per Paratura e la semina
del grano, il contadino percorre il suo campo,
seduto su un alto aratro tirato da due robusti
cavalli; egli guida i cavalli e getta il seme
nei solchi. Pel raccolto vengono i mietitori
dall'Europa, oppure si adoperano certe mac-
chine nord-americane, mosse da cavalli, o qual-
che volta addirittura dal vapore ; che tagliano
la messe, la riducono in covoni, in fascetti;
separano la paglia dal grano.
Con questo metodo un solo uomo, una sola
famiglia può coltivare centinaia di ettari di
terra.
I coloni non sono quasi mai emigranti ap-
pena arrivati, perchè questi non hanno i ca
pitali necessarii ad affittare il terreno, ad aspet
I
Vita dei coloni
261
tare il raccolto, ecc., ma sono quasi sempre
contadini molto intelligenti, quasi tutti ita-
liani, perchè il contadino italiano, special-
mente il toscano, il lucchese, il piemontese
che qui predominano, sono già abituati in pa-
tria a far da sé, senza guida né sorveglianza,
e sanno variare le loro coltivazioni in modo
di trar profitto dal loro terreno e di poter
far fronte alle annate cattive, quando le ca-
vallette divorano tutto il raccolto, quando la
siccità uccide le vacche, o le inondazioni som-
mergono il campo.
La cosa più terribile pel colono in quelle
solitudini é la malattia. Non c'è quasi mai
ospedale nella colonia, non cimitero, quasi
mai un dottore. Chiedere un medico al pros-
simo villaggio vuol dire perdere un'annata
di lavoro. Portar l'ammalato in città, e gi-
rar ore e ore in cerca di un posto in un
ospedale, anche se disposti a sacrificii pecu-
niarii, significa non solo perder varie annate
di lavoro, ma perder qualche volta l'amma-
lato pei disagi subiti. La maggior parte dei
coloni, quindi, quando cadono malati, la-
sciano agire la natura : se il malato guarisce
buon per lui; se muore, i parenti stessi lo
262 SUL PARANi
1
devono seppellire , senza che qualche volta
un estraneo aiuti a coprire il povero corpo
con una palata di terra.
I rapporti fra padroni e coloni sono qui
molto larghi. Le terre si comperano all' in-
canto, la maggior parte, delle volte senza an-
darle a vedere neanche dopo che sono pas-
sato in propria possessione ; si cedono quindi
a un affittuario generale, il quale a sua volta
le rimette divise in tre, quattro, cinque, dieci
appezzamenti, secondo Pestensione, a tanti af-
fittuarii o coloni più piccoli.
Xella provincia di Santa Fé, nella provin-
cia di Buenos Aires, specialmente nei pressi
delle capitali, i villaggi sono abbastanza fre-
quenti, perchè è invalso l'uso che i proprie-
tarii stessi li creino a proprie spese per accre-
scere il valore della propria terra.
Ter fondare un villaggio, il proprietario,
quando la ferrovia passa per le sue terre,
cede all'amministrazione delle ferrovie un
gran lotto di terreno gratuito, in cui fabbrica
anche spesso la stazione e la casa del capo-
stazione, col patto di aver una fermata de^
treno. Attorno alla stazione, divide il terren
in tante qncidras, ne regala una ad un negc
Fondazione di un villaggio C^puehlitOn) 263
ziante, colPobblìgo di piantarvi una tiemki
(magazzeno di deposito), e un recreo pel fu-
turo pueUito. Immediatamente trova un ma-
niscalco, un venditore di carrozze e di carri
che gli comperano quattro o cinque qìmdras,
ed il villaggio, il pmUito, è formato.
La stazione ferroviaria ne resta il centro
importante. Nella stazione stanno aflSssi i
remates (avvisi d^ncanti) pei terreni, per affitti
di coloni e per vendite di animali. Ivi con-
vergono i negozianti ambulanti, coloro che
cercano lavoratori o lavoro; ivi s'incrociano
i criollos col poncho giallo avvoltolato sulle
spalle, e le donne, dal misterioso scialle nero
che tutte le copre fin sopra la bocca.
Il terreno vicino alla stazione diviso in tanti
piccoli lotti, è avidamente acquistato dai con-
tadini che vogliono farsi dei piccoli cascinali,
al lato dei quali coltivano orti con ogni ge-
nere di verdura ; e chiusi, in cui grufolano i
maiali, in cui gridacchiano le galline, e da-
vanti ai quali rudimentali giardinetti, dai rossi
garofani e dalle bianche camelie, sognano i
contadini italiani che portano generalmente
anche qui, malgrado gli stenti infiniti, un
lembo della nostra poesia, della nostra arte
264 SUL PABANÀ
cho si è fatta necessità per la nostra anima,
come l'aria e la luce pel nostro corpo. Spesso
i nostri contadini vi piantano anche boschetti
di pesco, di alti eiicaliptus, ohe son per le
piante, come i cani per gli armenti europei,
i fedeli difensori cioè, che dal vento e dalle
bufere riparano i germogli.
La proprietà aumenta così straordinaria-
mente di valore, con soddisfazione di tutti e
danno di nessuno. Ad incoraggiare la forma-
zione di questi nuclei, il proprietario che li
iniziava aveva anche il vantaggio che poteva
eternare il suo nome, dandolo al proprio vil-
laggio, alla propria stazione. Non so perchè,
una nuova legge ora vieta di farlo, se il pro-
prietario non si è segnalato per qualche ser-
vizio pubblico allo Stato.
« EsTANCiAS », « OabaSas », « Lecherias ».
Le estancias, càbanas o leclierias che sieno,
le tenute cioè dove si alleva il bestiame, sono
amministrate in modo assai differente dalle
cliacras o dalle colonie, dove la terra nuda, di
cui appena il padrone conosce l'esistenza, è
lasciata in balìa di affittuarii o di coloni.
1
""EstanciaSn 265
91
Nella estancia il padrone non imssiede solo
la terra, egli vi ha dei capitali, le bestie
prima di tutto. Per conservare questo capi-
tale egli è obbligato a spenderne degli altri,
ad avere i grandi mulini a vento, che pescan t|
l'acqua dal sottosuolo, onde dissetare i suoi |
armenti anche nella stagione estiva, durante J
la quale muoiono di sete a migliaia gli ani- ''i
mali liberi nella pampa; è molto utile anche 1
che egli abbia un bosco, unico riparo contro ;ì
il terribile pampero, capace da solo di ucci- X
dere gli armenti, e che serve loro di refrigerio ^i
l'estate.
i
Avendo tanti capitali necessariamente oc- - '
cupati nella estaneia, il padrone è obbligato 5
a conoscerla, ad occuparsene, o ad avere al-
meno chi se ne occupa attivamente. Vi hanno
sempre infatti nelle estaiidas un direttore, un
amministratore e spesso un veterinario. Ge-
neralmente, invece di coloni affittuari o
mezzadri, si occupano nelle estancias dei peones, -j
criollos o Spagnuoli, i quali ultimi hanno le
attitudini richieste al maneggio degli animali i
in pia alto grado degli altri Europei. I peones
lavorano sotto la direzione di un capataz^ --a
capo, sorvegliante, che possiede un cavallo, il À
266 SUL FABANÀ
<liiale riceve e fa eseguire gli ordini dei diret-
tori. I mpatas sono però personaggi abba-
stanza importanti, servitori fedeli del pa-
drone ; durante le guerre civili diedero prova
di grande devozione ai proprietarii di terra
che parteggiavano pel tiranno Bosas.
Gli armenti sono tenuti assai differente-
mente, a seconda del modo col quale si in-
tende di sfruttarli. Se si tratta di animali
da macello di cui si voglia usufruire solo del
cuoio e delle carni, si lasciano all'aria libera
giorno e notte, senza pastore. I peones non
fanno che radunarli per trasportarli od ucci-
derli ; scuoiarli, farli vaccinare, marcarli, rac-
cogliere i nuovi nati, regolare i mulini del-
l'acqua e provvedere nei casi di estrema neces-
sità al pasto che viene a mancare. Ma le fun-
zioni dei peones, dei capataz, ecc., crescono a
dismisura nelle cdbanas dove sono allevati gli
animali fini da riproduzione, da corsa, o da latte.
Abbiamo visitata la Belma appartenente al
signor Cobo, che è la cabana modello dell'Ar-
gentina. In essa gli animali non vivono all'a-
ria libera, ma bensì entro degli immensi gal-
poìiesj specie di grandi stalle, leggiere, in legno
e zinco, sollevate dal suolo, ben aereate, in
Una ''Cabafiay, modello 267
cui Ogni animale ha il suo riparto, una spe-
cie di cella a cui sta appesa la tabella conte-
nente la sua genealogia, e le ordinazioni
giornaliere del veterinario. Questi animali
non passeggiano che un'ora al giorno, con-
dotti a mano dal loro peone; essi non man-
giano Perba forte della pampa e neanche Val-
falfaj nettare prelibato pei loro fratelli liberi, ''^
•a
ma una miscela di erbe e di legumi, orzo, j
niaiZy canna da zucchero, grano cotto nel A
latte, misto a fosfati e ad altri preparati me- |
dicinali, a seconda del bisogno. Ogni giorno i
essi sono sottoposti a una toeletta più lunga |
e accurata che quella di una signora. Al mat- j
tino il peone dà loro il bagno, generalmente Si
una doccia calda o fredda a seconda delle sta- ^
gioni. Nei mesi estivi, oltre alla lavatura \
mattinale, gli animali hanno anche altre doc- |
eie fredde, lungo la giornata, per rinfrescarsi, |
un bagno trappola, in cui sta diluita una leg- /S
gera quantità di zolfo, dove sono obbligati 3
a nuotare dieci minuti almeno. Finito il bagno, '^
il peone asciuga, massaggia, pettina, spazzola ^
il suo allievo; gli intreccia la coda, se si tratta J
di cavalli o di tori, il vello se si tratta di .|;
montoni, fa loro fare un giro di mezz'ora per k
i
268 SUL PARANÀ
1
reazione, e li riporta nel loro galpone. Nei
mesi estivi le passeggiate si fanno in appositi
freschi boschetti, in cui anche ai riproduttori
ò permesso di riposare qualche ora. L'acqua
che si dà a bere a questi animali è filtrata
o bollita, a seconda dei dettami dell'igiene.
Un veterinario siede in permanenza nella ca-
haua Cobo, esamina ogni settimana il ricambio
materiale dei suoi amministrati e decreta le
cure a loro necessarie ; egli ha quindi natural-
mente un vero laboratorio scientifico, perfet-
tamente fornito, e un gabinetto farmaceutico
che farebbe onore a qualunque farmacia cit-
tadina; un altro veterinario viene ogni set-
timana ad esaminare i casi più gravi.
La nascita di un futuro riproduttore è at-
tesa e preparata colPansia con cui si aspetta
un principe nelle case reali. Quando il neo-
nato ha visto la luce, qualche volta si per-
mette alla madre di allattarlo, il più delle
volte lo si affida a un'altra nutrice, che abbia
già latte più sostanzioso, e più sovente ad un
balio, uomo, ad un 2)eom, che ammannisce
alle ore prescritte dal regolamento un sa-
piente ìnberón combinato con latte bollito,
fosfati di calce, ecc., ecc.
Latterie 269
.T*
1
A onore del vero, bisogna dichiarare che
tutte queste cure hanno avuto effetti mera-
vigliosi. Abbiamo visto alla Belefm, la estancùi
de Cobo, dei vitellini di pochi mesi, più grossi
dei buoi di qualche anno, che si vedevano gi-
rare liberi per la pampa^ e dei montoni con
un vello così soffice e lungo, da gareggiare
in valore coi vitelli a cui eran vicini.
La latteria, lecheria, un altro ramo dell'^s-
ixinda, è un'altra delle grandi istituzioni di
Buenos Aires e dell'Argentina in genere. Nella |
leclieria, le vacche sono munte una volta al J
giorno, sono provviste di galpoìies per la notte . ^|
e di fieno pei giorni e stagioni in cui l'erba |
scarseggia. Non si hanno però qui, per le vac- -4
cine, le cure che nelle cahanas per ì ripro- ^
duttori ; viceversa un numero di peoiies molto :^
maggiore è impiegato per la lavatura e ste- \4
rilizzazione dei recipienti in cui si tiene il jj
latte, l'imbottigliatura, la fabbrica di burro, \t'
formaggio, ecc. |
La prima e la più celebre latteria fondata ^
in Buenos Aires, è la Martoria di Vicente Oa- 1
salis, che noi visitammo. Il Oasalis, che ne è ^à
il padrone ed il direttore, se la fece a poco |
a poco con lavoro ostinato e paziente. Egli ;^
m
^
270 SUL parakì.
cominciò venti anni fa col proposito di dare
a Buenos Aires una latteria modello orga-
nizzata all'europea, a tenere le vacche molto
accuratamente, mungendole regolarmente, e
vendendone il latte puro a prezzo onesto.
Questa volta l'onestà fu subito premiata, il
consumo crebbe rapidamente, sicché ormai il
latte della vaccheria, per quanto moltiplicato,
non può più bastare- a tutto e si deve com-
perare il latte da altre estancias, control-
landolo però giornalmente. Alla vendita del
latte semplice, il Casalis aggiunse altri ri-
parti, quello del latte pasteurizzato per i bam-
bini lattanti, latte conservato per bastimenti,
burro fresco che si rinnova ogni giorno agli
spacci, quello del formaggio e quello al dulce
de lecite, di cui gli indigeni sono ghiotti, fatto
di latte e zucchero. Vi aggiunse infine l'al-
levamento di maiali per godere il resto del
latte. In questa leclieria sono adoperati, come
peones, molti emigrati ; però, a differenza dalle
cabanaSy ecc., le quali occupano quasi esclu-
sivamente criollos o Spagnuoli, nella Uclieria
predominano gli Italiani.
1
IV.
Attraverso la "pampa,,.
A Santa Fé finiscono le città insediate
lungo la riva del Eio Paranà. Lasciamo quindi
il battello compiere il suo placido tragitto
al Paraguay, e ci installiamo nel treno che v|
attraverso alla pampa deve condurci a Cor- J
dova, a Tucuman, a Santiago dell'Estero. Il J
cambiamento non si limita soltanto al modo :|
di locomozione e neppure al mezzo, terra o .^
acqua, su cui il nostro veicolo corre ; con Pa- |
rana, con Santa Pè, colle ricche colonie che |
ne popolano i dintorni, finisce una parte del- ;1
l'Argentina e ne coDiincia un'altra. ^
Fra le Provincie situate nell'interno della <
pampa e quelle le cui capitali si allungano J:
sulle harrancas del fiume, vi ha più differenza '
1
nella campagna, nelle città, negli uomini, nei . ;
■ J
>-^
1
272 ATTRAVEKSO LA " PAMPA „
costumi, che non fra queste ultime e le re-
gioni dell'Europa lontane da esse parecchie
settimane di navigazione.
Lungo le rive del Paranà, a Eosario, a Cam-
pana, a Villa Oonstitución, a Paranà, a Santa
Fé, tutto è fiorito, colorato e popolato quanto
nei nostri villaggi. Lontano, lontano, sulle
rive del rio o dei laghetti che si disegnano
all'orizzonte, frotte di pellicani dalle ali rosa
spiccano il volo; campi di lino verde-tenero
si alternano con campi di trifoglio verde-cupo,
di pasto-forte gialliccio, mentre lungo le stra-
de ferrate il giallo ravizzone traccia una lunga
striscia d'oro. Ogni tanto folti boschetti dì
abeti, di salici, di pioppi, sintomo infallibile
della vicinanza di una casa padronale, segnano
il succedersi delle colonie e lungo i paesetti
dalle leggiere caduche abitazioni, or di terra,
or di zinco, i sontuosi cimiteri bianchi con
le infinite cappelle marmoree che ogni fa-
miglia benestante innalza per collocarvi i suoi
cari, paiono dire che in questo paese, che si
affretta rapidamente verso un avvenire ignoto,
i morti solo hanno una dimora fissa ed eterna.
In vicinanza alle città, ciascuna dotata ol-
tre che della strada fluviale, di una strada
1
^3
Sul limitare della ^pampa„ 273 ;ij
ferroviaria che le rilega a Buenos Aires, le
stazioni sono abbastanza fitte, e per quanto
i pìtéblitos a cui accedono siano spesso lontani
e minimi, le tettoie ferroviarie sono sempre
gremite di popolo, come da noi nei giorni di
fiera, ogni stazione essendo infatti ivi la fiera,
il luogo di ritrovo, il recreo del pusblito.
Qua e là nelle varie stazioni si vede avan-
zare qualche enorme carro criollo (indigeno)
carico di rìiaiz e di grano, e finché siamo
nella zona dei cereali, si vedono occhieggiare
nel seminato le bianche pratoline e qualche
raro papavero accanto ai rosei fiori del cactus
spinoso ed ai grappoli rossi del ricino sil-
vestre. Ma nella pampa più nulla; come le
nostre alpi, come i grandi fiumi, come il mare,
la pampa è tale un baluardo da costituire
una divisione netta fra i paesi e le Provincie
poste al di qua o al di là di essa. Solamente
quando vi ci si interna, si comincia ad avere
la sensazione di un mondo nuovo, del mondo
descritto nei romanzi di Verne, dell'America
scoperta da Cristoforo Colombo.
Ohe cosa è la pampa? È una terra piana
che si stende uniforme dal Paranà alle An-
de, dal mare alle montagne della Patagonia,
Ferrerò. America del Sud, 18
274 ATTRAVERSO LA " PAMPA ,
-1
tutta rasa, tutta eguale, senza alcun segno
di vita.
Anche in Italia, in Francia, in Germania
noi abbiamo delle pianure: ma esse non hanno
niente a che fare colla >awip«. Le nostre pia-
nure sono praterie verdi, variopinte; aono
(*aiupi seminati di alberi, di arbusti, di siepi,
di case, di villaggi ; la pampa è come roceanoj
tutta uniforme, gialliccia, ricoperta di imii
sola specie di erba, yeria praìm^ che non ò
mai tìorita.
La pampa brulla non comincia d'un tratto ;
a tre ore da Santa Pè incontriamo ancora
delle praterie in cui pascolano degli ariucnti
\n\\ o meno grassi di buoi o di cavalli. Qua
e là, ogni tanto, dei fuochi guizzano silenti
con denso fumo: sono i campi di cardi sel-
vatici che si bruciano per seminarvi poi 90-
I)ra Valfalfa, l'erba meravigliosa capace di
pescare a metri di profondità l'acqua di cui
ha bisogno, e di mantenere una prateria con-
tinuamente verde e feconda per anni ed anni.
Ogni tanto un gaucho^ dall'ampio cappello di
feltro, dagli alti calzari di cuoio, fa vola~
per l'aria il lazo tradizionale, trascinando p
le corna una vacca riluttante* poi anche V
w
La ^ pampa n ài chiaror della luna 276
fàlfa scompare, anche i cavalli, anche le giu-
mente ; tratto tratto, delle dune di sabbia, su
cui pernici e tordi han fabbricato i loro nidi,
e di mezzo alle quali si vede correre via ve-
loce la volpe; verso Rio Quarto non c'è piii
che la landa grigia, polverosa, rotta ogni tanto
da qualche fico d'India spinoso, da qualche
hengas gigantesco, dalle clmuds, specie di alto
lichene senza foglie da cui si estrae un succo
medicinale. Non più alberi, non più case,
solo qualche alto mulino a vento che pesca
l'acqua dal sottosuolo.
L'Europeo abituato alla ricchezza, alla va-
rietà di culture dei nostri campi, nel mirare
questo paesaggio uniformemente eguale, e
preso da un senso di tristezza piena di scon-
forto, che solo può esser temperato dall'or-
goglio di constatare che non la natura, ma
gli uomini han portato la varietà sulla terra.
A notte, al chiaror della luna, la landa as-
sume un'aria fantastica da paese incantato;
si direbbe di essere negli strani dominii delle
fate. Qua e là un alto quebraclio getta sulla
pcimjpa una lunga ombra frastagliata come
di trina, sui radi alberi spogli, i nidi de-
gli uccelli diventano enormi come capanno
276 ATTRAVERSO LA " PAMPA „
aeree. Ogni tanto dei eavalli assonnati pas-
sano silenziosi all'orizzonte, brueando la ma-
gra erba della pampa^ con moto meccanico,
come i pesci negli acquarli. Oi si crederebbe
nelle profondità dell' oceano descritto da
Verne. La terra arenosa, polverosa, pare un
mare infinito, calmo, bianco, uniforme; il
tronco spinoso del fico d'India e le foglie le-
gnose dei cactus arborescenti alla luce della
luna prendono riflessi d'argento, e gli scabri
hengas giganteschi che si diraman da terra
come immensi candelabri da chiesa, sembrano
coralli, spugne, antlws stellati.
Al mattino lo spettacolo ricomincia per-
fettamente simile a quello del giorno in-
nanzi. Qualche immenso Iwmìm dalle enormi
radici che paiono aggrapparsi con tenace
forza alla terra, qualche algarrobo spinoso,
sostituiscono qua e là il cactus^ il jmis^ il
iengasy il clunuis.
Tratto tratto, attraverso aXlSL pampa solitaria,
il cavallo di un turco ^ passa, lento sotto il
duplice peso del suo padrone e delle ricchezze
che egli porta così di ranclw in ranclw^ pi-
1 Mereiaio ambulante siriaco.
Una invasione di cavallette 277
timo tramite di civiltà, di desiderii, di aspi-
razioni fra la gente della pampa lontana ed
il consorzio umano.
Ma decisamente la Provvidenza è con noi.
Dopo quasi ventiquattro ore di j>awipa essa vuol
farci assistere ad uno dei più curiosi fenomeni
che possono animare il paesaggio, ad una vo-
lata di cavallette che (mi affretto a dire per-
chè non mi si creda calunniatrice della Provvi-
denza) sono in questo momento innocue, poi-
ché la terra non è ancora coperta di frutti.
A Rosario, a Santa Pè, a Paranà tutti ci
avevano parlato della invasione delle caval-
lette, che seguita ad essere per V Argen-
tina, come per l'Egitto antico, una delle pia-
ghe più temute. Pare che esse vengano dal
Gran ChacOj terra misteriosa, paludosa, in-
abitata, che si stende al di là della pampa^
e che non trovando ostacoli attraverso alla
pianura non difesa da montagne e da foreste,
si avanzino fino al Eio Paranà, che non si
peritano qualche volta di attraversare facendo
in ponte con una stretta catena dei proprii
1
278 ATTKAYERSO LA ** PAMPA „
corpi. Esse procedono, come dicono qui, a
mangasj a stormi compatti, longM, larghi, alti
qualche volta parecchie centinaia di metri;
si fermano qualche ora in un punto, cinque
o sei di solito, per far le ova, e dopo aver
mangiato tutto ciò che è mangiabile, ripi-
gliano la corsa distruttrice. Se uno stormo di
larve si ferma un giorno intero in un punto,
non solo il raccolto è perduto, ma anche ogni
opera d'arte, le case, gli alberi, perfino i
ponti in legno.
Nelle città, nei villaggi, all'annuncio della
langosta, che è segnalata da lontano col tele-
grafo, la gente si serra in casa, chiude le
porte e le finestre, e malgrado ciò, pare che
vestiti, carte, libri, tutto sia guasto dall'in-
setto vorace, il quale non conosce che un ne-
mico, una mosca che fa le uova nel suo collo,
unico punto non corazzato del corpo, e lo
paralizza. Ma questa mosca non emigra colla
cavalletta nella pampa, e non ne distrugge
che una minima quantità. Per fortuna però
dell'uomo, la cavalletta alata non è perico-
losa ; sembra anzi che, come le farfalle, l'in-
setto non faccia, arrivato alla sua perfezione,
che deporre le uova; e contro la cavalietti
1
La^guerra alle cavallette 219
terribile, la saltotiay la larva che divora per
crescere non so quante volte la quantità del
suo corpo di cibo, si è trovato un riparo, lo
zinco, su cui la saltona non può arrampicarsi.
Per difendersi, basta metter quindi lo zinco
dappertutto, e sotto allo zinco scavare delle
grandi fosse dove seppellir le giovani larve,
con che si ha anche il vantaggio di concimare
il terreno. Ci dicono che con questo semplice
metodo seguito con costanza ed accuratezza
per qualche anno, si potrebbe sterminare que-
sta terribile nemica. Ma la, pampa è così grande
e le misure collettive da prendersi così difficili
da eseguire! Per eccitare i contadini a com-
battere e distruggere questo insetto, il Go-
verno ha immaginato di pagare un tanto ogni
sacco di langostas che si porti al Commissa-
riato apposito; ma, come il premio stabilito
in Australia per le teste di coniglio, questo
metodo pare sia una vera incubatrice artifi-
ciale della langosta, poiché i contadini, attratti
dal premio promesso, invece che a scavar
fosse ed a costruire ripari, non pensano che
ad insaccar saltoìms e, peggio ancora, a ru-
arsi i sacchi già pieni, i quali sacchi poi,
3»sciati all'aria aperta, appestano Paria, cau-
280 ATTRAVERSO LA " PAMPA „
Bando mali peggiori ancora di quelli della
cavalletta.
Non vi dico ora quanta curiosità avessimo di
veder questo nemico, che noi in Europa non
avevamo conosciuto che sotto veste di un sal-
tellante ornamento dei prati. Ed ecco ad un
tratto, mentre attraversavamo la pampa, un
rumore confuso parte da tutti i vagoni, cento
faccie si affollano ai finestrini, cento bocche
gridano: la langosta, la langosta! Se non aves-
simo udito le grida, se non avessimo avuto la
spiegazione dei nostri compagni di viaggio, mai
avremmo supposto che la rosea nube ronzante
che si avanzava verso dì noi fosse una nuinga,
della temuta nemica di cui avevamo udito
tante terribili gesta. Ci avevano descritto
l'invasione delle cavallette come una pioggia
di cenere e di lava che oscurava il sole. Pa-
reva invece uno stormo infinito di uccelli
colle ali rosee, luccicanti, tese amichevol-
mente verso noi.
Lo stormo che in un attimo ci circondò era
alto una diecina di metri, lungo forse uno o
due chilometri, così fitto da avvolgerci in una
nebbia abbagliante e da velare gli oggetl
che ci circondavano, ma era piuttosto un
]
Dentro una niibe di cavallette
pioggia di oro che una pioggia di cenere. In
un momento tutta la pampa, il suolo, gli al-
beri, le case, i cavalli assunsero una forma
incerta, un colore rosato, come quello degli
oggetti attraverso a un temporale. Le rosse
elitre vibranti, fitte come le goccio della piog-
gia in un violento temporale, luccicavano at-
traverso al sole da cui eran irradiate.
Lo stormo, costituito di cavallette volanti,
compatte come un esercito ordinato in mar-
cia, passò rapido come era venuto, senza la-
sciar dietro a sé che un lieto fruscio.
Al bisbiglio delle rosee elitre, succede quello
delle labbra umane; i viaggiatori sono tutti
elettrizzati, ciascuno sente il bisogno di par-
lare con qualcun altro; tutti si addensano
nel vagone ristorante, per vedersi, per pall-
iarsi, per esprimere le proprie idee sull'av-
venimento, per raccontare le invasioni che
hanno subito o di cui hanno sentito raccon- %
tare, le prodezze fatte nella guerra contro la
langosta, le speranze ed i tiuiori di poterla
finalmente debellare. Tutti si congratulano
del fatto che sia passata nella cattiva stagio-
ne^ e spiano soddisfatti il cielo. Invitandolo
a mandare un pampero terribile che tutte le
i
1
282 ATTRAVKBSO LA " PAMPA „
uccida o le ricacci nel Chaco donde sono
partite.
Il tempo passa rapidamente ed arriviamo
a Cordova senza quasi accorgercene. La colpa
o la ragione non è tutta della Ungosta. Man-
cano qui i segni precursori delPavvicinarsi
dì una grande città, i villaggi spesseggianti,
i terreni ben coltivati. Qualche torre di ar-
gilla entro cui si cuociono i mattoni, ed ac-
canto ad essa un'ampia fossa circolare nera,
in cui una fila di scarni cavalli pestano coi loro
piedi l'impasto di mota e di paglia che deve
servire a costrurre i ladrigioSj sono il solo se-
gno di vita che precede la città, se si eccettua
qualche miserabile rancho seminascosto dietro
a fitte siepi di fichi, davanti ai quali alcune
donne olivastre dai grandi occhi neri, accoc-
colate, immobili come statue assire, il corpo
nascosto nel tradizionale scialle nero, stanno
fumando la pipa o sorbendo il nìiate.
Cordova.
Uno dei fenomeni etnici che colpiscono di
più lo straniero che emigra in una terra nuova,
è l'enorme importanza che ha per un paese,
Cordova. Impronte del passato 283
la sua origine, per quanto lontana, rispetto
agli accrescimenti ed alle migrazioni poste-
riori. Come i Romani continuano a conservare
il tipo degli antichi Bomani, pur non avendo
più quasi goccia del sangue antico, poiché
Eoma aveva dovuto rinnovare continuamente
la sua aristocrazia, la sua milizia, il suo corpo
legislativo, i suoi elettori stessi colle reclute
venute da ogni dove, non solo d' Italia, ma
del mondo, così nell'America nuova, città
fondate poche centinaia di anni sono, man-
tengono oggi ancora, dopo essersi centupli-
cate, rinnovate, i caratteri dei primi nuclei
di uomini, preti, ribelli, soldati, che ne fab-
bricarono le prime case.
Nel cuore della pampa, sotto un cielo in-
tensamente, eternamente azzurro come nel-
l'Oriente, Cordova, antica sede dei Gesuiti, ha
l'aria grigia, austera di una città medioevale
sotto l' incubo del giudizio universale. Nelle
strette strade silenti, non si vedono che grate
di monasteri, e le alte finestre murate delle
Carmelite o delle Teresite, monache a voto per-
petuo ; non vetture, rari trams, nessun vocìo
di bambini; lo scampanìo delle chiese è il
solo allegro tintinnìo che scuota le orecchie.
281 ATTRAVERSO LA " PAMPA „
Per 1.1 strada preti, frati, monache o signore
vestite da monaca, perchè sì usa in Cordova
che le signore della migliore società facciano
voto di vestirsi da monaca in date circostanze,
per andare in chiesa, per esempio, o per an-
dare in processione. Anche le case, gli ad-
dobbi, gli ospedali, respirano dappertutto il
dominio del gesuita. Non si sente parlare che
di signorine che hanno 2)re8o Vahito, di ve-
scovi, arcivescovi che sono venuti ed andati
in altra sede, di sermoni di frati o di preti.
Le mamme sospirano il sacerdozio pei loro
bambini ancora in culla, e gli uomini vi chie-
dono sul serio del povero prigioniero, re del
mondo spirituale, languente in un tugurio
di paglia.
Ohe enorme contrasto col rumoroso, festoso
parapiglia delle strette vie di Buenos Aires !
Anche qui la luce elettrica fiammeggia trion-
fante.... ma, nelle sacre cappelle, nelle chiese
dorate , nei conventi misteriosi. Il teatro,
scuola, ritrovo, fiera, esposizione di Buenos
Aires, è quasi abolito ; ve ne sono a Cordova
due, ma uno è chiuso definitivamente e cade
in rovina, l'altro è adibito al cinematografo.
Il canto delle CarnieUte e delle Teresite, la
ri" f'"'
L^ Università di Cordova S8r>
cui pia voce trapela attraverso le grate do-
rate delle chiese annesse ai conventi, è Li
sola musica che possono udire le dolci gio-
vanette di Cordova; la processione, il solo
spettacolo che possa rallegrare i loro giovani
cuori. La processione è a Cordova un avve-
nimento; tutta la città vi piglia parte: i pom-
pieri, la banda musicale, le signore, le signo-
rine vestite da monache, i giovinetti vestiti
colle divise delle confraternite a cui appai-
tengono, gli studenti, ed anche, ci hanno
detto, il governatore ed il rettore dell'Uni-
versità; si portano gli stendardi e le madonne
di tutte le chiese, si spargono i fiori, si canta,
si adornano le case, le strade per cui si deve
svolgere la processione.
Anche l'antica Università risente dell'am-
biente in cui deve vivere; essa pare arrestati»
al momento in cui il monaco, la cui statmt
pompeggia nel cortile, l'ha fondata; tutto vi
è scuro, silente come un convento. La festa
della Vergine di Settembre vi è ancora la pin
solenne festa scolastica, e si stava per festeg
giarne la ricorrenza, quando noi fummo a Cor
dova, ristaurando gli edificii universitarii. Sì
raccontano sull'Università le più amene sto
281) ATTRAVERSO LA " PAMPA „
rìelle, tra cui questa, di cui non garantisco
la veridicità: che un pittore aveva fatto il
ritratto ai rettori morti: per non pagarlo, la
Facoltà aveva trovato la scusa che essi erano
l>oco somiglianti; il pittore, per vendicarsi,
aggiunse delle orecchie d'asino a ciascuno
dei suoi ritrattati. Le famìglie i cui augusti
antenati stavano là dipinti, si commossero
allora e protestarono dicendo che non vo-
levano vedere il loro parente così rappre-
sentato; ed il pittore pronto: Sono o non
HOìw somigliantif Se wm lo sono^ le figure Qion
fanìw disonore a nessuno. Il pittore fu pagato
e le teste pompeggiano nell'aula magna senza
alcuna deturpazione.
I laureati che escono dall'Università di Cor-
dova non godono la stessa stima di quelli che
escono dall'Università di Buenos Aires. La
colpa non è questa volta però degli studenti.
Ci dissero anzi che questi hanno qui una
passione per lo studio come in nessun'altra
città; ma l'Università non ha locali che si
prestino a studii moderni, non biblioteche, non
laboratori!, non musei, non facilitazioni per
penetrare negli ospedali, e sopratutto essi
paga così poco i professori, 300 pezzi al mes€
Cordova, La giovane generazione 287
mi pare, che essi non potrebbero fare il loro
dovere anche se lo volessero. L'unica parte
moderna della Università è nella Facoltà di
Medicina, l'Istituto di Fisiologia fondato dal
nostro Grandis (ora professore a Genova) e te-
nuto ora dal nostro Ducceschi già professore
a Eoma, vero gioiello di semplicità e di pra-
ticità, frequentato appassionatamente dagli
studenti di tutte le Facoltà e dalle signoro
che in folla accorsero alle lezioni di psicolo-
gia fisiologica tenute dal Ducceschi stesso.
Le donne della giovane generazione paiono
voler scuotere l'antico giogo e slanciarsi co-
raggiose verso il progresso; se non sono iscritti;
ancora nell'Università, esse cominciano a fre-
quentarne i corsi come uditrici. Durante il
ricevimento che le maestre mi hanno dato a
Cordova nella scuola normale, una di esse mi
ha letto un discorso così coraggioso, erudito
e bello, che mai io aveva udito nell'Argen-
tina; quelle maestre mi son sembrate in ge-
nerale così animate, coraggiose e avide d'im-
parare, di sapere, quanto l'ambiente in genere
mi era parso fanatico e retrivo.
Un altro fenomeno che a Cordova coli)ÌBce
il visitatore, è la divisione grande che havvi
288 ATTRAVERSO LA " PAMPA „
fra Italiani e Argentini. Fino a Santa Pè il
forestiero, se non è fuso, vive accanto all'indi-
geno e si confonde facilmente assieme in qual-
che occasione : della nostra venuta, per esem-
pio ; qui invece fra l'uno e l'altro hawi una
barriera insormontabile. In una festa a cui
noi abbiamo assistito data in prò dell'Ospe-
dale Italiano, non abbiamo visto un indi-
geno ; alle altre feste, ai ricevimenti, non ab-
biamo visto un italiano. Pare che fra Italiani
ed Argentini alla diffidenza contro il fore-
stiero, si unisca l'odio instillato dal prete
contro il suddito di quel re che ha tolto
Roma al papa, per cui gli Italiani sono rite-
nuti anticlericali di razza.
Come tutte le città che vivono di religione,
Cordova è città povera per eccellenza : d'ogni
parte giardini abbandonati, rovine trascurate,
case cadenti.... «È presto fatto fare i denari
in America», diceva sospirando una cordo-
vese vittima anch'essa dell'ultima crisi.... « ma
è ben difficile mantenerli ; non si sa mai qui
se si è ricchi o poveri».
Questo, che è vero in tutta l'America, è vero
sopratutto in questa provincia, in cui le ri-
sorse naturali non sono grandi.
La diga di San Rocco 289
La pioggia di oro era penetrata dieci anni fa
anche qui sotto il governo di Juavez Oelman,
che aveva introdotto un meraviglioso sistema
di sperpero del pubblico denaro. Piovvero in
quel tempo quattrini nelle tasche di tutti, ed
i buòni Oordovesi si abbandonarono alle più
pazze speculazioni. Ma la bazza durò poco,
né l'impulso dato ebbe la forza di propagarsi ;
ci hanno detto che il teatro, il quale era co-
stato 36 000 pezzi, fu venduto per 5000, che
terreni pagati 500 000 pezzi Tanno antece-
dente, furono venduti per 10 000 Fanno se-
guente. Non è restato del governo di Juarez
Oelm'an che una splendida scuola di agricol-
tura posta in un'altura donde si gode una
delle più magnifiche viste che possa offrire
l'Argentina, e la diga di San Eocco.
Per quanto sieno gravi i torti di Juarez
Oelman, io credo che tutto gli dovrebbero
perdonare i Oordovesi in grazia di questa
diga, la risorsa maggiore della provincia nel
presente e nell'avvenire. Già da secoli esi-
steva il progetto di farla serrando due mon-
tagne che convergono al disopra di Cordova
con un muro gigantesco, in modo da formare
un immenso lago atto a fertilizzare migliaia
Ferrerò. America del Sud. 19
290 ATTRAVERSO LA " PAMPA „
di chilometri quadrati attorno a sé. A Juarez
Colmali si)etta l'esecuzione dell'antico proget-
to; ef^li elevò la diga, che trasformò in una
Svizzera opulenta le sterili rocciose montagne
che circondavano Cordova, e liberò la città
dalle inondazioni frequenti e dal marasma
ccmtinuo dei suoi fiumi senza letto. La fer-
rovia che vi porta è una delle maggiori at-
trattive di Cordova; essa serpeggia in una
stretta valle ombreggiata da due scoscese
montagne selvaggie, in mezzo alle quali scorre
rapido e spumante, interrotto da canaletti e
da cascatene, il fiume irrigatore. Ogni tanto
qualche mulino, qualche fabbrica si alterna
con qualche rancho sperduto sopra le alture,
sotto l'ombra del sacro homhu, con qualche
villa moderna attorniata da un fitto boschetto
di castagni e circondata da un giardino fio-
rito, quasi per dimostrare di che cosa quella
terra sarebbe capace. Finalmente si arriva
alla diga che ha formato dietro sé un vero
lago; il lago di San Eocco, immenso, lucido,
terso, circondato da montagne scure che si
specchiano in esso, come nel nostro Lago
Maggiore, di cui ha anche la forma allungata.
A^arii paesetti si sono formati lungo le sue
ì
Tucuman 2&1
sponde, Santa Maria, CoscJiin, luoghi di vil-
leggiatura per l'estate, sanatorii per malati,
in cui convergono tutti i riechi inalati del-
l'Argentina che non possono accedere nei
lontani sanatorii europei.
La diga non è costata che dieci milioni, e
ne rende parecchi ogni anno ; ciò non toglie
che autori ed esecutori sieno esecrati, che
l'ingegnere che l'ha costrutta sia stato messo
in prigione perchè i Cordovesi temevano che
la diga si potesse rompere ed inondare la
città e che si parli sempre.... di disfarla.
T U (UT M A K.
Nella parte più tropicale quasi della lìampa,
ma in un piano solcato dall'acqua, attorniato
da dolci declivii, da montagne scoscese, sta di-
stesa Tucuman, una delle più fiorenti e libe-
rali città della Repubblica, la cui origine ri-
sale nientemeno che al dominio degli Incas,
che pare dal Perù si sieno spinti attraverso
alle Ande fino a Santiago dell'P]stero. Dicono
che Tucuman possegga le più belle donne
della Repubblica; io direi che a Tucuman
293 ATTRAVERSO J*A " PAMPA ,
tutto è bello: le case, il popolo, la città, la
caiupagoa.
Il cielo azzurro, le colline lontane verdi, leg-
gerineute digradanti nei biondi campi di canna
che ondegi»iano al vento, i fiori rosei del pe-
sco, che coi gialli frutti dei mandarini e degli
aranci interrompono il verde dei prati, ed i
secchi banani sparenti in mezzo ai rossi fiori
del ricino e alle orchidee dei boschi, gli uomini
nei loro pittoreschi poncJios colorati, rossi, vio-
letti, bordati di bianco, che ne avviluppano la
persona come un manto romano, e le lunghe
fila dei carri dai vivaci colorì, trascinati at-
traverso alle strade polverose dai piccoli buoi
dalle lunghe corna, danno al paesaggio un'aria
di quadro trecentista. Oi si aspetterebbe ve-
ramente ogni tanto sul culmine delle colline
(love scuote la chioma leggiera il seMt, di ve-
dere spuntare i bianchi campanili o le fiere
torri medioevali dei villaggi toscani.
Si sente un paese di vecchia civiltà, diffe-
rente dalla nostra, ma antica, che alla città
ha dato un carattere, una tradizione. Attra-
verso alle case basse a triplo patio, sfondanti
sulla collina verde, si scorge la ringhièra ii
ferro battuto dell'antico pozzo; le flnestr
Tucuman 293
ornate con vetri colorati, le lampade di ferro
lavorate ; le piazze sono fiancheggiate da al-
beri di mandarini dorati, sotto ai quali stanno
accoccolate le venditrici di emjHoiadas, men-
tre i venditori ambulanti di frutta, di pesci,
di ortaggi caracollano a famiglie intere, nelle
strette vie, in groppa ad un solo cavallo ric-
camente bardato, con selle buUettate d'oro.
I fiori occhieggiano sfrontati da ogni parte ;
dalle case, dai balconi, dagli interstizii delle
strade, dai muri, dai tetti. Le botteghe dai
nomi strani fantastici, Ai Leone delle Ande^ Al
Serpente, Alla Tigre, Al Buon Gusto, riboccano
di merce di ogni genere, dai più eleganti ve-
stiti europei ai ponchos colorati, dalle trine
del Paraguay, ai tappeti, ai ventagli di piume
vivaci. Le carrozze, le carrettelle leggiere a
vistosi colori, tirate da numerosi cavalli o mu-
letti corrono all' impazzata appena tenuti
dalle rosse redini di lana. Come Ilio, essa ha
veramente l'aria di una città orientale, ed a
ragione i Turchi (clic sono poi Siriaci) vi
si sono insediati come in casa propria, co-
struendovi il loro ([uartier generale, donde
irradiano nell'interno dell'Argentina.
Dove ha preso Tucuman questo colore lo-
204 ATTRAVERSO LA " PAMPA ,
1
cale così caratteristico, io non so, ma questo
è certo, che essa è molto differente dalle altre ]
città, che i suoi abitanti paiono venire da una
razza meridionale eccitabile, entusiasmabile,
rivoluzionaria come quella dei nostri Siciliani.
Tiicuman ha nella storia un' importanza
speciale perchè è stata la culla della rivolu-
zione Argentina ed è tuttora uno dei maggiori
focolari del liberalismo della Eepubblica. Essa
possiede un rancho antico, una bassa camera
male intonacata, male illuminata, attorno
alla quale i Tucumani moderni hanno eretto
un grande palazzo: è la sala in cui fu pro-
nunciato il giuramento degli Argentini con-
tro gli Spagnuoli, la camera donde partì la
scintilla che ha bruciato definitivamente i
legami colla Spagna. E vicina al ranclio pre-
zioso, in cui i posteri han raccolto in quadri
le figure dei firmatarii, fiorisce la Biblioteca
e la Società di cultura, che Sarmiento aveva
fondato in tante città per mantenere il fuoco
sacro della libertà e del progresso, e che in
tante è sparita, mentre qui crebbe rigogliosa,
malgrado le ventiquattro ore di ferrovia che
la separano dal mare Atlantico e le quaran-
totto che la separano dal Pacifico.
Dintorni di Tacuman. La canna da zucchero 293
Fra Tucuman città e Tucuman campagna^
i confini non sono molto netti. Insensibilmente
si passa dai palazzi antichi ai ranchos mo-
derni, attraverso a ponti senza acqua, desti-
nati nei giorni di pioggia a riparare dal tor-
rente, che cangia di letto ogni anno. I ran-
chos sono come quelli delle chacras di terra u
di paglia attorniati da un recinto in cui pa-
voni, pulcini, maialetti, struzzi, grufolano,
gridacchiano, becchettano insieme ai bambini
seminudi.
La campagna attorno a Tucuman è delk^
più pittoresche che si possano immaginare.
NelP immenso piano, a jjerdita di vista, la
canna ondeggia al sole; e siccome c'è statit
una gelata, la canna ha preso un color gialli»
dorato meraviglioso ; non è il giallo del nostro
grano, è un giallo meno rosso, come di oro
antico opaco. Lungo la ferrovia che attra-
versa los ingeìiioSy i villaggi e le cittadine sono
fitte fitte; villaggi composti di capanne di
paglia, in mezzo ai quali ogni tanto un grande
palazzo, un almacen, un fanale elettrico indi-
cano che nascosto dietro alle i)alme c'è un
nucleo di abitanti europei.
Gli Europei sono pochi, i popolani hanno
29<) ATTBA VERSO LÀ " PAMPA ,
quasi tutti dol sangue indio nelle vene; ma
il sangue indio doveva essere ben differente
secondo le regioni, perchè gli incroci che noi
incontriamo qui sono assai differenti da quelli
che abbiamo visto altrove. Le donne, coi ca-
pelli lucidi, neri, spioventi sulle spalle, la ca-
micia bianca e la gonna colorata, assomigliano
assai a quelle donne che vedemmo presso Cor-
dova, ma hanno l'aria attiva delle nostre mas-
saie ; quali fanno la bassa morra, il cibo na-
zionale dei Tucumani, pestando in una specie
di buratto incavato in un tronco di albero
il maiz che bollono nel latte ; quali cuociono
il pane o le emimnadas nei forni che spes-
H(^ggiano attorno alle case; altre sono affac-
cendate attorno al lavatoio. Nei pressi di
Tucuman, lungo la ferrovia non si vedono
che fili di ferro, con panni stesi, che al sole
svolazzano con aria festosa, mentre fuori dei
ranclìos, gli uomini fumano nelle sedie a don-
dolo, il primo lusso europeo che i nativi hanno
adottato in tutte le regioni dell'America Sud.
Anche gli Indiani puri sono molto numerosi,
j)0ichù essi, uomini e donne, hanno un'abi-
lità che nessuno riesce ad eguagliare per rac-
cogliere la canna.
QH Indiani negli ^ingeniofi„ 297
Il bianco difficilmente viene a fare questo
lavoro; egli ha la pelle troppo delicata per
resistervi. La camm, che assomiglia a una gi-
gantesca pianta di meliga, non si falcia conio
il grano od il mah, il raccoglitore la taglia
con un coltello affilatissimo, la spoglia dello
foglie, accumula i torsi in mucchi, che i carrij
i quali noi vediamo lentamente caracollare
pei campi dorati, raccolgono e trasportano
all'officina. L'Indiano ò abilissimo in questo
lavoro; gli ingemos di lenita e Jnjiiy li adope-
rano quasi esclusivamente. Qualche volta ne
vengono dall'interno del Ohaco delle trihu
intere fino a Tucuman.
Quando arrivano si costruiscono da sé, lon-
tano dagli altri abitati, dei corali, specie dì
villaggi costituiti da tante capanne di paglia,
disposte a circolo, che bruciano ogni 15 giorni»
Mentre l'Indio incivilito è molto si}orco ed
ozioso, dicono che questo Indio che vieu
dalla foresta è molto pulito, molto buono,
docile, paziente, lavoratore; i)er poterlo sfrut-
tare appieno, la sola difficoltà è ([uella di farlo
restare. Dopo sei mesi gli Indiani hanno hi-
sogno di tornare per qualche tempo ai lort>
boschi; se restano, intristiscono e muoiono.
2itQ ATTRAVERSO LA " PAMPA ,
1 0<ì:uì iììffenio^ comprende un'enorme esten-
sione di terra coltivata a canna di zucchero
I ed una fabbrica centrale in cui lo zucchero
I contenuto nella canna viene raccolto, tritu-
[ rato, spremuto e ridotto in polvere. Ve ne
sono con macchinarli antichi in cui non si fa
clic trinciare la canna e torchiarla, ma ve ne
sono dei moderni, complicati come le distil-
lerie europee. L' amuunistrazione déìVinge'
tuo ò assai simile a quella dells, fazenda. Salvo
alcune eccezioni, esso fornisce ai suoi lavo-
ratori il vitto (carne, niate^ lìiaiz), ed una
piccola retribtizione in denaro, che va da 35
a 5ij p(':-ì a\ m^^se. Gli addetti agli ingenios
sono divii^t in operai che lavorano nella fab-
brica (^d in mìoìd che lavorano in campagna.
Alcuni inffcìihhs^ ([uelli della Florida^ per esem-
pio, danno, tanto agli operai quanto ai coloni,
una splendida casetta con due o tre camere,
orto, giardinetto, in cui i)ossono star struzzi,
maiali, caprette^ galline, il tutto immettente
in una grande strada ombreggiata ; ma sono
* JngeniOj prò pria ni onte parlan lo, sarebbe l'officina in cui
sì tìibbiica lo zucditTO, ma siccome ad ogni officina è am-
' nt'ì^Hii iXLiast acm[ire uaa tenuti, così nel linguaggio comune
i^ ingemo imUea h' il ut' cose.
^
Organizzazione delV ^ingenio „ 299
eccezioni. In generale gli operai, che sono Eu-
ropei, ricevono una casetta; i contadini rice-
vono la terra su cui, secondo le proprie abi-
lità, costruiscono un riparo, una capanna più
o meno possibile.
La terra della provincia di Tucuman è
molto ricca. Ora tutta la pianura è coltivata
a canna ; ma prima i)rosperava in essa lar-
gamente la cultura del maiz e la pastori- ;;|
zia, donde traeva le sue pelli che conciava n|
colla scorza del schit, pianta alta e spinosa ,|
che gli Indi usavano da tempo immemora- J
bile a questo scopo, e che pare contenga i^
tanto tannino quanto il qnelìracliOj di cui i -/^ii
suoi boschi sono pure ampiamente forniti. ^
Nei suoi boschi cresce spontaneo il palo bor- .|
rachoj alta pianta spinosa che dà un pappo 5i
cotonoso, di cui non so come gli Europei 3|
non hanno profittato ancora, perchè è piìi -^
bianco, più. fino e più lucido del cotone, ed i ' |
nativi lo tessono e l'adoperano da secoli. 1-:
Da qualche anno si è importato sulle sue col- j
line il pesco, l'arancio ed il ricino, che ere- |
sce magnificamente e da cui si trae profitto ^
molto grande ; come crescono nei radi orti la U
vite, gli ortaggi e le piante più preziose. , -^
300 ATTRAVERSO LA " PAMPA .
Santiago dell'Estero.
L'origine di Santiago dell'Estero risale a
tempi immemorabili, anteriori non solo alla
dominazione degli Spagnuoli, ma anche a
quella degli Incas.
Fondata in mezzo a fiumi senza sponde, a
stagni spesso senz'acqua, nel 1635 fu com-
pletamente sommersa da un' improvvisa inon-
dazione, e i suoi abitanti emigrarono parte a
Tucuman, parte a Cordova. Sulla città ab-
bandonata i Gesuiti stesero il loro scettro e
lo tennero per secoli, organizzandola presso
a poco come le città del Paraguay.
Forse per questo, perchè Santiago è così
antica, si parla ancora di essa a Buenos Aires
come di una città degli Indi o dei neri, dove
non ci siano neppure case abitabili e dove
il popolo vada vestito alla foggia dei selvaggi
primitivi.
Santiago dell' Postero ò invece una piccola
graziosa città, inondata di sole, dotata della
s^^a brava piazza tradizionale, col palazzo del
(-(Mldho e gli altri ediflcii pubblici all'intorno e
Santiago delV Estero a<>l
il giardinetto nel mezzo in cui suona due volte
alla settimana una banda musicale di primo
ordine, quasi tutta composta di Italiani, che
costa alla città 40 000 pezzi all'anno e elio
attira, nei giorni di musica, un numerosa
sciame femminino, allegro ed elegante, coi
relativi dami.
Santiago ha anche una bellissima scuola
normale moderna e segherie e circoli e albergo
e parco e strade lastricate magnificamente di
qiiébrachOf perfino luce elettrica ed un tea-
tro che ha, su tutti gli altri teatri, il vantag-
gio di avere una storia romantica, che finì
colla carcerazione del suo fabbricatore. Spe-
riamo che presto un atto di illuminata eie-
menza del governatore termini questa triste
storia, liberando l'infelice!
Riunita nel 1«S33 al resto della nazione,
come Cordova, Santiago porta ancora le trac-
cio del domiaio del prete. Anche qui si fanm*
le processioni i3resiedute dal governatore, ìw-
compagnate dalla banda municipale, dai poni-
pieri in divisa, ma la religione è qui così inge-
nua ancora, così vera e sentita, che non finisce
in guerra di razze, e il forastiero, anche se
italiano, è abbastanza fuso col creolo. Vi soiiu
I
\
302 ATTRAVERSO LA " PAlCFA „
professori italiaui al Collegio nazionale, uno
anzi, il professor Velia, simpatico vecchietto
l>iemontese, che ci fece un assai caldo e caro
discorso, ne fu il fondatore. La commemora-
zione di (ìaribaldi è stata concessa, per quanto
si sieno fatte contemporaneamente delle feste
sacre i)er coutrappesarla*
Non posso lasciare Santiago dell'Estero, sen-
za dire delle tante e così commoventi acco-
glienze che ci restarono impresse in modo
speciale. La città intera ci venne incontro
ad un'ora di ferrovia con un treno appo-
sito tutto imbandierato. La stazione era or-
nata in nostro onore e munita per l'occa-
sione di fari elettrici che parevano far concor-
renza al sole; i giardini dei dintorni, spogliati
per farne mazzi da offrirci e infiorarci le
i^tarr/e» Il Miinicìino aveva mobilizzato per
mn tutto U* sue antiche solenni carrozze, ed
il ^o\ cimai ore, credo, i suoi mobili, poiché
ci oirriroiin, nel inodesfo albergo, un appar-
tainenlo Iiissuoho con quella bella bianche-
ria lina di lìl*>, clic negli alberghi argen-
tini sì trova così di rado. Gli Italiani ci
diederoj nel Oircolu Italiano, un pranzo a cui
assistette aneli e il «:o\ernatore della città e
I dintorni di Santiago W^
dove ci consegnarono una medaglia apposi-
tamente coniata coi ricordi di Roma, e i San-
tiaghesi ci diedero una festina nella vastn
scuola normale, coi bambini vestiti in gala
che fu una vera féerie; il direttore della bandii
orchestrale, un italiano, diede un concerto in
nostro onore. Non so insomma che cosa non
abbian fatto per renderci più caro il sog-
giorno costà.
La cosa più triste di Santiago dell' Estero
è la terra che la circonda. Per arrivare alla
città la ferrovia passa veramente in mezzo al
deserto, non più la pampa gialliccia col suo
pasto-forte scolorito, animato ogni tanto da
un gaucho che fende l'aria col lazo tradizio-
nale, o da un turco caracollante tranquillo
sulla sua giumenta. Anche il fico d'India,
anche il cactus spinoso si fanno radi ; la
terra è nuda e deserta. Attorno alle fermate
delle stazioni, qualche randio isolato non i*in
a forma di capanna, ma di una semplice tet-
toia di legno, tettoia che si ripete sul pozzo,
sul forno ed anche sull'abbeveratoio. L'aria
è infuocata, la terra arida come nel Sahara.
Qualche volta il treno attraversa un ponte,
dove si suppone che un fiume avrà la cona*
304 ATTRAVERSO LA " PAMPA „
piacenza di passare, come forse l'ebbe qual-
che secolo fa. Gli uomini però sono così sfi-
duciati della lunga attesa, che costruiscono
qualche volta delle specie di villaggi nel sup-
posto letto del fiume. Ad ogni gruppo di case
il treno si ferma per lasciare l'acqua agli abi-
tanti, e si vede qualche volta lo strano spetta-
colo di un villaggio costruito sul letto di un
fiume che riceve l'acqua da bere dal treno
che passa sul suo ponte.
Sì, la principale funzione della ferrovia che
attraversa la provincia di Santiago dell'Estero
è questa: fornire d'acqua i villaggi lungo
la linea; ci dicono che quando il treno non
si fermava regolarmente, qualche volta i con-
tadini, impazziti dalla sete, lo assaltavano per
rubare l'acqua della caldaia. Avvicinandosi
a Santiago, il panorama si anima, non per gli
uomini, ahimè, ma per gli avanzi della fo-
resta abbattuta. Per qualche centinaio di chi-
lometri attorno a Santiago, numerosi come un
popolo di vivi si drizzano nel piano i tronchi
recisi. Ve ne sono di tutte le forme, di tutte
le altezze ; disseminati nel piano, or solitari!
or raggruppati, sembra a volte di veder una
folla di uomini che si avanzino in turba a
1
Foresta recida e foresta viva 30r»
qualche festa ; a volte un'assemblea di Indiani
accoccolati per terra davanti a qualche nudo
tronco dritto, solitario, che par animare i com-
pagni alla vendetta che la terra farà dei loro
corpi recisi. Tratto tratto qualche qiiébracho
bianco, salvato alla strage dal suo poco va-
lore, scuote una grigia melanconica chioma,
stupefatto ancora di trovarsi in vita, dopo un
così feroce esterminio.
La foresta viva, la ricchezza di Santiago del-
l'Estero, poiché in essa crescono gli alberi più
preziosi, è triste anch'essa ; la mancanza dì
umidità, di humus vegetale e la presenza di
sale nella terra, fanno sì che poche specio,
assai simili a furia di combattere gli stessi
nemici, vi possano vivere: il cahilj il queira-
c/io, Valgarróbo, il palóborraclio, i quali se ne
stanno disseminati quasi sempre ad una ri-
spettosa distanza gli uni dagli altri. Le piante
sono sempre alte, sottili, or con foglie aghi-
formi, capaci di sperdere la minor quantità
possibile d'umidità, or con spine addirittura,
fornite sempre di una chioma così leggera da
dar al bosco un aspetto invernale o appena
primaverile.
Il bianco non i)iiò penetrare nella foi estii ;
Ferrerò. America del Sud. 20
306 ATTRAVERSO LA " PAMPA „
egli vi muore per la puntura delle spine e
degli insetti, vi muore di febbre, vi muore
di sete, di fame. Ma tutti questi disagi, che
la provvidenza ha inventato per difendere la
foresta, sono stati inutili; il bianco ha utiliz-
zato la mano dell'indigeno, che spietatamente
va tagliando i boschi, ultimo rifugio che non
il proprio valore ma la inclemenza del cielo
gli aveva concesso; fortunato ancora se la na-
turale indolenza, che con acutezza un console
argentino defluiva come la più sublime virtii
del nativo, verrà a difficoltarne l'esterminio,
che potrebbe ridurre, la pampa ad un de-
serto, come avvenne, per la stessa ragione,
nel Sahara, che pare sia sabbioso non pel sole
infocato ma per la mancanza di foreste, ba-
luardo contro il vento che soffia ed impedisce
che ogni elemento di vita si Assi nel suolo.
I tagliatori di legna sono tutti indigeni,
anzi puri Indi la maggior parte, e fanno il
loro lavoro con una rapidità ed una abilità
da stupire. Si mettono in due, uno da una
parte, l'altro dall'altra parte dell'albero e
danno colpi rapidi di scure successivamente
sullo stesso punto del tronco. Dopo qualche
minuto l'albero oscilla, i tagliaboschi fuggono
La foresta 8<i7
e l'albero cade. In quattro o cinque minuti,
gli indigeni abbattono così i più grandi alberi
di qiiebracho, alti 40, 50 metri. I bianchi non
sanno far ciò, ma anche se potessero, diffi-
cilmente riescirebbero a vivere nella foresta
insidiata ad ogni istante da serpenti, da mo-
sche, da un'infinità di insetti più o meno pe-
ricolosi, e sopratutto attristata dalla impos-
sibilità assoluta di soddisfare le pii\ urgenti
necessità della vita; non c'è acqua nella fo-
resta, non grano, non pane. Gli Indiani vivono
di zucchero, di ìnate, degli animali che cac-
ciano, del liquido che succhiano dalle piante,
coricandosi all'aria aperta dentro amache so-
spese agli alberi o appena riparati da una
tettoia, nudi quasi completamente, intona-
candosi in estate il corpo di terra per ripa-
rarsi dai raggi troppo cocenti del sole.
Le donne che li accompagnano allattano i
figli, preparano il ììutte, fumano e dormono.
Si è tentato di utilizzarle per raccogliere il
ricino, che cresce libero e rigoglioso nella fo-
resta, ma non hanno accettato. L'Indio ò
l'ideale del boscaiuolo; la sola difficoltà che
si ha con lui è quella di persuaderlo a lavo-
rare. Egli si accontenta di poco, ma appunto
308 ATTRAVERSO LA " PAMPA „
perchè ha pochi bisogni, non è stimolato dal
denaro, non si può, cioè, aumentando il com-
penso, ottenere da lui, a quel che dicono,
un'ora di più di lavoro. Quando non ne ha
più voglia, dopo due o tre giorni, dopo due
o tre mesi, egli abbandona il bosco e va al
villaggio a spendere e spandere finché un
soldo gli resta nella tasca, oppure si interna
nel bosco e vive così senza lavorare finché
nuovi bisogni lo stimolino.
V.
Nelle Ande.
Mendoza.
Mendoza, la capitale della provincia omo-
nima, fondata nel LjCìO sulla grande strada che
riunisce le provìncie del Pacifico a quelle del-
l'Atlantico, in una pianura posta a i)ie' delle
Ande, attorniata da campi fecondi, irrorata
da acque perenni, prosperò abbastanza rapi-
damente; ebbe chiese, palazzi, edificii alti e
sontuosi. Ma nel 1800, tre secoli circa dopo la
sua fondazione, negli ultimi giorni di marzo,
inaspettatamente fu distrutta da un terribile
terremoto, simile a quello che pochi anni or
sono devastò Valparaiso e San Francisco. Di-
cono che prima di allora non si fossero mai
pentite scosse di terremoto in quel punto, e
310 NELLE ANDE
1
che la posizione di Mendoza, sul versante più
dolce delle Ande, lontana da vulcani attivi
ed anche spenti, fosse riputata sicurissima,
tanto che si cercarono mille spiegazioni al
cataclisma per sostituirle a quelle del terre-
moto. Non so che cosa avvenisse prima, certo
è che ora terremoti più o meno violenti si
registrano nella città quasi ogni settimana,
e che allora la città fu dal terremoto intera-
mente distrutta coi suoi abitanti ; un decimo
solo della popolazione sopravvisse ; alcuni,
però, dei superstiti, coi quali abbiamo parlato,
attribuiscono questa orrenda distruzione più
che al cataclisma, alla mancanza di soccorsi.
Pare che in questa triste circostanza i con-
tadini dei dintorni abbiano dato prova di una
barbarie e di una ferocia superiore assai a
quella dei Felli Rosse, perchè invece che ve-
nire ad aiutare le vittime ed a cercare di
salvarle, scesero in masse nella città per ren-
dere più completo il disastro, trucidando i
feriti per rubare le masserizie e i denari nelle
case, per impossessarsi delle terre, delle ric-
chezze dei morti. Augustin Alvarez, ora pro-
fessore dell'Università della Piata, uno d
pochi scampati alla strage, ci raccontavi^ ci
La distruzione di Mendoza 811
egli, allora diienne, fu ripescato incolume in-
sieme al fratello e ad una sorella di latti3
dalla propria bàlia, che abitava nei dintorni
della zona del terremoto e che venne a cer-
carlo. Certo PAlvarez sarebbe morto come gli
altri dieci suoi fratelli, come la madre, il pa-
dre, i nonni e tutto il parentado, selabiiliìi
non l'avesse salvato ; ucciso però non dal ter-
remoto, ma dalla mancanza di soccorsi. I prirri i
aiuti vennero dal Cile, con cui Mendoza con
servava relazioni più strette e pi fi cordiali
che non colle provincie della Piata, non an-
cora collegate dalla ferrovia e distanti da lei
più di venti giorni di viaggio. Alcuni emi-
grati politici, rifugiati a Mendoza, mandarono
al Cile la notizia del disastro, e Valparaiso
mandò, attraverso le Ande, soccorsi di ogni
specie. Ma quindici giorni erano passati, e i
sepolti vivi erano tutti morti! Per molto
tempo la città restò abbandonata, i ijodii
sopravvissuti essendosi rifugiati altrove: in
campagna, a San Raffaello, a San Carlo,
nel Cile.
Quando le feraci terre che attorniano Men-
doza ritornarono a fornire una larga chxs,se
di proprie tarli arricchiti, desiderosi di ritm-
312 NELLE ANDE
1
varsì e di godere tutti i comodi e tutti i pia-
ceri che può dare una città, Mendoza risorse
dalla ruina ; perchè risorse nell'identico punto
che seguitava ad essere scosso continuamente
dai terremoti, mentre a pochi chilometri di
distanza verso San Eaffaele vi era sulla grande
strada transandina una pianura altrettanto
comoda e centrale, che dieci anni di esperienze
avevano dimostrato esserne immune: è uno
dei più interessanti fenomeni psicologici, che
dimostra come l'uomo, nelle sue azioni, non
si lascia guidare né dalla scienza, né dal-
l'esperienza, ma da fattori di altra natura.
Mendoza, come dissi, risorse per incanto,
ma col terrore di ricadere, e questo terrore
ha marcato di una impronta indelebile la città
e gli abitanti. Perchè le macerie delle case
non seppellissero i viandanti nelle strade, sì
sono costrutte vie larghissime, riparate da
fitti viali ombrosi, case col solo piano terreno,
ricoperte, invece che di tegole, di tela catra-
mata ; e gli abitanti presero l'abitudine di dor-
mire all'aria aperta, negli ampli cortili, nei
porticati che attorniano le case. Perfino nel-
l'albergo maggiore di Mendoza, un albergo al-
l'europea, colle grandi palme nel giardino ^
"1
Mendoza» Il terrore del terremoto 313
luce elettrica nelle camere da letto, si vede-
vano, nei cortili più interni, i letti allungati
sotto al porticato evidentemente destinati
agli avventori troppo tremebondi per ricove-
rarsi all'interno. Tutte queste precauzioni non
bastano; al più. lieve sussulto, tutti si river-
sano sulle strade e nelle piazze. Nella setti-
mana che passammo a Mendoza, avvennero
due scosse di terremoto così leggiere che noi
non le avvertimmo, ma per due giorni gli
abitanti dormiron all'aperto. Naturalmente
poi, siccome tutti vanno guardinghi astsni nel
fabbricare, di case vi ha in città grande scar-
sezza. Ho detto che a Buenos Aires gli affitti
sono assai cari, ma gli affitti di Buenos Aires
sono addirittura derisori i vicino a quelli di
Mendoza. Ohi può avere per 5000 o KMIOO
pezzi annui (il pezzo vale 2 franchi e più)
una palazzina che da noi si compererebbe
per meno, è reputato fortunato; così chi trova
per 20 000 pezzi nel viale principale una bot-
tega di un centinaio di metri quadrati. Ogni
cosa raggiunge a Mendoza cifre di costo fa-
volose. Come potrebbe essere diversamentt^
in un paese in cui agli alti prezzi degli affitti
si aggiunge l'alto valore delle materie più
314 NELLE ANDB
1
necessarie alla vita? Mendoza, infatti, che una
volta aveva un attivo commercio di bestiame
col Cile, di ortaggi colle altre regioni dell'Ar-
gentina, importa oggi, pel consumo dei suoi
abitanti, tutto, perfino la farina con cui fare
il liane, che si paga a Mendoza 30 centavos
((»() cent(\simi) al chilogramma. Si pagava, du-
rante il nostro soggiorno a Mendoza, 2 o 3
pezzi (5 franchi) un pollo, e 80 centavos (1,60)
uu chilogramma di fave, 13 pezzi (26 franchi)
al 100 le cipolle ; si paga 25 pezzi (50 franchi)
a testa per un pranzo pubblico e 100 pezzi per
un palco a teatro. D'altra parte, a onor del
vero, bisogna dire che il guadagno è in pro-
porzione alle spese; un medichetto appena
laureato diceva che non poteva bastare a tutti
i suoi clienti, che lo pagavano 10 pezzi la vi-
sita (20 franchi).
Questa elevazione di prezzi è determinata
dal rapido inaspettato aumento del valore
dell'uva che Mendoza produce, il quale ha
attratto alla vite tutto il capitale disponibile
ed ha aumentata molto la ricchezza generale.
Da tempo immemorabile si era piantata
a Mendoza la vite, che i Cileni coltivano con
gran cura e da cui estraggono vino molto
Mendoza : Gli alti prezzi. La vite. Il signor Tomba B15
buono. Dieci o dodici anni or sono si cercò
di trasportar a Mendoza l'industria vinicola.
Ma se la vite cresceva stupendamente nella
pianura attorno alla città, il vino che se m^
estraeva era talmente cattivo che, malg]*ado
le protezioni, malgrado le imposizioni gover-
native, neanche i più miserabili emigrati Io
volevano bere. La provincia di Mendoza sulìì
allora una crisi terribile.
Per molti anni ci raccontaron che i proprie-
tarii non trovarono convenienza a raccogliere
l'uva matura ; la yerì)a proba guadagnava ter-
reno sui viticci abbandonati. Fu un italiano,
il Tomba, un veneto, pratico della fabbrica-
zione del vino, che rialzò, a quel che ci dis-
sero, le sorti della vite. Il Tomba capì che
la ragione per cui il vino a Mendoza non riu-
sciva, era il caldo eccessivo al tempo della
vendemmia, il quale arrestava il fermento nel
momento che Puva stava nelle tinozze; egli
organizzò nelle sue cantine dei frigoriferi ca-
paci di rijjarare a questo inconveniente e fab-
bricò così, del vino buono, che vendette a
prezzi discreti; in pochi anni egli riusci a
fare adottare il suo vino dalle masse. Il suo
stabilimento si ingrandì a dismisura e la col-
316 NPLLE ANDE
I
tura della vite fu ripresa con furore; tutti
aprirono hodega^ in cui fabbricare il vino.
Ve ne sono a Mendoza ormai centinaia a
cui sono annesse centinaia di vigne esercite
con immes^ braccianti ai quali si fornisce il
vitto e la casa, oltre a qualche denaro; un
direttore che dirige i lavori dei vigneti, un
altro che dirige la trasformazione dell'uva
in vino; un impresario pel trasporto dell'uva
(il niecolto dura due o tre mesi), i macchi-
nisti che fabbricano il vino, ed i bottai che
fabbricano le botti, perchè l'uva è raccolta
pigiata, trasformata in vino e travasata tutta
dal hodeglìcro. Macchinisti o bottai, la mag-
gior parte sono Europei, quasi tutti Italiani;
i lìvonm sono tutti criollos. Di vignaroli eu-
ropei non vi ha a Mendoza che qualche ita-
liano venuto da pochi anni e già ijiccolo o
grande proprietario. Le iodegas da noi visitate
sono fornite di torchi giganteschi da cui il
mosto passa in tinozze di cemento, costruite
nel sottosuolo delìahodegay che contengono cia-
scuna migliaia di brente di vino ; di qui per
canali, veri fiumi di cemento, filtra in altre
botti pure dì cemento, che possono contenere
^olo qualche centinaio di ettolitri divino; da
Mendoza: ^Las hodegaSy, àl7
queste per fiumi minori passa in piccole botti
che arrivano a pezzi dal Nord- America e dalla
Francia. Molte hodegas hanno spacci proprii
in tutte le grandi città dell'Argentina, altrL^
vendono ai rivenditori; i guadagni sono fa-
volosi per tutti.
I pampini di Ohanaan spargono i loro ma-
gnifici effluvii nell'ampia pianura, e tutti quelli
che riescono ad aspirarli diventano, sono di-
ventati o diventeranno ricchi: contadini ve-
nuti dieci anni fa come semplici coloni, pos-
siedono ora case, vigne, ecc.; dottori, avvo-
cati, impiegati di banca, operai, tutti in poclii
anni centuplicarono le loro ricchezze, or dan-
dosi alla cultura della vite, or continuando
ad esercitare il loro mestiere in mezzo alla
scarsezza sempre crescente di non vignaroli*
Niente di più interessante che la psicologia)
di questa città, così rapidamente arricchita,
in cui l'antica borghesia, l'antico abitante v
annientato coi suoi usi, coi suoi costumi,
sotto la valanga dei nuovi venuti, emigrati
ivi d'ogni parte del mondo e d'ogni classe.
Come sempre accade, quando molti hanno
desiderio, diritto e possibilità di godere, senzu
una morale che fissi i limiti del godimento
318 KELLE ANDE
\
al punto da non danneggiare altrui, i desi-
derii cozzano fra loro e si difficultano a vi-
cenda ; la vita cittadina è molto agitata,
nettamente divisa in due partiti, che si sono
dichiarati guerra ad oltranza. Ciò è fatale;
fino a venti anni fa a Mendoza non vi era
che il nativo, il criollo, il quale commer-
ciava col Cile in carmenti ed in fieno, e vi-
veva tranquillo, immobile, nei costumi aviti
e negli aviti possessi. Il criollo amava la cac-
cia, la guerra, se capitava, ma sopratutto la
tranquillità ed il riposo ; il suo ideale era di
I^rodurre poco, ma di consumare anche poco.
Semplice nei costumi, sobrio, senza pretese,
non rapace, non gozzovigliatore, non moder-
nizzante, possedeva immensi territorii che
sfruttava pochissimo, ma che bastavano alla
sua vita. Precipitò ad un tratto su Mendoza
colla bazza del vino, una turba infinita di
forestieri, venuti da ogni parte del mondo
per far fortuna; erano costoro disposti a la-
vorare giorno e notte, ma essi volevano gua-
dagnare molto, godere molto ; nessun disagio,
nessuna fatica li spaventava, pur che alla
fine di essa ci fosse il dio dell'oro. Questi
forestieri rapidamente divennero ricchi, com-
I partiti a Mendoza 319
perarono le terre dai nativi i^riina che essi
potessero cambiare abitudini, sicché se questi
ultimi sono ancora territorialmente i più ric-
chi, sentono rapidamente diminuire la loro
ricchezza, la loro potenza. I criollos formano
il nucleo di un partito, i forestieri il nucleo
di un altro. I primi sono naturalmente ne-
mici dei secondi e li ostacolano come pos-
sono. La questione religiosa si è aggiunta
a dar colore ai due partiti. Il clero, che a
Mendoza è terribilmente forte, appoggia i
conservatori, i criollos; gli altri formano un
nucleo audace ed abbastanza forte di mas-
soni e di anticlericali, di liberi pensatori
forzati, perchè spesso anticlericali e massoni
e liberi pensatori sono ultracredenti. I due
partiti, feroci, inconciliabili tra loro, si fanno
una lotta a coltello. Si direbbe che tutti
sono affetti da delirio di persecuzione. La
conseguenza è che questi odii recìproci hanno
neutralizzato molti vantaggi del vivere in
una città. Le fauiiglie sono obbligate a man-
dare a Buenos Aires i figli per farli stu-
diare. Uua maestra mi disse che non riesce
a dar concerti fra gli allievi per l'impos-
sibilità di metter d'accordo i bambini ap-
320 NELLE ANDE
partenenti ai due partiti opposti. Volta a
volta l'uno o l'altro partito empie le scuole
di iusegnanti non capaci, per i>aura che i buoni
appoggino o possano appoggiare gli avversa-
rii. Il teatro finisce con lo star sempre chiuso
perchè è fonte di mischie continue, uscendo
quelli di un partito se entrano quelli del par-
tito avversario. Tutti stanno sul chi vive,
tutti si guardano in cagnesco, tutti si barri-
cano in casa; la rivoluzione cova in perma-
nenza sotto la cenere. La gente del partito A
esce dal giardino quando suona la banda che
è stata fondata dal partito B; tutti concor-
demente lasciano deserto il magnifico parco
che attornia la città, perchè è stato fondato
da un governatore che non piace al partito A
o al partito B.
Quali piaceri restano a quelli che vengono
in città per godere le ammassate ricchezze,
quando il godimento massimo che può offrire
una città, quello di vivere in società, quello
di discorrere, di lavorare, di godere insieme
ai proprii simili è tolto ? Il piacere, il giuoco,
il lusso. Questi mali necessarii, fatali, credo,
ad un i)aese rapidamente arricchito, devon'^
sparire rapidamente, come sono venuti, ce
1
Necessità deUa cultura 321
consolidarsi delle ricchezze attuali ; ma è ne-
cessario a ciò il formarsi di una classe colta
che incanali verso la cultura tutti gli elementi
sparsi capaci di godere in essa.
Noi, che abitiamo in un paese di cultura
forzata, ci immaginiamo sempre che l'istru-
zione, la cultura sia un mezzo utile a crearsi
una posizione, non mai una necessità sociale,
un piacere puro in sé e per sé senza secondi
fini. Questo invece dimostra luminosamente
PAmerica: che essa é per i più eletti un bi-
sogno così necessario come quello di bere o
di mangiare, e che solo quando diventa un
piacere per la maggioranza dei membri di
una società sostituendo i piaceri dei sensi, il
paese comincia a diventar veramente civile.
Avevamo già visto a f^aranà un negoziante
di vino, italiano, che, emigrato in America
dopo rovesci di fortuna, aveva dovuto abban-
donare i diletti studii di matematica e li pro-
seguiva ora solitario a Paranà in mezzo ai
fastidii della sua bottega e della famiglia:
sei figli che gli erano nati nel frattempo.
Altri ancora ne abbiamo incontrati in città,
n paesetti, in stazioni deserte, che coltivano
Iti' studii di musica, di filosofia, di storia,
Ferrerò. America del Sud, 21
322 NELLE ANDE
rt
di economìa politica, gente che non evitava
giornate intere di ferrovia per poter parlare
un'ora con noi, per posarci i problemi lunga-
monte meditati per anni nelle solitudini della
nuova vita. Anche a Mendoza questo fenomeno
si osservava: in mezzo alla gente occupata
solo nei piaceri egoistici, ogni tanto spuntava
un intelligente teorico, solitario, assetato di
studii. Tra gli altri, trovammo un salernitano,
certo signor Oarullo, che studia l'astronomia.
Egli ha fabbricato nella sua casa un pic-
colo osservatorio, ha fatto venire da Pa-
rigi i migliori telescopii, è abbonato a tutte
le riviste tecniche della materia. Alla sera,
finito l'ufficio, chiusa la banca, si divertiva
così a scrutare le stelle ed a seguirne le traiet-
torie, a girare di giorno fra i monti ed a stu-
diarne la geologia. A giudicar dalla gioia che
questo studio gli procura, si può argomen-
tare che il suo esempio sarà seguito.
Se Mendoza ed i suoi abitanti sono molto
interessanti, ancora più lo è la campagna
li attornia, sopratutto la catena grand
'•■'?^*
"^Lasvinasn S23
delle Ande che divide l'Argentina dal Cile,
il versante Atlantico da quello Pacifico del-
l'America Meridionale. Attorno a Mendoza
verso San Juan, verso le Ande non vi sono
più campi, non più prati, non più armenti;
le viti, separate le une dalle altre da un sot-
tile solco, fitte fitte come da noi le piante
del maijs, si prolungano all'infinito nel piano,
interrotte solo da bassi muriccioli di argilla,
che compaiono per la prima volta a limitare
le proprietà nella libera e generosa terra ar-
gentina. I viticci si inerpicano sui gialli rami,
lungo le tettoie delle strade ferrate, sui radi
alberi che s'innalzano nei campi. Dappertutto,
viti, viti.
La ferrovia transandina ci porta a 800 me-
tri sul livello del mare; le Ande biancheg-
giano vicine — anzi rosseggiano — colle loro
muraglie multicolori che si adergono le une
sopra le altre, ma i tronchi delle viti si al-
zano grossi e vigorosi come gelseti; attorno
alle viti — come attorno ai campi di Rosario,
e agli alfalfaros di Cordova — si addensano gli
alniacenes, ì paesetti, costituiti dai soliti ran-
% grandi appena pochi metri quadrati, spa-
ti sotto l'ampia tettoia di paglia che si
324 KELLE Aia>B
protende innanzi ad essi, e forma la parte,
in fondo, più importante della casa ; sotto la
tettoia, infatti, sta il letto, sotto la tettoia
il fuoco e la cucina, sotto la tettoia l'abitante.
Piove, — la cosa è rarissima, — tutti si guar-
dano costernati e ci assicurano che a Men-
doza passavano anni interi senza che si ve-
desse una goccia di acqua. Sono i lavori
idraulici fatti in questi ultimi tempi e la cam-
biata coltivazione dei campi che hanno con-
vinto, pare, le nubi a sciogliersi in pioggia
anche in questa fortunata terra del sole....
e noi non possiamo lagnarcene, noi che ve-
niamo dalla vecchia Europa, simbolo e sten-
dardo della civiltà ; tanto più che la pioggia,
allontanando i contadini dai campi, ci per-
mette di vederli meglio nella loro vita casa-
linga. Accoccolati in terra insieme alla nu-
merosa famiglinola, gli uomini fumano sotto
la tettoia, i bambini dormono, le donne sor-
bono il mate attraverso la tradizionale hom-
hilia di argento, tenendo stretto al seno, per
mezzo dello scialle nero che ne avviluppa
tutta la persona, il bambino lattante; altre
donne stanno facendo la cucina. Neaii.'
preparare i cibi obbliga le massaie ad a
Il '^ campesino „ nel suo ** rancho „ 325
donare la posizione favorita; anche il fuoco
sta acceso sotto la tettoia all'aria libera,
come da noi nei prati di autunno. Sopra il
fuoco ora una pentola a tre piedi, in cui
bolle il tradizionale puchero (specie di lesso),
or un'asta di ferro infissa al suolo in cui è
infilato un grosso pezzo di carne, Vasctdo a Vasa-
dor (arrosto allo spiedo); la donna non fa
altro che alimentare il fuoco colle cannuc-
cìe collocate in mucchio a portata della sua
mano.
Accanto al fuoco, una teiera in cui bolle
continuamente l'acqua per la yerla. Dietro
ai rmichoSy delle piccole montagnette di terra
cruda, simili ad immensi formicai ; sono i
forni in cui si cuoce il pane od il ììiaiz,
che qui si mangia in grani abbrustoliti nel
forno. Nessun vocìo, nessun movimento; i
co/mpesiìws che vediamo attraverso i vetri della
ferrovia sembrano silenti ed addormentati;
solo i cani latranti all'insolito rumore dan
segno di vita.
Ma ecco che le i)rime catene di montagne
'^^minciano a disegnarsi all'orizzonte. Non
io le nostre Alpi e nemmeno le nostre col-
e; alte elevazioni di terreno dalle forme
896 NELLB AHDE
^^
strane, esse lasciano scorgere ad occhio nudo
le stratificazioni donde originarono i metalli
di cui sono composte. Il signor Giovanni Oa-
rullo, il banchiere geologo, astronomo, di cui
parlai più sopra, ci fa osservare la strana con-
figurazione di queste montagne. Si vedono di-
stinti in esse : strati di pietre minute rotonde,
in mezzo a cui si trovano splendide conchi-
glie fossili, depositate evidentemente dal flusso
del mare; e strati calcarei, ferruginosi, ra-
macei depositati dalle acque del fiume, che
non è riuscito ancora a triturare e conglome-
rare gli strati sottostanti.
Un alto strato di questi ciottoli tappezza an-
che le rive del Rio Mendoza, sopra cui il no-
stro treno serpeggia velocemente.
A queste montagne in formazione, donde
ogni tanto parte un rumore secco di piccola
valanga che cade, seguono montagne grani-
tiche, tutte dì un blocco, ora di marmo ro-
seo, ora rossiccio, ora azzurro cupo, ora giallo
d'ocra. 01 dicono che in queste montagne si
trovano miniere di carbone, di ferro, di rame,
di petrolio. Nella pianura di Mendoza, c^ '•^'*-
contano dei vignaiuoli che non è raro,
correndo i solchi colla marra, di attr
La Cordigliera delle Ande 327
dalla terra un esercito di pietruzze di ferro
calamitato; gli strani colori che pigliano,
volta a volta, le rocciose montagne, fanno
fede anche ai più ignoranti dei preziosi tesori
nascosti nelle viscere della Cordigliera.
Ma non è dalla profondità delle miniere
che l'Argentina trae le sue ricchezze: le
montagne si alzano integre e superbe al
cielo, turbate solo dalle ali degli immensi
condor che vediamo volar in alto sulle vette
come gli D«i del luogo, mentre nelle valli,
fra i chanas — specie di lichene gigantesco,
che solo cresce nelle pietrose vallate — i
neri struzzi, dalle lunghe gambe, corrono in-
disturbati insieme agli armenti selvatici dei
timidi guanachi dagli occhi di cammello, don-
de i nativi tolgono l'impenetrabile lana dei
loro ponehos.
Ma lo spettacolo più bello, più meravi-
glioso, comincia a Uspallata, che io chiame-
rei il « nodo delle Ande ». Attorno a noi una
cerchia immensa di montagne altissime dalle
forme strane si diramano a catena. Ma la
cerchia non ci serra. Noi vediamo le vallate
e dividono le montagne. Dinanzi a noi, a
00 metri sul livello del mare, sta una pia-
328 KELLB AKDE
nura immensa, larga tre o quattro chilometri,
che si estende, ci dicono, con una lieve in-
terruzione fino alla lontana Bolivia; dietro
a noi lo stesso altipiano si estende a perdita
di vista, e, come ad un immenso lago, conven-
gono a questa spianata altre estese spianate
sormontate da altre catene di monti. Ad
ogni volger di occhi, ad ogni volger di strada
lo spettacolo cambia. Il sole ha cominciato
a brillar lucidamente appena superate le
prime catene, il cielo è azzurro, il vento è
profumato dalla arilla, specie di timo campe-
stre che cresce in queste lande deserte e che
ha la strana proprietà di volger costante-
mente le foglie ad ovest, ed est, servendo di
bussola ai montanari.
Davanti alla stazione di Uspallata, centro
oltreché della rete ferroviaria transandina
anche della stazione mulattiera, i coraggiosi
troperos, che affrontando il rigore del freddo
e della tormenta invernale, costituiscono il
solo legame che durante l'inverno unisca il
Cile all'Argentina, stanno caricando i loro
muletti. Alti, neri, magri, con un capnello
grigio a larghe falde, un poncho giallo
ghe verdi infilato come un càmice sc^
aV* j
La partenza dei " troperos „ 329
spalle per un'apertura mediana, un fazzoletto
a righe bleu attorno al collo, essi sembrano
davvero i gauchos della pampa di cui si rac-
contano fantastiche storie. Gli alti calzari,
che rimontano fino al ginocchio, sono quelli
che usavano i gafoclios dei secoli passati, la
pelle cioè di una gamba d'asino, scuoiata tutto
d'un pezzo sopra la coscia e cucita in fondo
soltanto sotto la pianta del piede. Per sella
una pelle di pecora, per staffe degli enormi
zoccoloni di cuoio foderati all'interno con
pelle di pecora, per arma uno stilo infisso
alla cintura in un fodero di cuoio, un lazo o
lunga corda terminante in un'asola, inarcata
sulla sella, per difendersi contro il lupo e il
leone delle Ande, e una cordicella terminata
in due pesanti piombini per abbattere e pi-
gliare lo struzzo — molto frequente, specie
nella Oordigliera preandina.
I troperos sono pronti, la posta anch'essa
è già chiusa nelle piccole sacche di cuoio
che la difenderanno dalle intemperie; cia-
scuno chiama, rincorre il suo mulo che sta
libero nella campagna, lo afferra, gli avvoltola
iorno alla testa un leggero poncliOj perchè
lasci caricare sen^a protesta, e comincia
:)3'> NELLE ANDE
»^
a le<i:are i sacchetti sopra e sotto alle sacche
di laua a vivi colori, in cui stanno le prov-
viste da bocca. Caricati i mali, i troperos tutti
assieme si incamminano in lunga fila indiana
per l'altipiano ghiaioso, seguiti da una muta di
cani lanosi come pecore, ringhiosi come lupi
affamati. Dai piccoli raiichos^ che formano il
pnchlito attorno alla stazione, da quelli lon-
tani sulle alture, altri cani rispondono, mentre
alcuni bambini dai capelli neri come il car-
bone, dalle guancie olivastre, metton fuori
timidamente il musetto, incerti fra il de-
siderio di vedere Punico spettacolo giorna-
liero e la soggezione di trovarsi in mezzo a
tanti signori, così radi in quelle roccie ab-
bandonate.
Partiti i corrieri, tutto ritorna silente nella
petraia rosseggiante. Il vento soffia senza si-
bili in mezzo alla immensa vallata e l'acqua
limpida del rio corre placidamente nell'alti-
piano appena scosceso.
A 25 chilometri di distanza la ferrovia
passa al Ponte dell' Incas, che è una delle
meraviglie della natura.
Il ponte dell' Incas, che segna forse il passo
da cui gli Incas penetrarono nella pianura
^FW '^j
La ferrovia transandina 331
Argentina, è un ponte naturale, di conglo-
merati cementati da depositi calcari che fil-
trano attraverso le roccie dalle acque ter-
mali che nascono poco più sopra e cadono
in cascatene nel ruscello della Gu&vas, e for-
mano stalattiti stupende pendenti dal ponte.
Al ponte delPIncas, termine antico della fer-
rovia transandina, si sono costruiti alberghi
pei passeggieri e case pei malati che ven-
gono Testate per la cura delle acque termali ;
si è formata una piccola città, che potrebbe
prendere l'importanza che ha in Europa
Saint-Moritz o Lucerna. Ma la fortuna della
ferrovia transandina volge al declino. Per più
di sei mesi all'anno il treno non giunge che
a pochi chilometri da Mendoza, a Oacheuta,
dove vi è un altro stabilimento di acque sol-
forose. Non credo che la colpa sia tutta del
freddo.
Quando Mendoza produceva armenti, essa
aveva bisogno del Cile, che ne era il natu-
rale compratore. Non producendo ora che
vite, essa è un concorrente nei prodotti del
'^ile, che primo V introdusse nell'America Me-
iionale, non ha quindi interesse a mante-
^re e sfruttare la sua ferrovia. I rapporti
IVÒ'J NELLE ASDE
1
tesi tni r Argentina ed il Cile disinteressano
le due nazioni da questa ferrovia, che sa-
Tvhhe di massima utilità a tutti gli Stati del-
l' America Meridionale, i cui abitanti sono
ora costretti, se vogliono passare da uno a
un altro versante, ad andarvi per la lunga
e i)er5 Golosa via di mare invece che per que-
sto comodissimo valico transandino. Per que-
sto la ferrovia non sarà mai definitivamente
costrutta, a testimoniare che non dal pro-
gresso industriale, ma dall'interesse naturale
(lil)(»nde la fortuna dei più meravigliosi con-
gegni che l'uomo possa inventare*
VI.
La questione della donna
nell'Argentina.
È invalso ormai in Europa l'uso, venuto in
parte dal Nord- America, di misurare la evo-
luzione della donna dalla sua, mi si perdoni
la parola, mascolinizzazione, dalla frequenza
e dalla possibilità cioè che essa ha di eser-
citare una professione maschile.
Da questo punto di vista la donna argen-
tina, contrariamente a quanto si crede, occupa
una situazione addirittura di primo ordine.
Ho conosciuto a Buenos Aires una quarantina
di medichesse che esercitano la medicina,
la chirurgia, la odontoiatria, la antropologia,
la ostetricia; ho assistito nelP Accademia di
ledicina ad una seduta presieduta da una
mna ; ho visitata a Buenos Aires una scuola
3dl LA QrESTlO!^ DBLLA JiGSSA VELL*ABGK5TIKA
di infermeria e di massaggio fondata e di-
retta da una donna, la Grierson ; ho ascoltato
in molte occasioni discorsi pronunciati da
donne laureate o patentate e ho provata su
me stessa la valentia della Sarah Justo, una
dentista argentina. Una ventina infine di stu-
dentesse in lettere mi hanno offerta a Buenos
Aires una pergamena-ricordo, ed un centinaio
di studentesse inscritte nelle varie Facoltà di
La Piata mi hanno offerto una grande me-
daglia d'oro. Ma v'ha di più ; ho udito nelle
case della musica composta ed eseguita da
signorine argentine, ho osservato una meda-
glia guadagnata sul campo di battaglia dalla
dottoressa Eawson Delle Piane, ora dolce
mamma di sei bambini : ho letto dei racconti,
delle poesie, dei libri scolastici, dei romanzi,
degli articoli, degli studii scientifici, dei ma-
nuali di medicina pubblicati da donne argen-
tine, ho ammirato nelle piazze, nel Parlamento
di Buenos Aires, nel monumento commemo-
rativo dì Tucuman delle statue e dei basso-
rilievi scolpiti da Lola Mora, una scultrice
argentina, ed ho saputo che l'amministra:?;ione
di tutti gli ospedali e le opere di beneficenza
della Repubblica sono in mano delle donne ;
1
■k
Fregtienza delle professioniste 335
ho assistito a Buenos Aires a una seduta
del Consejo Nacioiml de las Mujeres^ dove si
discutono tutte le questioni che interessano
la donna.
Se nella Eepubblica Argentina la donna
vuole quindi mascolinizzarsi, tutte le vie le
sono aperte, e non teoricamente soltanto,
perchè le donne laureate che ho conosciuto
mi hanno dichiarato di non aver trovati
ostacoli scrii né durante gli studii, né nella
carriera da parte dei compagni e dei colle-
ghi maschili, — cosa che non possono vantare
tutte le donne dell'Europa, — e perché la pa-
tente, anziché un ostacolo, sembra una fa-
cilitazione al matrimonio, la maggior parte
delle donne laureate che conobbi, avendo fa-
miglia.
Malgrado ciò, una differenza notevole esi-
ste nella situazione della donna in Argentina
in confronto a quella della donna in Europa,
non in riguardo alla sua condizione personale,
ma riguardo alla sua posizione sociale. In
Europa la donna, dalla nascita alla morte,
partecipa sempre della vita dell'uomo, padre,
rito o figlio con cui vive congiunta. In
npagna noi vediamo i contadini lavorar
336 LA QtTBSTIOKE DELLA DONNA NELL'abGENTINA
la terra colle loro donne, come vediamo nelle
piccole industrie casalinghe la donna aiutare
il marito a far corda, tela, scarpe o cappelli.
Nelle classi superiori, nella scienza, nell'in-
dustria, nella letteratura, persino nella po-
litica e nella fede, noi vediamo la donna,
madre, figlia, moglie, sorella, essere l'inspi-
ratrice, la consigliera, la sostenitrice, » l'asso-
ciata del marito, del padre, del fratello, del
figlio.
Dall'alto delle tribune, dal tavolo del suo
lavoro, dalla cassa della sua bottega, dal capo
del proprio desco, la donna esercita una de-
cisiva, capitale influenza sulla sua famiglia,
sul suo paese, e la esercita non in antago-
nismo, ma congiunta all'uomo. Come emblema
ufficiale di questa importanza che ha la donna,
voi vedete in Inghilterra, in Olanda, una re-
gina sul trono, in Russia la czarina aprire
insieme con lo czar la prima Duma russa, e
la regina d'Italia seder accanto al marito nei
ricevimenti ufficiali.
Una specie di reciproca paura pare invece
innalzare in Argentina una barriera insor-
montabile fra uomo e donna. Nelle case come
nelle strade, nei banchetti come nei pubblici
j
Barriere fra uomo e donna 3,37
passeggi, nei teatri come nelle scuole, per
tacita reciproca intesa, l'uomo si tiene sem-
pre a rispettosa distanza dalla donna. Il fatto
che colpisce di più lo straniero che percorre
a piedi Buenos Aires, sia nelle strette vie
centrali, Corrientes, Florida, Esrìwralda^ in cui
gli uomini si accalcano frettolosi, più fitti
che nelle strade più frequentate di Londra,
sia nelle grandi avenidas, in cui tramSy vetture,
automobili, si incrociano nelle loro corse sfre-
nate; è la mancanza di donne.
Nei trams qualche savia massaia accompa-
gnata da una nidiata di figli, qualche donna
del popolo, qualche ragazza che torna da
scuola guardata a vista dalla sua fida came-
riera; nella strada neanche tanto. E come
voi non vedete le donne nelle strade, così
non le vedete nei pranzi, non le vedete nelle
riunioni, nei caffè, nelle case, nelle sale, là
dove voi trovate degli uomini. Nel teatro
esse sono ammesse in ogni parte, però hanno
una galleria a loro riservata se non vogliono
mescolarsi agli uomini (la cazuela).
Nei pranzi famigliari le donne sono am-
messe a tavola insieme agli uomini, ma esse
'fficilmente prendon parte ai loro discorsi.
Ferrerò. America del Sud. 22
3.'i8 LA QUESTIOin DELLA DONNA HELL'aBGENTINA
Che un marito pensi a portare la propria mo-
glie ad un pranzo ufficiale non diplomatico
— in diplomazia si continuano gli usi inter-
nazionali — parrebbe idea da pazzo. Gli stra-
nieri stessi venuti dall'Europa recentemente,
non osano infrangere questa tradizione che
è osservata come un rito. Una signora euro-
pea che risiede a Buenos Aires mi disse che
parecchie volte fu invitata da Europei a
pranzi ufficiali con suo marito, ma alPultimo
momento un messo giungeva sempre fretto-
loso a scusarsi ed a dirle impacciato che
i soci non osavano pigliarsi una tale re-
sponsabilità. Io ebbi parecchi pranzi e ricevi-
menti ufficiali datimi dalle signore argen-
tine, dalle studentesse argentine, dalle mae-
stre argentine.... ma allora eravamo tutte
donne. Due volte sole io assistetti nella Re-
pubblica Argentina ad un pranzo ufficiale, a
Santiago dell'Estero e a Santa Fé. A Santiago
ero sola, a Santa Fé vi erano anche altre si-
gnore, però esse erano come me separate da-
gli uomini da una cancellata in legno.
Più scandalosa ancora sarebbe l'idea che
una donna si interessasse della vita pul
Giunti a Buenos Aires, mentre alla 0;
Wh
Barriere fra moglie e marito 839
■ ■ ..II. g '
dei Deputati si stava discutendo la legge sul
lavoro delle donne e dei fanciulli, chiesi alla
moglie di un deputato che aveva a fare un
gran discorso, se potessi accompagnarla ad
udire una parte della discussione. La signora
mi guardò meravigliata come se io le avessi
domandato di andare nel sole o nella luna»
Suo marito era deputato da più di trentanni,
era capo anzi del partito liberale, uno dei
più grandi oratori del Parlamento Argentino,
ma alla signora non era mai balenata l'idea
che ella avrebbe potuto varcar le soglie della
Camera per ascoltare un suo discorso, come
non era mai balenata, del resto, ad alcun'altra.
La divisione che esiste in genere fra uomo
e donna, non si attenua neanche col matri-
monio. A teatro non è raro veder il marito
e la moglie in due palchi differenti, lui con
degli amici, lei con delle amiche ; ma è molto
difficile veder marito e moglie soli nello stesso
palco. Mi fu detto che una moglie che vada
sola col marito a teatro non accompagnata
da altre signore, è rimarcata come se facesse
"na eccentricità. Una volta che io, non
otta degli usi, non avevo preparata una
inpagna per andare ad assistere con mio
fUO LA QCBsnONC DELLA DOSVA HKLl'aBGKSTIKA
marito ed alcani amici ad una rappresenta-
zione in teatro, dovetti alle otto di sera la-
vorar di telefono e di automobile per procu-
rarmela. Quando io e mio marito dovevamo
fare ufficialmente la stessa strada, la stessa
visita ad un ospedale, ad una chiesa, ad una
scuola, sempre avevamo due commissioni di-
stinte, una di uomini, l'altra di donne, che
ci conducevano per due vie diverse. Perfino
alla sera tornando dalle conferenze, dal tea-
tro, da un ricevimento, trovavamo quasi sem-
pre due vetture, due commissioni, due amici
di sesso dift'erente che ci aspettavano i)er ri-
condurci a casa.
Marito e moglie si amano spesso anche qui
come due colombi, tanto quanto in Europa,
l)erchè l'amore non conosce limiti di leggi
nò di costumi, ma essi hanno sempre cura
di nascondere il loro aftetto, il loro interesse
reciproco ; per gli estranei, essi devono essere
quasi due estranei.
Questa è la cosa da cui sono stata colpita
nell'Argentina maggiormente, come viceversa
l'unione patente che esiste in Europa fra ma-
rito e moglie è la cosa che colpisce d
l'Argentino che viaggia in Europa.
Fusione dei sessi in Europa 341
Il Bojas, un letterato argentino assai in-
telligente che vedemmo al nostro ritorno, ci
raccontava che il fatto che l'aveva più me-
ravigliato nel vecchio continente era stato
questo. Giunto a Londra con una lettera di
presentazione per un professore di storia, egli
si era recato con grande premura da lui per
schiarimenti di cui necessitava. Quale fu la
sua sorpresa nel vedere giungere dopo pochi
minuti, invece del professore, una signora,
la moglie. In assenza del marito, la moglie
aveva aperta la lettera e poiché il marito
doveva restar fuori parecchio tempo, gli aveva
preparata una presentazione per un altro
professore che l'avrebbe potuto egualmente
aiutare.
L'idea che una moglie possa leggere una
lettera di presentazione diretta al marito,
che ella possa presentarsi così, senza cono-
scerlo, ad un forestiero, e più ancora affi-
dargli una lettera per una terza persona,
ecco tre atti che il letterato argentino tro-
vava straordinariamente ed assolutamente
imprevedibili ed inattesi.
Oi dissero che si può andare in Argentina
mti anni in una casa, essere amico d'in-
rv
342 LA QUESTIONE DSLLA DONNA NELL'aBGENTINA
fanzia del marito^ pranzare ogni sera con
lui al cUiò e non conoscere assolutamente
né la moglie né la figlia, e ciò non perchè
l'Argentino sia geloso, ma perchè come il ma-
rito non si crede in dovere di confidare alla
moglie i proprii studii, le proprie aspirazioni,
le proprie idee, così troverebbe fuori di luogo
di presentarle i proprii amici, i proprii col-
leghi. Accade qualche volta in Argentina che
il marito guadagna, perde, vende, compera,
cambia mestiere, va in rovina senza che la
moglie ne sappia niente. Non è raro che la
moglie di un estaiieiero ignori le modificazioni
che il marito ha introdotte nella estcmcia, dei
cui redditi tutti e due vivono, o che la mo-
glie di un deputato si disinteressi di ciò che
il marito sostiene alla Camera, e che qualche
figlia appena conosca le cariche pubbliche e
private che ricopre o ricoperse il padre.
Lo stesso accade della moglie rispetto al
marito. La moglie può farsi atea, protestante,
mandare le figlie dalle monache o dai mas-
soni, far parte di amministrazioni da cui il
marito è stato cacciato, senza che il marito
spesso né sappia, né pretenda saperne n^'
Quando a Buenos Aires recitò la Dusw.
J
Dualismo della vita argentina 343
venne un fatto caratteristico a questo pro-
posito. Figurava sui cartelloni-programma,
fra gli altri drammi che la Duse avrebbe
rappresentato, VAhbesse de Jouarre di Benan.
La Duse aveva già cominciato da qualche
giorno a recitare, quando si presenta dall'im-
presario una commissione di dame che lo
pregano di radiare VAbbesse dal programma,
minacciando di boicottare in caso contrario
il teatro. L^impresario cede; ma appena VAìh
Tiesse è cancellata, ecco presentarsi all'impre-
sario una commissione di signori i quali re-
clamano e chiedono spiegazioni sulla radia-
zione della commedia promessa. Ora ci fu
detto che molti degli uomini che facevano
parte della seconda commissione erano i ma-
riti delle donne che avevano fatto parte della
prima, e che gli uni non sapevano nulla delle
altre. Non garantisco il fatto, ma il dirlo è
già caratteristico degli usi correnti.
Questa situazione della donna ha nel paese
una influenza molto maggiore che non si
creda. Ho detto che in Argentina la donna
non si vede mai, che essa è sempre separata
U'uomo; ma con questo non ho detto che
laa non conti^ tutt'altro ) in nessun paese lo.
344 LA QrESTlONB PELLA DONNA NKLl'aBGKNTINA
donna compare meno ed agisce di più che in
questa Bepubblica, se non che essa agisce -per
lo pifi non associata, ma in antagonismo col-
l'uomo della cui famiglia fa parte. Non solo
essa ha qui in mano tutti gli ospedali e tutte
le opere di beneficenza, ma essa agisce forte-
mente anche sulla vita politica, di cui appa-
rentemente tanto si disinteressa.
L'uomo non discute colla propria moglie,
ma la moglie ha dei desideri!, e il marito, non
potendo sempre negare, cede qualche volta,
molto più spesso che egli non creda, poiché
la donna è più tenace che l'uomo, e quando
cede, lo fa in modo completo. — Così accade
che con sorpresa un deputato qualche volta
si accorge di aver proposto e fatto approvare
leggi che sono in contraddizione colle sue
idee, colla sua vita, che è incapace di abro-
gare o fare abrogare, come l'uomo privato
si accorge qualche volta di aver lasciato al-
levare o fatto allevare i figli in modo assai
differente da quello che egli desiderava.
Anche da noi avviene spesso che ci siano an-
tagonismi in famiglia fra marito e moglie, fra
madre e figlio, anche da noi la moglie è sp
(5lericale ed il marito socialista, ma la^mO;
wWk
Condizione antisociale 346
non può mai non essere influenzata nella
organizzazione nostra, un poco dalle idee del
marito, come viceversa il marito non può mai
non essere influenzato un poco dalle idee
della moglie; per questo Puomo nella vita
pubblica europea sempre esprime le idee non
degli uomini soli, ma la risultante delle pro-
prie idee, modificate già da quelle delle donne
con cui sta a contatto; sarà un socialismo con
qualche idea clericale, un clericalismo con
qualche idea socialista, ma è sempre una ri-
sultante. L^ influenza reciproca a poco a poco
fonde le divergenze, ne risulta un insieme ab-
j bastanza stabile ; qui invece le due influenze
> agiscono a scatti, saltuariamente, contraddi-
I toriamente.
Questa condizione dell'uomo rispetto alla
donna e della donna rispetto all'uomo è non
I solo antinaturale, ma anche antisociale. Molti
' mali, di cui la Repùbblica sofl're, derivano da
ì questa dualità, da questo abbandono in cui è
I lasciata la donna, che si riflette nella dualità
I di tutta la vita argentina, nella contraddi-
j zione continua della sua vita politica, scien-
j fica, letteraria, familiare. Abbandonata a
I 5y la donna manca alla sua funzione di mo-
346 1.A QUKaiIONB DXLLA DONNA NELL'aROENTINA
deratrìce della vita, ed invece di completare
Puomo, lo neutralizza con grave danno di en-
trambi.
Quante volte ho pensato, attraversando
l'Argentina, che questa dualità di cui la
Repubblica soffre e che essa va eliminando
così coraggiosamente per mezzo delle sue
femministe, noi l'andiamo importando in Eu-
ropa per mezzo delle femministe nostre. I
primi sintomi sono comparsi in Europa da
un pezzo; invece di seguire il movimento,
diremo unionista, cominciato colla Rivolu-
zione Francese che tendeva a fare entrare
le donne nei salotti, nelle scuole, nelle asso-
ciazioni maschili, si lavora per separarle di
nuovo cercando di fondare per le donne delle
copie di istituzioni maschili. In Inghilterra,
in Germania ed anche in Francia, la rocca
forte dell'unionismo, si sono fondati dei cluhs
femminili, si sono indette delle gare femmi-
nili di tennis, di 'bridge, si sono aperte scuole
femminili con programmi maschili, si sono
discussi congressi femminili; infine, in^
(li obbligare gli uomini ad essere cortesi ""
r
Errori del femminismo 347
signore, ad essere i loro paladini, si è otte-
nuto di difendersi da essi, ponendo dei riparti
femminili, che da noi si ^ono fermati ai treni,
ma che a New- York mi si dice si sieno ot-
tenuti anche nei trartis e perfino nelle panche
dei giardini pubblici.
Questo allontanamento della donna dalPuo-
mo credo segni un regresso ben profondo, che
il guadagnato aggruppamento femminile non
basti a compensare. Se la natura ha affidato
alla unione dei due sessi il più prezioso dei
suoi privilegi, quello della rinascenza, antina-
turale è il cercare l'evoluzione femminile at-
traverso alla separazione dei sessi, e peggio
ancora alla mascolinizzazione della donna di
cui la separazione dei sessi sarebbe il fatale
corollario. L'unione della donna e dell'uomo
è possibile appunto per questo: che gli uo-
mini sono differenti dalle donne e che i loro
interessi sono quindi convergenti. Se la donna
diventasse simile all'uomo, i loro interessi
divergerebbero e l'unione familiai*e non avreb-
be più ragione di esistere. Appunto per que-
sto, per aiutare l'unione con ogni sforzo,
natura ha teso, fin dai primordii della
^azione, a differenziare i due ^cssi : piante,
34H LA <iUP.STH)NE DRLLA DO^KA NELL'ARGENTINA
animali, uomini. Essa ha marcato tanto pili
fortemente la diflFerenza, quanto più si pas-
sava da esseri semplici ed imperfetti ad ani-
mali comi)lessi, e negli uomini alle razze più.
evolute.
Il cercare di unificare tutte le tendenze
fisiche, psichiche ed intellettuali della donna
sul modello dell'uomo, del resto, non è solo
antinaturale, ma è anche poco lusinghiero.
Io non credo che la donna sia eguale al-
l'uomo, ma neanche vedo in che cosa l'uomo
le sia superiore. Non vedo in lui alcuna per-
fezione tale che meriti da proporselo come
ideale, da cercare di imitarlo. Non è imitando
Omero che Dante ha fatto un poema che
eguaglia quello del suo antecessore, come
non è imitando Rossini che Wagner l'ha
pareggiato. La donna, essendo organicamente
differente dall'uomo, se vuole eguagliarlo non
deve mai mettersi nella rotta maschile, ma
tracciare solchi vigorosi e profondi nella pro-
pria, perfezionando le qualità che le sono
proprie, le quali possono, appunto percli^^. dif-
ferenti da quelle maschili, render all'uma-
nità quei servigi che l'uomo non le potri
dare, e facilitare la fusione dei due sessi
funzione economica della donna 349
esiste armonìcia in tutta la natura. Non è
mascolinizzandosi né tentando di raggrup-
parsi in associazioni antagoniste ed eguali a
quelle maschili, che la donna lentamente nei
secoli scorsi è andata acquistando quei pri-
vilegi (il matrimonio, l'esonero dei pesi più
brutali della vita, ecc.), che a torto le fem-
ministe moderne disprezzano con tanto ru-
more, ma dimostrando col fatto agli uomini
che le virtù, femminili, la prudenza, la pa-
zienza, la costanza, la pertinacia, la pro-
bità, la cura della casa, l'economìa, possono
rendere alla famiglia ed alla società altret-
tanti servigi che l'ambizione, l'orgoglio, la
forza, l'energia, la generosità dell'uomo.
L'uomo ha cominciato a stimare la donna
quando si è accorto che essa gli poteva
rendere dei servigi preziosi, quali egli non
avrebbe mai saputo né potuto conseguire
senza di lei, quando si è dato conto che se
all'uomo spetta la creazione della ricchezza,
alla donna spetta il mantenerla, che la na-
tura ha affidato alla donna la conservazione
dei suoi tesori, come le ha affidato la con-
ervazione della sua specie. E questa fu-
ione dell'uomo colla donna, questo rispetto
B50 LA QUESTIONE OELLiL DONKA KELL^AKGEKTINÀ
reciproco basato sulle reciproche qualità, av-
venuto in questo ultimo secolo, ha avuto nel
mondo i più benefici effetti. Non è già l'uomo
ma la donna che nell'Europa, infinitamente
pi il sterile dell'America, raccoglie ogni giorno
quei capitali che vengono investiti in ogni
paese del nuovo e del vecchio continente, e
non a caso il paese più ricco del mondo è la
Francia, dove le donne sono più industriose
e più strettamente unite all'uomo nell'indu-
stria, nell'arte, nella casa, nella politica.
Questa industriosità, questa parsimonia che
rendono così preziosa la donna in Europa,
mancano molto alla donna argentina delle
classi popolane. Assai meno influenzata che
l'uomo dall'elemento europeo (l'emigrazione
essendo dappertutto quasi completamente ma-
schile), l'argentina non sa rendersi bastante-
mente utile al suo compagno di vita, essa
continua fatalmente un po' troppo le tradi-
zioni delle Indiane dell'America, che per molti
secoli sono state l'unico elemento femmx.
della colonia spagnuola. Se voi trovate
m
Le arti femminili B5l
gallina, un orto, un frutteto, state pur sicuri
che ivi è un emigrante europeo, ci dicevano
i Buenos-airensi quando stavamo mettendoci
in viaggio ; quando noi siamo stati in grado
di controllare l'asserto, abbiamo dovuto con-
venire che esso era esatto.
Nei ranchos abitati dai criollos, che voi in-
travedete specialmente lungo le ferrovie se-
condarie, voi non vedete che donne accocco-
late, intente a fumare la pipa, a sorbire il
ifìiate. Nessuna industria popolare femminile
nei paesi da noi visitati fuori che a Tucuman,
dove le donne si occupavano a preparare il
pasto, a lavare i panni ed a raccogliere la
canna di zucchero. In genere la donna criolla
del popolo non lavora, non cuce, non lava,
non tesse; la cucina si riduce per lei ad ar-
rostire la carne o a farla bollire ; la minestra
non è conosciuta che dagli Italiani e il pane
si mangia in pochissima quantità; il vestito
tradizionale è uno scialle immenso per le
donne che le copre tutte ; un poncìio che non
richiede esser cucito, per gli nomini.
Le arti di fare economia, di raccoglier le
utta, di farle seccare, di coltivare i legumi,
fare delle conserve, le son quasi sconosciute ;
352 LA QUESTIONE DELLA DONNA NELl'aKGENTIN4.
come le sodo afiatto sconosciute le arti di
rammendare, di rattoppare, di conservare i
cenci, di aguzzare l'ingegno per risparmiare
e guadagnare qualche centesimo.
Il direttore di una cartiera ci diceva che
le cartiere americane devono far venire i
cenci dall'Europa, perchè non si può nel nuovo
mondo indurre le donne a raccogliere pazien-
temente gli stracci come si fa nelle città eu-
ropee. Negli alberghi voi trovate molto so-
vente lenzuola, tovagliuoli coi buchi, mai ne
vedrete uno rattoppato. La carta che si getta
ha sostituito, dappertutto dove è possibile, la
stoffa che si lava e si stira: tovaglie, tova-
gliuoli, sacchetti, tutto è di carta.
Non è difficile immaginare come l'uomo,
abituato a non servirsi della donna in casa,
si sia abituato a considerare in genere la
donna come un oggetto di lusso, incapace di
rendergli dei servigi, incapace di partecipare
alla sua vita intellettuale e morale.
Le femministe argentine hanno capito ciò.
Troppo impregnate dell'ambiente maternale
in cui vivono per volere mascolinizzare le
proprie sorelle, troppo assetate di det
di imparare per diventare pedanti, e^.
Scuola del Focolare 353
^*■
m'
iiii':|
frfi! sono date conto che nelle classi basse al-
ODj^ri meno la donna, imparando le a-rti femminili
n<pi europee, potrebbe allargare assai la propria
influenza; esse hanno istituito delle scuole
lifffij professionali dove la donna ricca e povera
m'- possa imparare e rendersi pratica in tutte le
ie!ii»f piii svariate arti femminili; una delle più
apjj/ autorevoli di esse, anzi, la dottoressa Grier-
son, ha aperto a Buenos Aires una escmla de
^ Vhogar (scuola del focolare) ove si insegna
insieme al cucito, alla stiratura, al rammendo,
'^^^ la cucina, l'economia domestica, la materno-
»iJe,i logia, il modo di trattare i bambini, di cu-
j^jj rarli, ecc.
Notate poi che questo movimento femmi-
,0 nile avrà anche un altro inaspettato effetto y^
j^ buonissimo per l'Argentina, quello di fondere I
|j le razze, come da noi ebbe quello di fondere |
^ le classi. %
Quando la donna lavora, essa non lavora %
mai sola ; essa ha bisogno di aiuti ; il lavoro |!
femminile è sempre collettivo, è composto 1
sempre di parti intellettuali e di parti ma- |
nuali. Quando le donne della società eie- %
vata pigliano gusto al lavoro ed all'economia |
domestica, esse necessariamente associano a |
Ferrerò. America del Sud. 23 ^^
ff
:r»4 LA Vl^'J>TI(»NE DJiLLA DOSN'A NELl'aB CENTINA
questo lavoro delle altre donne inferiori per
ingeioio o per posizione sociale; da questa
associazione momentanea nasce la simpatia^
l'armonia delle classi. Mai come ora le classi
sono state dissociate in Europa malgrado le
cadute barriere sociali, appunto per questo,
l)erehe la donna intelligente avendo abban-
donato a<»li industriali gran parte delle sue
funzioni, manca ora quell'intima unione della
donna colla ancella, la contadina, la lavorante
che esisteva negli altri tempi, e che va rina-
scendo ora grazie alla istituzione del larvoro
femminile iniziato in Italia dalla contessa
Gavazza e dalla Savorgnan di Brazzà che cer-
carono, con una forma nuova e moderna, di
dar vita all'antica abilità ed all'antica intel-
ligenza femminile.
Quando io stavo per partire da Buenos
Aires, il Parlamento stava discutendo una
legge nella quale si trattava di eguagliare
giuridicamente la donna all'uomo, perchè per
quanto erediti in egual misura che l'uomo, la
donna è ancora in genere nelle leggi trattata,
a quel che mi dissero, alla pari dei mente-
catti, degli interdetti, dei minorenni. Ma nr~
tanto le leggi come la direzione del mo^
Squarciando il futuro 355
mento femminista, mi dà fede che la donna
argentina sta per cambiare di situazione so-
ciale per sorpassare forse di un tratto la po-
sizione ambigua della donna europea moderna^
entrando di fatto in quel giusto mezzo cui
aspira l'umanità.
Pine.
I
«
I
n
1
INDICE.
Febtazionb Pag. v
Parte Prima.
Negli Stati Uniti del Brasile.
I. Nel mare di Goanabara 4
Isola di San Fernando di Noronha. Mare di Rio Ja-
neiro. Il cielo di Rio Janeiro. Icarahy. Copacabana.
Corcovado. Rio Janeiro coloniale. La città aristocra-
tica; la città commerciale. La Rio delle isole.
IL Lo Stato di San Paolo ,
23
Nella foresta. L'oppressione della foresta. La foresta
in fiamme. La città di San Paolo. L'Ipiranga. L'ita-
lianità di San Paolo. Liete accoglienze degli Italiani.
Oiigine delle "fazende,,. La "fazenda„ moderna. La
vita dei coloni. Una laminaria a Santa Veridiana. Il
vero male della "fazenda,,. Le retribuzioni nelle "fa-
zende „. La donna nella " fazenda „. La crisi e le tras-
formazioni delle "fazende,,.
858 INDICB
nr. Nello Stato di Minas Gkraes Pag. 68
Attraverso allo Stato. Nel regno delle formiche. Le
origini dello Stato. Nelle viscere delle miniere. In-
contri cogli Italiani. Agricoltura antica e recente.
L'antica capitale. Bello-Orizzonfe. La nuova capitale.
Istituzioni. Le colonie. Difficoltà dei nuovi coloni.
Colonie spontanee. Colonie nuove. Preparativi.
IV. Gli aiutanti 91
Un po' di storia del Brasile. Primi coloni. Francesi,
Olandesi e Portoghesi. Libertà e indipendenza. La
questione dei negri. La tratta dei neri. Situazione
degli schiavi noi Brasi le. Mistione dei bianchi coi neri.
Doti innestate dai neri nei bianchi. Bontà dei neri.
Qualità e difetti dei Brasiliani. Ospitalità. Generosità.
Forza delle amicizie. Timidezza e modestia. Imma-
ginazione. Enciclopedismo nella educazione. Enciclo-
pedismo nella cultura. Il tempio positivista. La libreria
Garnier. Cultura della classe elevata. La situazione
della donna. 3Iiglioramento. Morbi erotici. Indolenza
e passività del brasiliano. Inesattezza. Crisi economiche.
Inizio di soluzione.
Parte Seconda.
Nella Repubblica Orientale del Bio Ums^uay.
Nella Repubblica Orientale 147
Antagonismi fra 1 fondatori. I bianchi e i rossi. Món'
tevideo. Un bosco sacro. Gli abitanti. Cordialità degli
abitanti. Nella ^ quinta „ di un amico di Mazzini. Idea-
lismo degli Uruguayani. Scuole pubbliche. Istituzioni
della Repubblica Orientale. Lega e )ntro la tubercolo^
Orfanotrofìi. Asili maternali. Benessere generale.
Paetb Teeza.
Nella Bepubblioa Argentina.
^)2
^* I. Buenos Aiees Pag. 131
Nel cuore della città. La febbre delle novità. La " Cha-
carita„. Pii ricordi. La "Quema de la ba8ura„. La
città del piacere. Il diritto al piacere. Teatro dell*0-
pera. Nel regno della donna. Utilità dei teatri. "In-
stituts de beauté „, Liete accoglienze. Il nostro arrivo.
IL Istituzioni buenos-aieeksi 209
Scuole elementari. Scuole superiori. Scuole professio-
nali Scuole private. L' influenza del clero. Necessità
di una educazione di Stato. Penitenciaria Nadonal
e Open Door, La " Penitenciaria Nacional ,,. Istru-
zione ed educazione dei detenuti. Preinii ed incorag-
giamenti ai detenuti. Una conferenza in prigione. Un
villaggio di pazzi. Il Giardino Zoologico, Un amico
delle belve.
III. Sul Paiianà 233
Monopolii e dogane. 11 gioco a bordo del "Paris,,. Le
sponde del Parane. Rosario. Porti antichi e nuovi. La
città di Pavana. I " forestieri „. Santa Fé. In cam-
pagna. La questione delle strade. I cavalli. I carri
nazionali. Chacra. Costruzione d'un "rancho,,. Vita
dei coloni." Fondazione di un villaggio ("pueblito,,).
Esiancias, CabanaSj Lecherias. " Estancias „. Una
" CabaHa „ modello. Latterie.
>"
360 INDICE
IV. Attraverso la " pampa „ Pag. 271
Sul limitare della "pampa„. La '^ pampa „ al chiaror
della luna. Una invasione di cavallette. La guerra
alle cavallette. Dentro una nube di cavallette. Cordova.
Impronte del passato. L'Università di Cordova. La
iriovane generazione. La diga di San Hocco. Tucuman.
Dintorni di Tncuman. La canna da zucchero, (ili In-
diani negli "Ingenios„. Organizzazione dell' " Inge-
nio„. Santiago deW Estero. I dintorni di Santiago.
Foresta recisa e foresta viva. La foresta.
V. Nelle Ande 309 xj
Mendoza, La distruzione di Mendoza. Il terrore del i
terremoto. Gli alti prezzi. La vite. Il signor Tomba.
"Las bodegas„. I partiti. Necessità della cultura. "Las
viiias,,. Il "campesino„ nel sno "rancho,,. La Cor-
digliera delle Ande. La partenza dei "troperos,,. Là
ferrovia transandina.
VI. La questione della donna nell'Argentina . . . 333
Frequenza delle professioniste. Barriere fra uomo e
donna. Barriere fra moglie e marito. Fusione dei
sessi in Europa. Dualismo della vita argentina. Con-
dizione antisociale. Errori del femminismo. Funzione
economica della donna. Le arti femminili. Scuola del
Focolare. Squarciando il futuro.
j
MiLAKO — Fkatelli TREVES, Editori — Milako ^
È uscita la Seconda Serie
(pag. 121 a 248), in-8, con 29 incisiani
IL PASSAGGIO
NORD-OVEST
IL MIO VIAGGIO AL POLO SULLA «GIÒJA,,
DI
ROALD AMUNDSEN
————————— - ■■• i*<;ffl
QaestVpera dì grandissima importanza, riccamente e spien- ■ ^ J
didamente illustrata, ha sollevato un gran rumore nel mondo. ::.n
intoro. Il successo ottenuto dalla spedizione della Ojda ha -^
dato a Roald Amundsen una celebrità universale. In tutti ' /fi
i paesi gli furono prodigati alti encomi, tutti i governi, le /^§
accademie, le società geografiche lo hanno insignito di ono< /^
rificenze. Meravigliosa è la storia del piccolo yacht norve- ^
gese, che co' suoi sette uomini di equipaggio per la prima \ ^
volta ha fatto il giro per mare della costa settentrionale del . v
continente americano, da oriente ad occidente, dalla Groen- •>
landia allo stretto di Behring, ed ha in tal guisa condotto j
a termine quell'impresa che da secoli fu invano tentata da. O^
numerose e costosissime spedizioni, col sacrifìcio di tante e .1'
tante vite umane! — Quest'opera insigne, pubblicata in i
norvegese, fu già tradotta in tedesco e in inglese. Ora se ne ^
sono fatte le traduzioni francese e italiana. La Casa Treves j
è lieta d'essere stata prescelta dall'illustre autore a far co-
noscere in Italia la sua opera ammirabile come il suo viaggio. ; ':
Prezzo d'ogni Serie : DUE LIRE.
A.8800iazioiie all'opera completa: DIECI I«IB£.
irigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, Milano.
MlL AK O — FbaTKLLI TREVES, EdITOHI MlLAKO
ANGELO MOSSO
Escursioni nei Mediterraneo
E
gli Scavi di Creta
Con la sua nuova pubblicazione il prof. Mosso esce dal campo
della fisiologia, ed entra in quello delParcheologia, per quanto
il fisiologo faccia spesso capolino fra le pagine del libro. La
cosa può sembrare strana a prima vista; ma meno strana ap-
IHirisce quando si rammenti che dopo aver principiato con al-
cune osservazioni antropologiche sugli etruschi e sugli avanzi
delle tombe antichissime del Foro Romano, il prof. Mosso fa in-
dotto ad occuparsi del tanto discusso problema relativo alle
origini della civiltà mediterranea; problema su cui le splen-
dide scoperte fatte recentemente nell'isola di Creta gettano
una luce assolutamente nuova ed inattesa. Visitando gli scavi
a Creta, alcuni facendone ivi per proprio conto, preparando
nuove indagini sui primi abitatori della Sicilia, il prof. Mosso
volle riassumere nelle sue " Escursioni nel Mediterraneo „ tutte
le notizie riguardanti la civiltà ellenica prima d'Omero, coor-
dinandole in maniera da raccogliere come in un quadro le mol-
teplici forme e i particolari della civiltà stessa, quali emergono
dai mirabili lavori delle Missioni italiana ed inglese. E scrisse
cosi un'opera geniale, che tratta di ardue e gravi questioni archeo-
logiche in modo veramente piacevole, che istruisce e diverte.
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STUDII E VIAGGI ATTRAVERSO •
Norvegia, Svezia e Danimarca
DI
Gino Bertolini
Sui paesi scandinavi, così interessanti per gli strani aspett
della natura nordica, come per le elevate forme di civiltà a
cui sono pervenuti, esiste all'estero tutta una letteratura; um
poco ancora se ne è scritto in Italia. Sarà quindi accolto con
favore dal pubblico questo libro originale, che si presentii in
bella edizione riccamente illustrata, di un colto scrittore in>-
stro, il dottor Gino Bertolini di Venezia, fratello dell'attuale
ministro dei Lavori Pubblici.
L'elogio migliore e più competente di questo libro è quello
che ne fece Sigurd Ibsen (figlio del grande scrittore, ed ex-
ministro degli esteri della Norvegia) dopo averne letto il mn-
noscritto: "....La sua lettura mi ha procurato un gran pia-
" cere. Esso è d'una ricchezza sorprendente. Tutto vi èi pie-
" saggi, caratteri, usi e istituzioni, fenomeni della vita pubblica
" e della vita privata. Ben pochi scandinavi avranno una no-
" zione cosi completa dei paesi del Nord, e io dubito che nessun
" altro straniero vi eguagli sotto questo rapporto „.
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Giovanni du Taillis
corrispondente del llatin.
Con pr«fasion0 di KABIO M0BAS80.
I
È Ila magnifico e um pi»' mento alle lettere del Barzini che nar-
rarono cosi brillantemente la corsa del principe Borghese sul-
V Itala, Qui oltre la corsa Borghese, che è riassunta, è pure
ampiamente narrata la corsa delle altre tre automobili che
seiMi irono (la Spyker e due de Dion Bouton) e ch'ebbero la
loro parte di peripezie e di gloria. Anzi la parte drammatica
è assai più considerevole in questa corsa di 80 giorni, e narrata
con grande evidenza dal Du Taillis, che ha vissuto le peripezie
ch'ei racconta, e dimostra lo spirito intraprendente, il coraggio,
U perseveranza che i campioni di questa pazza corsa hanno
dovuto possedere. I pericoli della traversata di Nanku, le
erb^^ (Iella Mongolia, il grande deserto di Gobi, poi, a poco a
poco, il ri tomo alla vita civilizzata a traverso l'Europa, per
M')soa, Berlino, vi sono ammirabilmente descritti con nume-
rasi aneddoti, e si segue passo a passo con una attraente let-
tura il successo di questo raid universalmente celebre. Infine
le 66 magnifiche fotografie originali prese sui luoghi, accompa-
gnano il volume e sono tirate in carta di lusso fuori testo.
Un volume in-S, riccamente illustrato
da 66 fotoincisioni prese sui luoghi.
Bel Lire. — Legato alla bodoniana: Ure 6.60.
Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, Milano*
Milano — Fratpxli TREVES, Editori — MiLiitn
GUGLIELMO FERRERÒ
Grandezza
e Decadenza di Roma
L'opera poderosa del Ferrerò è giunta rapidamente al V vo-
lume (fine dell'Impero d'Augusto) con sempre cresceoiù suc-
cesso. Mentre si preparano i volumi nuovi, si devono fart^ roii-
tinue ristampe dei precedenti; ed il successo diventa momliulu :
dopo la traduzione francese sono venute la traduzione linerie:*»
e la tedesca. In questa grande opera non si saprebbe se piti
ammirare l'ampiezza veramente romana delle linee o la protan-
dità dell'analisi. Sono pagine fervide di pensiero e di aapii nzu,
in cui regna l'indagine storica più rigorosa, e i fatti sono stinUati
l nelle loro cause più remote e negli effetti più complessi. Ln pò-
[ tenza di rievocazione di questo storico artista è tale che la su»
opera si legge avidamente come un romanzo, perchè a vveniiìieiui,
uomini, idee, tutto ci risuscita davanti con meravigliosa evi' lenza ,
Voi. I. La conquista dell' Impero . . - r> —
Voi. II. Giulio Cesare '* —
Voi. III. Da Cesare ad Augusto ....*! —
Voi. IV. La Repubblica di Augusto . . . ^ì*"»^
Voi. V. Augusto e il Grande Impero . . -M»»
— L'Europa Giovane, studii e viaggi nei paesi d'] XuiiL
(1897). 8.^ edizione I —
1-
Bismarkismo e socialismo. L'amore nella civiltà latina è ìreimn-
nica. Londra. Mosca. 11 terzo Sfsso. L'antisemitismo. La hiwn di
due razze e di due ideali. Li società dell'avvenire.
Il Militarismo, io conferenze (1898). 4.^ edizione. -I —
Pace e guerra alla fine del secolo XIX. La società mil tare liurJjii-
rica. L'orda. Le civiltà militari. La vita sociale nel 'e civiU i mili-
tari. La decadenza e rovina degli Imperi militari. L' Impejrn t.tii\-o.
Napoleone. Militarismo e cesarismo in Francia. Il milita nsiMM ir,a-
liano. 11 militaiigmo inglese e tedesco. Dal passato a! l'avvi ji Tre,
)irigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, M il ino.
Qj
^
Phr7.zo i>rl PRR5KNTB voi.omr: Qnatti*o ILiire.
Il passaggio Nord-Ovest. S SruT^o^Sa^. '^
■ ..M.J». In-8, riccamente illustrato (in corso di
AnaOdSei. pubblicazione) \ . 10 —
Il Giappone neiia sua efolaziooe. p»"'
comniutu co» la H. Nave "Veftor risani „ dnr
L'AniflI!! Aù\ UlkpA ^^"'^^ ® ^^^^^^ attraverso Nor-
AUlllld UUI nUlU. vpgia, Svezia e Danimarca, di
PtiiA RArfAlSm ^'^ volume in-8 di 47U r^giup, in carta
UIDO DeriOlIUl. di lusso, rici-amon te illustrato da 125 in-
oisionl (11M1S) 10 —
Stu<ìi e ricfT'Ii d'una cam-
pa jriia nell'Estremo Oriente
lìprutu co» la H. Nave "Veftor risani „ dnrante gli anni 1903 3904,
«la A«l<*ll'r4'clo Fedele, nia<(ln'iiista i^avale nell'Armata Italiana.
lii-4, (li irrnii lus<;o, ilhistrafo da 20 incisioni, da una carta e da
sei errandi qna'lri a oolorl 10 —
MMorAi^AA o ri4tirAfi«i ^^ ^'**'^ HI »fit«K«aaa. Illustrato da
WarOCCO e l ilUrOpa, b^ incisioni e 2 carte 3 50
nUnn*%Aii* di Vico ^laule^azyn. Illastrafo da 33 incisioni e
DgnaOir, 3 carta (1.08) 5 —
L9 t)3ll2Qll2 di MUKuCn, (la 52 incisioni da istantanee prese
sul luogo dair.'tutorp, e numer( se carré, fra cui la grande Carta
seflrreta dell'armata giapponese, nprodotta per speciale anto>
rizzitzif no dello Sialo ]^iag<ri(jre 6 —
L'mamia »iAìn kìnt ^i Angelo Mosso. Stadi fatti sul Monte
UOIflO SUIie Alpi, Posa, ln-8, con 5^< ine, e 48 tracciati . 8 ~
Escursioni nel Mediterraneo e gli Scavi di Creta,
di Aiiirel» Mommo. Im-^, in carta di lus»0, illastrato da 187 inci-
sioni e 2 favole fuori testo .8 —
TripOlitania, di Domenico Tiimiati 3 50
Dna primavera in Grecia, di nomenieo Tumiati. . 3 50
fliriAffn moci al Pniinn '^i I*"*»* Armanl, comandante nella
IIICIQIIO lUebl di UUIiyU, lUserva Navale, Ispettore di Stato al
Congo. In-H, illuRfrato da 2 carte e 38 fotoinoisioui eseernlte
appositamente • • 3 50
UntioA il PaIa CiiiI Memorie della spedizione antaiti.'a diretta
f ei òU 11 rUlU OUU. dai prof. 0. Nordenskjold (iwa lt03i. narrata
dal Gap. Hune, membro della spedizione. In-8, di 8?5 p. gine, illu-
strato da 148 incisioni e oarte 5 —
Dna gita all' Barrar. il2\°Sr.*". ^- :''^'!"".*'."-.^'''3Ì
irigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, Milano.
/
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